24.8.16

La parola "mafia" (Leonardo Sciascia, 1986)

L'articolo che segue fu pubblicato nel 1986, mentre nell'aula-bunker per l'occasione apprestata si svolgeva il più celebre “maxiprocesso” a Cosa Nostra e a tanti suoi affiliati. (S.L.L.)

Manzoni lesse in spagnolo il Don Chisciotte; e quando si imbatteva in parole o espressioni ancor vive nel dialetto milanese, diligentemente le annotava. Ne fece poi un elenco, che diede a degli amici: e da loro ci è stato conservato. Nell'elenco è la parola "mafia", non registrata dai dizionari della lingua spagnola e finora - per me - introvabile nel Don Chisciotte. L'ho cercata, nell'edizione Aguilar delle opere di Cervantes, in tutti i luoghi in cui pensavo potesse trovarsi; ho chiesto soccorso agli amici che molto meglio di me conoscono lo spagnolo e Cervantes. Inutilmente. Non mi resta che rileggere, dopo circa trent'anni, il libro dal principio alla fine; e prevedo con fatica, se il diletto di rileggerlo sarà insidiato e guastato dalla caccia a quella sola parola.
Mi interessa ritrovarla, quella parola, non solo per liberarmi da un'ossessione, piccola quanto si vuole ma ossessione, ma anche per trovarvi rispondenza a un passo di Borges che mi è, per così dire, saltato agli occhi trovandolo isolato nel Borges A/Z recentemente pubblicato da Ricci: una specie di dizionario borgesiano curato da Gianni Guadalupi. Alla voce "argentino", che Guadalupi trae dall'Evaristo Carriego, Borges dice di aver sempre pensato che l'Argentina fosse irrimediabilmente diversa dalla Spagna; ma ad un certo punto due righe del Don Chisciotte sono bastate a convincerlo di essere in errore. Le due righe sono queste: "... che nell'aldilà ciascuno se la veda col proprio peccato", ma in questo mondo "non è bene che uomini d'onore si facciano giudici di altri uomini dai quali non hanno avuto alcun danno".
Credevo anch'io, come Borges, che nella mafia, nel "sentire mafioso", nell'indifferenza della maggior parte dei siciliani di fronte alla mafia, non ci fosse nulla di spagnolo: ma questo passo di Borges, con dentro le due righe di Cervantes, mi ha convinto che sbagliavo. E poi la parola, la finora introvata parola registrata dal Manzoni. Voglio dire: quel che oggi, mentre si celebra il grande processo contro la mafia, i non siciliani colgono di sgradevole e di condannabile nei siciliani, ha questa antica radice: il non voler giudicare uomini da cui credono di non aver ricevuto alcun danno.
Non tutti i siciliani, si capisce: poiché la cultura - quella vera - in tanti è riuscita a rimuovere questo sentimento e atteggiamento. Ed è comprensibile che l'imbattervisi dia a un non siciliano impressione di connivenza, di complicità: mentre semplicemente si tratta di un "modo d'essere". E tanto più negativa impressione, questo sentimento e atteggiamento, per il fatto che molti ne sostengono la validità col dire che dalla mafia e dai mafiosi non hanno avuto alcun danno diretto, personale; mentre certamente, inevitabilmente, tutti i siciliani ne hanno avuto danno indiretto e di enorme proporzione.
È chiaro che non sto rifugiandomi nella letteratura per cercare alibi, ma - come sempre - per capire. Certo, ci sono altre ragioni che possono giustificare l'indifferenza e lo scetticismo dei siciliani, dei palermitani particolarmente, di fronte al grande processo: e non ultima quella che i commerci continuano ad essere taglieggiati come prima, forse peggio di prima. Ma, a chi sappia ben vedere il significato di questo processo, non è ragione per conferirgli poca importanza. Il processo è importante, e di effetti che si dispiegheranno nel tempo.


L'Espresso, 16 marzo 1986 in A futura memoria, 1989

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