17.7.16

Arnaldo di Villanova e i fichi letali. Un medico teologo (Armando Torno)

Maestro di spiritualità, teologo, medico, ricordato per i trattati di alchimia (seppure non di sua mano) e astrologia, Arnaldo di Villanova - in catalano Arnau de Vilanova - visse tra il 1238 e il 1311, due date soggette a piccole oscillazioni a seconda delle fonti. Di certo sappiamo che fu protetto da pontefici come Bonifacio VIII e Clemente V (il primo papa che assunse la tiara), giacché li guarì da malattie dolorose; tra i suoi illustri pazienti vi furono anche Innocenzo V e Benedetto XI, oltre ad alcuni re: i due d'Aragona, Pietro III il Grande e Giacomo II il Giusto, Roberto d'Angiò di Napoli e, in Sicilia, Federico III. Studiò a Montpellier e a Parigi, ha lasciato opere in catalano e latino; tradusse testi dall'arabo, conosceva l'ebraico. Tra i suoi allievi basti ricordare Raimondo Lullo, che le storie della filosofia e i teologi ricordano come Doctor Illuminatus.
Perché parlare di Arnaldo di Villanova? Innanzitutto per l'interesse che la sua opera sta di nuovo suscitando. Da noi l'unico studio recente degno di citazione è quello di Rosario Andrea Lo Bello, Resistenza profetica (uscito nel 2014 da Vita e Pensiero), in cui è esaminata l'esperienza di persecuzione vissuta con i dissidenti appartenenti al movimento degli Spirituali. In altri Paesi, però, le cose cambiano. Per esempio, presso l'Institut d'studis Catalans è in corso l'edizione degli Opera theologica omnia; Antoine Calvet ha raccolto gli scritti alchemici a lui attribuiti (edizione Séha e Arché) con originale latino e traduzione francese. E ora Les Belles Lettres pubblicano una vasta biografia in due volumi di Jean Canteins (in essi c'è, tra l'altro, il testo latino e la traduzione francese del De Semine Scripturarum). Si tratta di un'opera che ricostruisce la vita eccezionale di Arnaldo, propone scritti e, soprattutto, mette a fuoco (nel primo tomo) il contributo teologico di questo “spirituale” accusato di eresia.
Canteins esamina anche aspetti non noti, come il suo silenzio sul purgatorio; offre le traduzioni delle quattro opere del Corpus catalan, tra le quali non manca il Raonament ou Exposé d'Avignon fatto dinanzi al pontefice e ai cardinali, riguardante le visioni dei re Giacomo d'Aragona e Federico, da cui Arnaldo era stato chiamato. Inoltre emerge (nel secondo volume) la sua “rivendicazione” profetica: sono dettagliatamente esaminati scritti come il De Significatione Tetragrammaton, oggi interpretabile da un numero di persone molto ristretto. Arnaldo, probabilmente introdotto ai significati esoterici dell'alfabeto ebraico dal convertito Ramon Martí, collegava in questa sua opera espressioni dei Vangeli e dei Salmi ai segni zodiacali.
Né si deve dimenticare che il passo di Daniele 12,11 («dal tempo in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà eretto l'abominio della desolazione, ci saranno milleduecentonovanta giorni») fu interpretato da Arnau, intendendo la cifra in anni, come riferimento alla venuta dell'Anticristo. Fissò l'inizio di tale conteggio, utilizzando commenti in ebraico allora circolanti, nell'anno in cui nel tempio di Gerusalemme era cessato il sacrificio quotidiano. Non era difficile dedurre che la venuta del malefico personaggio sarebbe caduta intorno al 1368. Maestro Arnaldo presentò tutto questo nel 1300 ai teologi di Parigi e subito scoppiarono polemiche e si moltiplicarono condanne contro il De adventu Antichristi. La tesi, però, non morì: cerchie minoritarie e profetizzanti la ripresero e figure quali Gentile da Foligno, Giovanni di Rupescissa (o meglio Joan de Rocatalhada), Jan Milič di Kroměříže che fu precursore delle idee riformatrici di Jan Hus, per citare alcuni casi, la fecero loro.
Inevitabile per un uomo di tal fatta lo scontro con gli inquisitori domenicani, che tuttavia non sarà particolarmente pernicioso per la protezione a lui accordata da Bonifacio VIII; comunque Arnaldo si avvicinò ai dissidenti dei Minori e difese le tesi di Pietro di Giovanni Olivi, le medesime che desideravano una Chiesa povera e rinnovata. Non si limitò a essere un teorico: nel 1304 presentava a Benedetto XI un progetto di riforma ecclesiastica, basata su purezza, umiltà e carità. L'improvvisa morte del pontefice, il 7 luglio di quell'anno, impedisce di conoscerne gli esiti. Comunque non manca una sorta di giallo: per taluni storici la causa del decesso fu un'acuta dissenteria, altre fonti religiose sostengono l'avvelenamento. In quest'ultimo caso spunta il nome di un francescano, Bernard Délicieux, il quale ebbe occasione di confidare allo stesso Arnaldo che, secondo le profezie di Gioacchino da Fiore, la morte del papa sarebbe avvenuta proprio nel 1304. Il malcapitato suscitò sospetti e fu inquisito. Altre fonti religiose, di età rinascimentale e barocca, ricordano che il vicario di Pietro in questione morì a causa di una scorpacciata di fichi trattati con polvere di diamante. Corse voce che il letale piatto fosse stato preparato da Guglielmo di Nogaret, cancelliere di Filippo il Bello e professore di diritto a Montpellier, passato alla storia per un mitico schiaffo a Bonifacio VIII. Ma egli non fece né il cuoco né si mise a sferrare sberle: oltraggiò i pontefici soprattutto nei suoi scritti, rivendicando con forza l'autonomia del potere regio nei confronti del papato.
I due volumi di Jean Canteins su Arnaldo di Villanova portano dunque lontano: dall'ermetismo alla teologia, dalla medicina agli avvelenamenti che si praticavano in Vaticano. Materia, quest'ultima, piuttosto delicata. Non è il caso di trattarla a fondo.


Il Sole 24 Ore Domenica, 13 dicembre 2015

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