22.8.16

Pino Daniele. Un’anima blues nata sotto il Vesuvio (Flaviano De Luca)

Quando scompare una stella che ci ha riscaldato il cuore a lungo, ci sentiamo tutti addolorati e tristi. Non è solo la notizia improvvisa o l’eta ancora florida o gli smaglianti ultimi concerti, Pino Daniele è stato un chitarrista e cantante di grandissimo successo, ma ha accompagnato tante stagioni felici della nostra musica, quasi da amico fraterno, compagno di numerose generazioni che hanno cantato e ballato al ritmo dei suoi brani indimenticabili.
Apparve alla fine degli anni ’70 come prototipo di nuovo figlio di Napoli, timido e scontroso, con i piedi ben saldi nella tradizione sonora cittadina e attento alle suggestioni che arrivavano dai ritmi afroamericani, dagli amati Weather report e Miles Davis, dal rock e dalla new wave.
Da Terra mia a Nero a metà passando per A me piace o blues, il concerto a Piazza Plebiscito nel 1981 davanti a 200 mila persone segnò la riscossa dei giovani metropolitani dopo il terremoto, una testimonianza importante dello spirito di entusiasmo di allora. La nascita di una nuova consapevolezza, cresciuta sulle ceneri dell’impegno politico, in un periodo di esuberante creatività, pensiamo a Ricomincio da tre, il film di Massimo Troisi, altro brother appassionato, o Tango glaciale, lo spettacolo teatrale assolutamente geniale di Mario Martone o il romanzo Un giorno e mezzo di Fabrizia Ramondino e naturalmente alla scena ribelle di Zezi, Sepe e vesuwave, se non vogliamo citare Disoccupati Organizzati e Lucio Amelio.
«Je so pazzo e voglio essere chi vogl’io, e non sono menomato sono pure diplomato e la faccia nera l’ho dipinta per essere notato». Così Daniele sceglie di vivere a Roma (anzi più precisamente all’Olgiata) anche se la sua fonte d’ispirazione continuerà a essere la capitale del mezzogiorno, attraverso musicisti e amici (l’elenco dei collaboratori è interminabile: James Senese, Enzo Avitabile, Tony Cercola, Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo, Ernesto Vitolo, Joe Amoruso, Rosario Iermano, Agostino Marangolo) tuttavia rivolgerà la sua attenzione oltreoceano, ai bluesman famosi e ai chitarristi eccezionali (da Richie Havens a Eric Clapton, Pat Metheny,Nana Vasconcelos), venerati come maestri. A Napoli tornerà spesso polemicamente, non riconoscendo più la sua citta devastata dai mali secolari ingigantiti da immondizia e camorra.
Da innamorato pazzo della chitarra passerà attraverso stagioni di easy listening e di assoli memorabili (come il duetto di un paio d’anni fa a Cava de Tireeni con Eric Clapton), con rigorosa disciplina continuava a studiare la sei corde e col web aveva aumentato la sua popolarità, già enorme.
Il suo rapporto con la città e con gli amici di un tempo è stato contraddittorio fino alle recenti riunion a Verona e in giro per lo stivale (così forse si spiega la scelta della commemorazione pubblica al Divino Amore e la sepoltura in Toscana, il suo buen retiro ) alla notizia della sua scomparsa, si può reagire solo come fece lui stesso nel 1994 per Troisi. «Spero che sia tutto un errore. Spero che domani mattina mi sveglio ed è stato tutto un brutto sogno». Dagli in faccia, Pino, amato fratello blues.


“il manifesto, 6 gennaio 2015

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