31.7.16

Guernica 1937. Così il fascismo si faceva propaganda (Angelo d'Orsi)

Guernica bombardata
Guernica, settant'anni fa, in quella primavera del 1937: lunedì 26 aprile, a metà del pomeriggio, aerei della Germania hitleriana, grande alleata del generalissimo Franco, e dell'aviazione legionaria di Mussolini radevano al suolo la cittadina basca di Guernica; obiettivo poco significativo sul piano militare, ma l'azione di tipo terroristico intendeva ammonire sia gli odiati «rossi», i repubblicani, sia i baschi, con le loro tendenze separatiste. Infatti, l'azione ebbe luogo in un giorno di mercato, e fu un esempio tra i primissimi di quel che da allora si chiamò «bombardamento a tappeto», una tattica militare poi divenuta usuale.
Il bombardamento, in un crescendo di azioni, si concluse solo con il sopraggiungere della notte. La cittadina, dove accanto ai settemila abitanti, viveva qualche migliaio di profughi, fu demolita, con scientifica sistematicità. L'azione terroristica si estese alle campagne circostanti, colpendo con molto zelo tutte o quasi le fattorie isolate. Un giornalista scrisse che nella notte esse ardevano come candele.
Si trattò dunque di un'azione dal significato politico-propagandistico più che militare. E in quel 1937, davvero il fascismo, su scala internazionale, sembrò essere al culmine della sua potenza, una specie di piovra che allungava i tentacoli sull'Europa, ma già guardando oltre. La «vittoria» di Guernica fu sfruttata abbondantemente a fini di «comunicazione»; d'altronde la Guerra di Spagna fu una guerra ideologica, nella quale la propaganda svolse un ruolo decisivo, da una parte e dall'altra. Il regime mussoliniano, proclamato da poco l'Impero con l'annessione dell'Etiopia, si era avviato compiutamente sulla strada dell'imperialismo (che gli sarebbe stata fatale) e sulla scorta dell'esperienza africana, su quella del razzismo di Stato: l'anno seguente con le «leggi per la tutela della razza» l'Italia creò una mostruosità giuridica e morale che non aveva l'eguale sulla scena europea. L'alleanza con la Germania hitleriana era nei fatti, prima ancora che nei patti.
In quello stesso anno, la scomparsa, direttamente o indirettamente addebitabile al fascismo, delle due grandi figure dell'opposizione, note sulla scena mondiale, ossia, in Italia, Antonio Gramsci, che moriva all'alba del 27 aprile, dopo una lunga agonia nelle prigioni del duce, e, in Francia, Carlo Rosselli, ucciso insieme con suo fratello Nello, dai «cagoulards», ossia i sicari francesi del fascismo. Sembrò che le speranze di una ripresa dell'antifascismo fossero prossime a spegnersi: non è un caso che un compagno di Gramsci, Angelo Tasca, pubblicasse, l'anno dopo, un libro, in francese (Naissance du fascisme), che voleva essere un grido d'allarme proprio contro quella piovra che minacciava il mondo. E che nella sua patria autentica, l'Italia, aveva ormai perfezionato il suo controllo non solo politico, ma culturale e antropologico sugli italiani. Uno dei protagonisti di questa fase fu Cesare Maria De Vecchi, che ancora nell'anno '37 dava alle stampe un farraginoso volume ridondante di retorica: Bonifica fascista della cultura è il suo inquietante titolo. In quel medesimo anno, si chiudeva la pubblicazione, avvenuta a tempo di record (il primo volume era apparso nel '29), dell'Enciclopedia Italiana, diretta da Giovanni Gentile. Non è casuale che in quel 1937 nascesse il Ministero della Cultura Popolare - subito ribattezzato dagli italiani, tra il serio e il faceto, Min.Cul.Pop. - che fu da allora in avanti strumento fondamentale del regime ai fini del controllo degli intellettuali. Ma, se riuscì a irreggimentare gli uomini, alla lunga, il controllo delle idee si rivelò impraticabile nella sua ambizione totalitaria: e oggi nel Pantheon degli italiani, mettiamo Gramsci e Rosselli, non De Vecchi o Bottai. E in quello degli europei non troveranno posto né Hitler, né Franco, né Mussolini.


La Stampa, 27 aprile 2007

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