3.6.16

Quando la Silicon Valley batteva bandiera sovietica (Gabriele Catania)

Ricercatori del MESM nel 1951
Se le cose fossero andate diversamente, forse oggi il mondo della tecnologia non parlerebbe inglese ma russo. Bill Gates si sarebbe specializzato all’Istituto di Cibernetica di Kiev, e Steve Jobs avrebbe sognato di iscriversi a un campus universitario in Siberia. Alla fine degli anni ’60 la misconosciuta scienza informatica sovietica sembrò sul punto di rivoluzionare non solo l’apparato tecnologico russo, ma persino i meccanismi dell’economia pianificata.
Dopo la Seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica aveva conquistato non solo un impero, ma una posizione molto avanzata a livello scientifico e tecnologico. Il Paese era da ricostruire, ma nel 1949 esplodeva la bomba atomica sovietica, e l’anno dopo, alla periferia di Kiev, iniziava a funzionare il primo calcolatore elettronico dell’Europa continentale: il Mesm. Come i celebri cervelloni americani, anche il Mesm era un colosso di 6 mila valvole lungo otto-dieci metri e alto due. Responsabile del progetto era Sergei Alekseevich Lebedev, ingegnere visionario convito che i computer sarebbero presto diventati «importanti quanto l’energia nucleare».
Al regime stalinista i calcolatori elettronici non piacevano. La logica era appannaggio dei lavoratori umani, non delle macchine, e non si poteva asservire il proletariato a quella che era, in sintesi, una perversione tecnologica borghese. La morte di Stalin, e l’arrivo al potere del tecno-entusiasta Nikita Chruscev, spalancò la strada allo sviluppo della scienza informatica sovietica. Il Mesm divenne presto una star: risolveva problemi sulla progettazione della bomba all’idrogeno, il lancio di missili e le orbite dei satelliti.
Dopo il Mesm Lebedev si trasferì a Mosca, dedicandosi ai Besm, computer mainframe che negli anni seguenti avrebbero contribuito in maniera decisiva alla conquista dello spazio (nel 1975, in occasione del progetto di cooperazione americano-sovietica Apollo-Soyuz, il Besm 6 batté in velocità i computer statunitensi). Furono anni di grande eccitazione per gli informatici sovietici. Gli americani rimasero stupefatti dai progressi russi, e al presidente John F. Kennedy arrivarono preoccupatissimi memorandum sull’«assoluto impegno sovietico nella scienza cibernetica».
Fu in quegli anni, come racconta magnificamente Francis Spufford nel suo saggio-romanzo L’ultima favola russa (484 pagine, Bollati Boringhieri), che si valutò sul serio l’ipotesi di migliorare con i computer il sistema dei prezzi dell’economia centralizzata sovietica. In fondo era stato Chruscev in persona a invocare un maggior ruolo della cibernetica nella produzione industriale, nella gestione dell’economia e nell’amministrazione dello Stato.
Alcuni scienziati della gloriosa Armata Rossa arrivarono persino a proporre la creazione di una rete cibernetica per lo scambio di informazioni. Un network accessibile non solo ai militari, ma anche ai civili.
Uno dei paladini delle riforme cibernetiche era il pioniere Victor Glushkov. Grazie a lui e ai suoi allievi, nella seconda metà degli anni Sessanta fecero la loro apparizione i Mir. Si trattava dei primi personal computer sovietici, così avanzati da far dire al grande informatico Andrey Petrovych Ershov che se Glushkov avesse continuato a progettarli, l’Urss si sarebbe ritrovata con i migliori pc al mondo.
Nel 1969 il Cremlino commise però uno dei maggiori errori della storia della tecnologia sovietica. Ordinò l’alt alla scienza informatica, colpevole di troppa autonomia e ambiguità ideologica. Del resto Chruscev era stato deposto cinque anni prima, e la nuova nomenklatura aveva obiettivi più concreti da perseguire. Una volta tanto, bisognava guardare agli Stati Uniti, e per la precisione alla tecnologia Ibm.
Copiare il Big Blue fece perdere anni preziosi agli informatici sovietici. Che, nell’affannoso tentativo di imitare gli americani, persero sul serio il treno dell’innovazione. Alla fine degli anni Ottanta l’informatica sovietica era la pallida ombra di se stessa. Certo, il nuovo signore del Cremlino, Michail Gorbacev, caldeggiava ogni tipo di innovazione tecnologica. Il tempo a disposizione però era scaduto. Oggi quel che resta del grande sogno informatico sovietico è Tetris. Videogame inventato nel 1984 da un ricercatore russo, Alexey Pazitnov, che amava il tennis e i rompicapo.


Pagina 99, 7 maggio 2016

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