26.6.16

Poeti in Umbria. Lo squallore della lingua e il dialetto ritrovato (S.L.L.)

Anna Maria Farabbi
È uscito il primo fascicolo della nuova serie di “Passaggio”, il trimestrale di poesia e arte dell'Associazione Culturale “La Luna”, diretto dal poeta marchigiano Eugenio De Signoribus.
Contiene una silloge di poesie di Walter Cremonte dal titolo Con amore e squallore, corredata dall'acquaforte Laceramenti 3 dell'artista urbinate Vitaliano Angelini. Si tratta di 16 poesie in parte inedite, in parte già diffuse in edizioni fuori commercio.
Il titolo è illustrato in una paginetta di splendida prosa dallo stesso autore. Nasce da un racconto di Salinger, autore cult del Sessantotto (chi non ricorda Il giovane Holden?), dal titolo quasi identico, un racconto di guerra “molto squallido e commovente”. Cremonte ne adatta il senso alle sue ultime prove che sono – quale che sia l'argomento - poesie d'amore (“perché, se no, si scrive?”), ma utilizzano il linguaggio degradato e trito del nostro tempo, incapace di raccontare un mondo a sua volta degradato e di restituire una qualche identità individuale e collettiva.
Il riuso dei luoghi comuni, dei “brandelli di chiacchiera” è da sempre praticato dal Cremonte, che dal bricolage riusciva a ricavare macchine capaci di volare e portarci fuori da un mondo svuotato di senso verso un altrove ricco di profumi e colori, amoroso. Ora questo recupero sembra farsi più spesso strumento di denuncia, un vero e proprio processo al mondo realmente esistente, e di resistenza. Così ad esempio nella poesia Un papavero, che mi è già accaduto di citare come esemplare.
Un altro testo da incorniciare s'intitola Le foto, in apparenza sulla irredimibilità della storia, in realtà sulla certezza che la lotta continua, e che altre generazioni impugneranno le bandiere lasciate cadere. Così recita: “Cosa gli diciamo / quando vedranno le foto / di questi anni // loro diranno come / vi sentivate voi / a guardare le foto dei campi / delle braccia coi numeri sopra / dei vagoni piombati / pressappoco così ci sentiamo / colpa volta stravolta”.
Sul finire del 2015 è uscita, per le edizioni Cofine di Roma, una antologia per gli amanti della poesia, dal titolo Dialetto lingua della poesia. L'ha curata la perugina Ombretta Ciurnelli, poeta dialettale di grandi doti, capace di spaziare dalle sperimentazioni ludico-linguistiche alla poesia narrativa epica o melodrammatica, alla lirica. Il volume raccoglie e commenta un centinaio di testi, di poeti che non concepiscono la poesia dialettale come “vacanza” o come ricerca di effetti di colore, ma si affidano alle lingue del territorio soprattutto per un bisogno di verità. Le poesie hanno come tema comune proprio il dialetto, ma non bisogna aver paura della monotonia: tutti gli autori in qualche modo spiegano la propria scelta espressiva, ma, facendolo, toccano una grande varietà di corde. Il commento che segue le poesie ha un non so che di perugino: il metodo che costruisce i profili degli autori a partire da testi che affrontano il loro rapporto con la materia prima, la lingua, riprende infatti - con opportuni aggiornamenti - il nesso “poetica-poesia” caro a Walter Binni.
Si comincia con i “monumenti” ottocenteschi, Porta e Belli, si prosegue con i classici protonovecenteschi, Giotti, Tessa, Marin, Noventa, Buttitta; poi avanti fino ai nostri giorni, con autori noti (Zavattini, Guerra, Zanzotto, Pasolini) e meno noti di quasi tutte le aree linguistiche. Viene esclusa quasi completamente la poesia in dialetto napoletano: la spiegazione è fornita incidentalmente, in un commento che cita Di Giacomo, di cui si nota la “cantabilità partenopea” un po' consumistica. Credo che si sarebbe potuta fare almeno un'eccezione, quel Raffaele Viviani che assai spesso rifiutò il dialetto sdolcinato delle canzonette, cercando nei vicoli le sue parole. Le poesie del secondo Novecento e degli anni Duemila maggiormente risentono della grande trasformazione novecentesca, della fine dell'Italia rurale, della omologazione e dell'impoverimento linguistico; in molte si avverte il rimpianto per una lingua già morta o che va a morire, in altre il suo recupero ha un evidente carattere sperimentale.
Non mancano alcuni poeti umbri, Spinelli, Ponti, Mirabassi, Pilini, Ottaviani; a me piace citare, per la sua potenza espressionistica, una poesia breve ed intensa di Anna Maria Farabbi, perugina di montagna (“ldialetto ldiceva lmi babbo e lmi babbo / ce lò ncorpo // si fo cadé la lengua nterra / m'esce”). 

micropolis, 27 maggio 2016   


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