11.6.16

Pannella e l’89 (Salvatore Lo Leggio, Cronache Umbre, maggio 1990)

Ho scritto l'articolo qui postato nella primavera del 1990 per “Cronache Umbre”, la rivista mensile del Pci dell'Umbria. Un congresso aveva già stabilito lo scioglimento del partito comunista in un nuovo “soggetto politico della sinistra”, di cui – al tempo – non erano stati definiti né il nome né il simbolo (Occhetto avrebbe proposto qualche mese più tardi la Quercia del Pds) e neppure il programma fondamentale (ci stava lavorando una commissione presieduta da Bassolino). Alcune delle mie riflessioni, soprattutto quelle relative al Pci, erano pertanto condizionate dalla congiuntura.
E tuttavia l'analisi del radicalismo pannelliano mi pare tuttora corretta e riproponibile. Come si vede, non ho aspettato l'emarginazione o la morte di Pannella (che al tempo era ancora vitalissimo e al centro del gioco politico) per valorizzarne alcune scelte di fondo, ma evitando le confusioni di oggi. (S.L.L.)

Pannella ha il temperamento del protagonista. Da quando è sulla scena, quarant'anni circa, è un vulcano di ipotesi, progetti, proposte spesso controcorrente, talora rischiose e destabilizzanti, sempre però capaci di produrre, nel bene e nel male, politica.
Alcune sue sortite e campagne risultano francamente sconcertanti e neppure la sua collaudata perizia dialettica riesce ad argomentarle in modo persuasivo. La presenza ai congressi missini, Cicciolina, l'oltranzismo filoisraeliano ed altre ancora. Tuttavia, se non ci si lascia fuorviare dagli anticonformismi di maniera, dalle intemperanze verbali, dalle pittoresche gigionate, si può riconoscere nel su o percorso politico una ispirazione di fondo estremamente compatta e coerente, al di là delle mutevoli esigenze della tattica.

Libertà
Sui temi dei diritti individuali l'impegno di Pannella è davvero radicale. Da liberale autentico egli difende senza tregua tutte le libertà; cerca perciò di riportare nell'ambito della legalità tutti quei comportamenti che, per quanto censurabili sul piano morale, non sono tuttavia lesivi di altrui interessi e vanno perciò collocati tra i diritti, non tra i reati.
Nella visione di Pannella lo stato laico non può assumere come propri valori morali, anche se condivisi da quasi tutti. Deve piuttosto regolare l'esercizio dei diritti perché non confligga con altri diritti tutelati. Così una coppia omosessuale deve poter baciarsi nei parchi quanto una "normale"; all'individuo adulto deve consentirsi l'assunzione di cocaina ed eroina, quanto di alcool e nicotina; si devono poter produrre, proiettare e vendere i film più "hard" che si vuole, quando non vi si facciano partecipare o assistere minori. È una logica discutibile nei suoi fondamenti culturali, nondimeno molto rigorosa.
Ciò spiega la feroce idiosincrasia di Pannella verso la pretesa di tutelare la pubblica moralità con divieti e costrizioni. La proibizione legale non riesce certo ad eliminare comportamenti spesso legati a condizioni di disagio sociale o, addirittura, alla drammaticità dell'esistenza umana; può solo criminalizzarli, producendo così incessantemente illegalità e delinquenza. La proibizione del divorzio creava bigamie e figli illegittimi; le persistenti restrizioni al diritto d'aborto perpetuano le violenze sulle donne e forgiano tuttora "mammane" e "cucchiai d'oro". I divieti all'esercizio della prostituzione aiutano la diffusione di gravi malattie e coprono traffici loschi e indegni lenocini. Così le leggi proibizionistiche su alcune sostanze psicoattive offrono alle mafie un campo vastissimo di attività, una fonte enorme di guadagni, un incrollabile ed inquietante potere economico.
Per Pannella il proibizionismo è una malattia gravissima delle democrazie, "la terza follia del secolo dopo il fascismo e lo stalinismo". Lo Stato informi, dissuada se necessario, intervenga in anticipo se può. Diffonda i contraccettivi per impedire gli aborti; attenui con adeguate politiche sociali il disagio, che favorisce la tossicodipendenza. Ma non proibisca. Regoli piuttosto il diritto di abortire, di drogarsi, di prostituirsi eccetera, perché chi li esercita sia tutelato dalla illegalità e paghi alla collettività tasse proporzionate ai costi sanitari e sociali del suo comportamento.
Su questi principi Pannella è intransigente, al costo di rischiare l'identificazione del suo movimento con una banda di froci, puttane, magnaccia, drogati e spacciatori. Guai a toccargli certe corde! Egli dimentica d'un colpo il suo sperimentato senso tattico e prorompe in invettive violentissime, fuori misura, spezzando in un momento rapporti politici intessuti per decenni. Se n'è accorto Craxi, per lunghi anni l'amico politico più caro, diventato all'improvviso "fascistico", per aver minacciato sanzioni legali ai tossicofili.
Può una forza politica di ispirazione socialista condividere in tutto e su tutto il liberalismo radicale di Pannella? Certamente no, ma della sua "verità interna" deve tenere conto per assumerla in progetti di trasformazione sociale. E su molti obiettivi specifici la collaborazione non solo è possibile, ma addirittura indispensabile.

Fraternità ed uguaglianza
Sul grande tema dell'uguaglianza l'impostazione di Pannella non può dirsi propriamente democratica (l'uguaglianza delle opportunità) né tanto meno socialista (l'uguaglianza economica, sia pure tendenziale), ma classicamente liberale. Per lui l'uguaglianza possibile e necessaria è quella della legge e davanti alla legge. La lotta contro ogni tipo di "giurisdizione speciale" (i codici e i tribunali militari, la responsabilità civile dei giudici e i reati ministeriali, le leggi sui pentiti e tutta la legislazione dell'emergenza) si coniuga con una difesa spesso astratta e formalistica delle garanzie. Anche qui Pannella e i suoi (Meliini in prima fila) sono intransigenti, al costo di perdere di vista la realtà e di passare per amici dei mafiosi o dei brigatisti, dei fascisti o della P2. Su questo terreno le intese con le forze di democrazia socialista sono sicuramente più difficili, ma pure in molti casi possibili.
La terza grande coerenza programmatica di Pannella coincide con la terza parola-chiave del-l'Ottantanove: il tema della fraternità. Qui, tatticismi e strumentalismi a parte, si sente con più forza l'originalità di’una posizione teorica, fondata sul trasnazionalismo, sull'urgenza di superare le angustie degli stati nazionali e di stabilire da subito forme di sovranità trasnazionale piena. La battaglia contro lo sterminio per fame condotta in Italia come negli organismi comunitari, all'Onu come in Burkina Faso, benché talora esclusivamente propagandistica, porta con se il segno di una fecondissima intuizione: le frontiere della fratellanza vanno abbattute, occorre perciò stabilire leggi e poteri per tutto il pianeta.

Il conflitto con il Pci
La coerenza programmatica di Pannella non comporta una analoga coerenza di disegno politico. Nel suo più recente dialogo con il Pci Pannella vanta alcune sue scelte antiche; l'aver permesso l'ingresso degli universitari comunisti nell'Ugi, l'associazione studentesca laica, in piena guerra fredda; la polemica del '59 con Togliatti, tesa a creare già allora un rapporto più stretto tra i liberal-democratici e movimento operaio, contro le propensioni del leader comunista ad un rapporto preferenziale con settori del cattolicesimo politico, non necessariamente progressisti (era il tempo del milazzismo e dell'ipotesi di secondo partito cattolico); la sua candidatura da "indipendente" nelle liste Psiup alle comunali di Roma nel 1964; la promozione, insieme a Rodotà ed altri, dell'associazione per l'alternativa alla metà degli anni Settanta. Nel rievocare gli anni di più dura polemica con i comunisti, Pannella mette in fila, come un rosario di malefatte, tutte le questioni sulle quali essi avrebbero avuto torto e lui ragione: il compromesso storico, la solidarietà nazionale, l'emergenza, il finanziamento pubblico dei partiti, i modi della lotta alla mafia, il consociativismo, etc.
Sarebbe divertente e forse anche utile rievocare tempi, toni, contenuti specifici delle polemiche pannelliane. Se si pensa solo ad una delle più ricorrenti (e superficiali) invettive, quella della "P2, P38, PScalfari", si potrebbero enumerarne gli abbagli o addirittura le allucinazioni. Non è compito di questo scritto, che ha come oggetto specifico le (buone) ragioni di Pannella e non le esasperazioni e le degenerazioni della polemica contingente. Non si può però tacere il suo punto cruciale di strategia politica, che è alla base degli errori di Pannella. Egli pensa, da sempre, all'alternativa, ma ad una alternativa esclusivamente politica, non sociale. Del Pci non gli è mai andato giù non tanto il suo "stalinismo", quanto la natura del suo insediamento, peraltro molto simile a quello delle socialdemocrazie europee: la sua presenza nei conflitti sociali, il suo radicamento nel sindacato, nel movimento cooperativo, nelle amministrazioni locali. Il suo sogno è stato quello di trasformarlo, con una sollecitazione dall'esterno, in un "partito d'opinione di massa", la cui sfera d'azione si collocasse nel campo dei diritti e in quello dei valori, non in quello degli interessi materiali organizzati. Quando negli anni Settanta il suo progetto si è rivelato impraticabile, egli ha scelto il ruolo di guastatore. Convinto che con un Pci di quel tipo nessuna alternativa fosse possibile, si è speso per la distruzione delle basi sociali della forza comunista. Un esempio per tutti: il suo forsennato impegno sul referendum per la scala mobile.
Oggi Pannella ha nuovamente cambiato linea. Coerentemente. Nel momento in cui il Pci si trasforma in un'altra "cosa", egli crede che le affermazioni di Occhetto sulla natura "di massa, popolare, socialista" della nuova formazione politica, siano soltanto concessioni tattiche e che alla fine del processo venga fuori il "partito radicale di massa", che egli ha sempre sognato. Si tratta di un errore: in Italia non è possibile un'alternativa politica alla Dc, che non sia anche sociale. Al di là del fascino o dell'indifferenza che un'alternativa di governo senza mutamenti negli equilibri sociali può suscitare, essa è prima di tutto una velleità senza sbocchi, un'utopia.
È stato giusto allora fare all'Aquila e in altre città liste di concentrazione democratica con Pannella e i pannelliani? Certamente, con un chiaro accordo sui programmi. Il ruolo di capolista assunto da Pannella nel capoluogo abruzzese è peraltro naturale dato il livello del personaggio. Né si può negare a Pannella il diritto di partecipare in altre realtà locali ad iniziative elettorali diverse. All'Aquila e altrove Pannella può dare un contributo importante al cambiamento della situazione politica stagnante nell'intero paese. Non trovo invece convincente Pannella come ispiratore ed eminenza grigia della nuova formazione politica che il Pci intende costruire. Lo smarrimento in essa di una identità sociale "forte" non gioverebbe neppure alle giuste cause per cui Pannella si batte.


Da “Cronache Umbre”, maggio 1990

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