30.6.16

XX giugno, vogliamoci bene (S.D.C.)

Dall'ultimo "micropolis" l'articolo scritto dal direttore, Stefano De Cenzo, per la rubrica "La battaglia delle idee". (S.L.L.) 
Pio IX
Parole di circostanza quelle pronunciate a Perugia da Andrea Romizi in occasione delle celebrazioni del XX giugno. Un discorso (riportato integralmente nell'edizione online del Corriere dell'Umbria e la cui ripresa video è visibile sul sito del Comune) che si è salomonicamente chiuso con l'invito ai tutti i perugini “senza distinzioni” a vivere questa fondamentale data in “armonia”, a “volerle bene”, scongiurando “qualsiasi utilizzo in chiave divisiva”. Rispetto al comunicato ufficiale apparso qualche giorno prima sul sito del Comune, il sindaco “ragazzino” dalla faccia pulita e perbene è andato, perlomeno, oltre al generico termine di “ingiustizie”, nominando, in apertura, “la riprovevole condotta delle truppe del colonnello Schmidt”, gli “inutili eccidi, il libero saccheggio, la privazione delle libertà”. Nessun accenno diretto, tuttavia, all'autorità pontificia che nel 1859 ordinò tanta violenza e l'invito a soffermarsi, piuttosto, sullo “slancio” che animò i protagonisti di allora, sulla loro “capacità di resistere”. Prima dell'invito alla concordia, infine, il doveroso passaggio sull'altro XX giugno, quello del 1944, “ossia la liberazione dalla dittatura nazi-fascista, un giorno speciale in cui si aprirono le porte della nuova Italia che sarebbe diventata una Repubblica, di cui proprio quest’anno si celebrano i 70 anni di vita”. 
Di ben altro spessore la lezione che Alberto Grohmann, su invito di diverse associazioni (Società operaia di mutuo soccorso, Famiglia perugina, Circolo Arci Ponte d'Oddi, La società del Bartoccio, La città di tutti) ha tenuto domenica mattina 19 giugno alla sala dei Notari, davanti ad una platea attenta e numerosa. “Perugia XX giugno - Un viaggio nella memoria” il titolo scelto dal relatore. Dopo la proiezione del documentario “XX giugno 1859” di Guno Goti, realizzato per il 150° anniversario e nell'occasione riproposto ai presenti, Grohmann, in 45 intensi minuti, non si è limitato a narrare gli eventi del 1859 e del 1944, perché compito dello storico - come ha sottolineato sin dall'inzio - “è interpretare i fatti e non narrarli”, attraverso il vaglio e una attenta e scrupolosa lettura critica delle fonti. Con la piena e sincera consapevolezza di compiere comunque, nonostante la scientificità dell'approccio, un atto di parte. 
Ecco il punto è proprio questo: per rispettare la memoria di ciò che accaduto è quantomai necessario, aggiungiamo noi, rifuggire dalla falsa oggettività e, conseguentemente, accettare l'esistenza di memorie divise e contrapposte. Perché, come ha insistito Grohmann, ogni evento, in modo particolare quelli che determinano un cambiamento profondo dell'ordine preesistente, si presenta come conflittuale. Così fu nel 1859 e, a maggior ragione, nel 1944. E perciò è stato giusto e doveroso ricordare le vicissitudini legate al monumento ai caduti, opera del 1909 di Giuseppe Frenguelli (quello davanti al quale il Sindaco ha tenuto il suo discorso), la rimozione della tiara papalina posta sotto l'artiglio del Grifo per opera del fascismo concordatario e la sua ricollocazione ordinata dal sindaco massone e socialista Casoli nel 1987. Così come è risultato efficace citare (L'elmetto inglese, Sellerio, 1992) le impressioni e lo spavento del piccolo Ugo Badel, nel 1944 bambino di dieci anni di famiglia fascista, all'arrivo del nemico alleato. Quel Baduel che poi da adulto sarà stretto collaboratore di Enrico Berlinguer.
Non deve meravigliare un approccio così diverso a dei nodi storici e alla ricorrenza che li significa e li commemora, tra un politicante e uno storico, anche a prescindere dalla differenza di livello che in questo caso c'è ed è notevole. La politica, da sempre, tende a un uso strumentale della storia e della memoria, piegandola alle ragioni dei vincitori (e non di rado trovando come compagni di strada storiografi compiacenti).
Tutti ricordano il Pantheon risorgimentale con le figure centrali di Mazzini, Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele di Savoia che si tentò di costruire a fine Ottocento e che il fascismo rilanciò presentandosi come la sintesi del moto risorgimentale. Non c'è dubbio che a causa delle liti dei residenti, quel Pantheon doveva essere tutt'altro che un luogo di serenità e doveva assomigliare a un inferno. 
Negli ultimi anni si oscilla tra la rimozione dichiarata (il Marchionne che si proclama nato “dopo Cristo” e che non vuol sentire di storia) e l'ecumenica banalizzazione. Una storia annacquata si presta meglio ad ogni disegno egemonico: così perfino Berlusconi, dopo una lunga resistenza, indossò il fazzoletto tricolore e celebrò il 25 aprile. Superfluo aggiungere che, anche in questo caso come in tanti altri, la strada è stata aperta da molti degli ex Pci smaniosi di dimostrare la loro normalità e di rompere col proprio passato. Romizi, in fondo, è solo un bravo ragazzo, che piace tanto a Matteo. 

micropolis, 28 giugno 2016

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