28.7.16

Sebastiano Timpanaro educatore politico (Tullio De Mauro)

Quello che segue è un ampio stralcio dell'intervento di Tullio De Mauro tenuto alla Normale di Pisa nell'anniversario della morte di Sebastiano Timpanaro, pubblicato dal quotidiano “la Repubblica”. (S.L.L.)
SebastianoTimpanaro

Sebastiano Timpanaro era nato nel 1923 a Parma, dove il padre, suo omonimo, siciliano d'origine, era aiuto di fisica sperimentale. Il ricordo del padre non è un puro dato biografico. Dobbiamo ricordarne la figura per i suoi contributi di promozione e difesa della cultura scientifica e della razionalità critica nel nostro paese e per la sicura influenza intellettuale ed etico-politica che esercitò sul figlio, che alla figura paterna e al suo socialismo tornò nel 1952, curandone una raccolta di scritti di storia e critica della scienza. Il padre, con la madre, Maria Timpanaro Cardini, autrice di studi ed esemplari edizioni della sofistica, si trasferì poi in Toscana come professore di liceo a Firenze e come direttore della Domus Galileiana a Pisa. E qui, tra Firenze e Pisa, il giovane Sebastiano Timpanaro conobbe Giorgio Pasquali e ne divenne allievo.
Per ogni filologo l'incontro con la riflessione critica sulla lingua è, occorre credere, ineluttabile. Un critico letterario, uno storico di tipo italiano può forse credere di farne a meno. Un filologo no. Ovvio che ineluttabile fosse quell'incontro anche per il giovane Timpanaro.
Pasquali dette al giovane un'altra impronta indelebile: il rispetto sì degli apparati disciplinari, ma insieme la consapevolezza che nelle "scienze dello spirito" (e forse non solo) comandano i problemi e per intenderli e risolverli occorre sapersi munire di armi disciplinari anche eterogenee, a costo di perdere concorsi universitari perché non si è icsologi puri, avendo studiato anche y, z e magari a e b. A costo di perderli o di tenersene lontani, come Timpanaro ha fatto per tutta la vita. C'era un altro passo che sulla via dell'appropriazione della linguistica restava e resta sempre da fare. È il passo, non facile, della storicizzazione critica degli strumenti di analisi e dei quadri teorici della linguistica. In modo un po' paradossale si può dire che questo passo consiste nel trattare la linguistica proprio come un filologo pasqualiano sa trattare un testo: come un insieme che ci si offre sì con una sua coerenza, talora chiusa, magari mutriosa e superciliosa, e tuttavia formatosi tra i rimbalzi e le occasioni (magari mancate) della vicenda storica, a volte biografica. Questo passo ulteriore, di conquista della consapevolezza storica e critica della linguistica, è stato compiuto da Timpanaro, e magistralmente, e in epoche in cui né la linguistica era di moda o ben affermata in Italia né, in tutto il mondo, gli studi di storia e teoria della linguistica avevano sviluppo e credito perfino tra gli stessi linguisti.
Dagli anni Cinquanta Timpanaro entra in questi campi da dominatore, li svecchia. I suoi lavori di taglio più accentuatamente storico, su Friedrich e Wilhelm Schlegel e gli inizi della indoeuropeistica in Germania, su Franz Bopp e il mondo culturale tedesco della Romantik, e sulla ricezione di ciò nel mondo culturale italiano, su Carlo Cattaneo, Bernardino Biondelli, Graziadio Ascoli e i suoi epigoni, su figure minori come Lignana o Flechia, segnano altrettante svolte nello stato degli studi di storia degli studi linguistici. La trama di questi lavori di storia della linguistica mostra chiari legami con i lavori della storia della cultura e della società italiana dall'Otto al Novecento: del resto personalità come Cattaneo, più evidentemente, ma perfino lo stesso Ascoli difficilmente si lasciano chiudere entro l'orizzonte della sola linguistica.
Così Timpanaro pare sospinto dai suoi stessi oggetti a procedere oltre, a collegare il suo lavoro di ripensamento storico della linguistica ottocentesca ad altro: a studiare la vita culturale e sociale italiana dell' Ottocento, da un lato, dall'altro a procedere nell'analisi delle radici e dei limiti dell'organizzazione teorica della linguistica ottocentesca, ciò che lo porta ad allargare lo sguardo alla linguistica del Novecento, dagli apporti di Meringer e Freud e della psicanalisi e da Saussure fino allo strutturalismo dei linguisti e degli antropologi, a Chomsky.
Ma si resta ancora lontani dal capire il senso d'insieme di questi lavori. Essi possono perfino suscitare l'impressione di una certa dispersività, tanto più se ad essi si affiancano i lavori più strettamente filologicotestuali, da un lato, e poi, ancora, il noto recupero pieno del Leopardi filologo, linguista e, soprattutto, filosofo materialista, i contributi importanti di storia della cultura letteraria e della lotta politica in Italia, di storia della Resistenza in Toscana, su De Amicis narratore e socialista, su idealismo e materialismo, in biologia, storia, letteratura, sul marxismo teorico e politico, su analogie e diversità tra diritto e altre istituzioni sovrastrutturali e non, a cominciare dalla lingua.
Timpanaro stesso sapeva bene che qualcuno intorno a lui lamentava questo suo apparente disperdersi. A proposito del suo aver lasciato da parte il progetto giovanile di un'edizione critica di Ennio e di non avere mai intrapreso quell'edizione critica di Virgilio che Eduard Fraenkel sognava per lui, Timpanaro nel 1981 scriveva con grande modestia: «Anche parecchi anni fa mi sarebbero (...) mancate la pazienza e l'assidua dedizione a un unico argomento».
Eppure la dedizione a un "unico argomento" c'era. È giunto assai vicino a coglierlo chi, come Emanuele Narducci in un ritratto fatto per “Belfagor” ha additato la costante passione politica democratica e socialista che trascorre nella vita e traspare quasi in ogni scritto di Timpanaro, quelli metricologici compresi. La milizia politica appassionata e rigorosa, e quindi per lunghi tratti e negli ultimi anni quasi inevitabilmente isolata, "inorganica", essa stessa ha però una chiave eticointellettuale che la anima e giustifica. Credo che si debba riandare a quello che Timpanaro ha scritto del padre e alla figura del padre, suo omonimo: un uomo che avvertì il peso sociale e culturale, la vergogna etica della chiusura italiana verso le scienze e la razionalità scientifica e spese la sua vita di saggista e storico per combattere tale chiusura. Questo a me pare che abbia lasciato non una traccia, ma una piena continuità in Timpanaro junior. Ogni suo scritto è una difesa dei diritti della razionalità, inclusi in ciò il riconoscimento della fragilità e dei limiti della razionalità stessa, con un destinatario preciso: la nostra cultura e le nostre inculture nazionali che bloccano il cammino civile della nostra società italiana e di altre.
Di lui può e deve dirsi quel che è stato detto di un altro sommo "dispersivo", il suo amato Cattaneo. Come le opere di Cattaneo, anche gli scritti di Timpanaro ritrovano una profonda unità se sappiamo vederne nell'autore un "educatore politico". Educatore politico e perciò filologo insigne, educatore politico e perciò profondo conoscitore dell'essere e dei malesseri della nostra tradizione culturale e filosofica, educatore politico e perciò volta a volta pronto a scendere in campo contro le persistenze vacuamente spiritualistiche o sprofondarsi nelle ricerche di storia della linguistica o di linguistica teorica.


“la Repubblica”, 23 novembre 2001  

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