22.8.16

Il culto vesuviano della Madonna dell'Arco (Giovanni Vacca)

Il santuario della Madonna dell'Arco è un edificio religioso sito nel territorio comunale di Sant'Anastasia sulle pendici del Vesuvio. Ogni Pasquetta è meta del tradizionale pellegrinaggio dei fujenti (o battenti) che accorrono numerosi da tutta la Campania. I fujenti sono soliti accompagnare il loro pellegrinaggio con una melodia vocale molto antica, forse risalente al tempo del miracolo che diede origine al culto, il sanguinamento di un'immagine della Madonna, offesa per essere stata danneggiata ad opera di due giocatori che - bestemmiando alla grande – giocavano a palla nel sito. Al gran pellegrinaggio vengono condotte in processione statue di Madonne assise nei loro seggi (torselli) e seguite da scenografici cortei (paranze). Pubblico qui un'appassionata descrizione del rito tratta da un libro di Giovanni Vacca e ripresa dal suo sito (http://giovannivacca.it/) . (S.L.L.)

…Fenomeni simili, un tempo assai diffusi, si sono oggi fortemente ridotti con forse una sola, significativa, eccezione, il culto della Madonna dell’Arco che tuttora si celebra nella omonima località in provincia di Napoli, ogni lunedì in Albis, nel santuario frequentato in gran parte dal sottoproletariato e dal proletariato marginale dell’area napoletana: una Madonna severa e vendicativa che non ha esitato, nelle leggende che la riguardano, a punire duramente coloro che le avevano mancato di rispetto. Chi si reca in quella data al santuario non può non essere scosso dalla tensione che vi si respira. Una fiumana di pellegrini vestiti, cani randagi stesi sul sagrato, odori che sembrano avere corpo e volume. E in alto, tra le bancarelle, seguendo con lo sguardo la strada che porta alla stazione ferroviaria, gruppi di danzatori scatenati che ballano al suono di flauti e tamburi. di bianco, organizzati per gruppi, attende di varcare la soglia della chiesa; uomini e donne, senza distinzione di età e spesso scalzi, a frotte raggiungono l’altare per ottenere una grazia camminando in ginocchio o strisciando velocemente per terra in ordine sparso, proprio come dei serpenti liberati da un cesto; bandiere con l’immagine della Madonna, ceri e gigantesche costruzioni votive che avanzano in un silenzio irreale rotto solo da canti melismatici intonati a voce altissima, dal fruscio dei vestiti e dal sibilo delle scarpe di gomma sul pavimento; e poi all’improvviso l’esplosione, l’urlo, la crisi, l’invocazione della grazia da parte di qualcuno che cade rigidamente sulle spalle scalciando con violenza fino allo svenimento, e quindi l’accorrere dei volontari del servizio d’ordine per trascinarlo fuori e farlo riprendere. Intanto la crisi come una scossa elettrica, un lampo, un’onda di energia, si propaga ad altri penitenti. E ancora cadute, grida, svenimenti e pianti, tentativi di scavalcare le barriere e gettarsi sull’altare per raggiungere l’immagine della Vergine. E sempre più padri domenicani e volontari che intervengono serrando le fila con forza, in una ridda di braccia e gambe, di voci che si sovrappongono, di muscoli tesi, di facce stravolte, con una folla che si accalca nelle navate laterali, premendo dietro le transenne, e che litiga per ottenere un posto in prima fila. E poi la calma, l’uscita dei devoti alle spalle dell’altare per la consegna di soldi, ceri e fiori in omaggio alla Madonna e un nuovo gruppo che entra lento, come quello precedente. 

Fino a che qualcuno, prima o poi, sorprendendo tutti, non ricominci, in uno spazio indifferente ad ogni ordine geometrico perché la crisi può manifestarsi in qualsiasi punto della navata percorsa dai devoti e propagarsi in qualsiasi altro punto, in maniera imprevedibile. E tutto questo per ore e ore, dall’alba al tramonto fino a perdere la percezione del tempo come in un sogno, e ad abituarsi al rito, alla vista dei fujenti che sembrano non finire mai. E fuori, sotto al sole, un paesaggio surreale: una strada statale completamente intasata, bloccata dalle lunghe code di chi deve ancora entrare, carabinieri vicino a delle sbarre di ferro che controllano il flusso dei pellegrini, toselli che ondeggiano sui ritmi delle bande musicali delle varie paranze.
Tutto, in questo rito, si pone sotto il segno dell’eccesso, della potenza, della violenza del sacro, dando una forte espressione alla memoria di un sud che in riti arcaici trova la sola possibilità di resistere a vecchi e nuovi malesseri, un sud sofferente.


Da Nel corpo della tradizione, Squilibri, 2004
Le immagini sono tratte dal sito del santuario

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