11.8.16

La resistenza dimenticata. Tedeschi contro il nazismo (Ekkehart Krippendorf)

Tra il settembre del ’43 e il gennaio del '44 una mezza dozzina di attentati contro Hitler fallirono all'ultimo istante. Giovedì 20 luglio del ’44 il colonnello Schenk introdusse una bomba nella tana del lupo a Rastenburg, nella Prussia Orientale. Hitler rimase miracolosamente illeso. L’attentato era stato voluto dalle più alte gerarchie della casta militare prussiana. I congiurati furono processati il 7 agosto, impiccati a ganci da macellaio e strozzati con corde di violino. Hitler volle il film dell’esecuzione e lo visionò la sera stessa. Rastenburg si chiama oggi Ketrzyn ed è in territorio polacco.
Se si pensa alla Germania del terzo Reich tornano alla memoria quasi automaticamente tre tipi di immagini : masse giubilanti inquadrate in imponenti colonne o riunite negli stadi, l’orrore dei campi di concentramento fotografati al momento della liberazione, e le scene di guerra.
Resta, irrisolto, un interrogativo inquietante, per il quale non ci sono facili risposte. Come è potuto accadere che un popolo con una grande tradizione culturale e una classe operaia politicamente all'avanguardia in Europa siano stati sopraffatti e abbiano sopportato senza resistenza questo regime barbarico fino alla fine?
Oggi viene ricordato nella Repubblica federale tedesca il quarantesimo anniversario del 20 luglio, quando un gruppo di ufficiali, diplomatici e alti funzionari statali mise in atto un attentato a Hitler che fallì solo per un pelo: questa data viene celebrata come prova che negli anni oscuri dell’hitlerismo c’è stata anche un’altra Germania, non nazista.

I congiurati, la punta di un iceberg
Ma quelli che oggi festeggiano solennemente la ricorrenza celebrano in fin dei conti solo se stessi: la classe politica odierna, in un atto di riconoscimento postumo, tende la mano alla classe politica allora all’opposizione, solidarizza con essa, e se ne proclama erede. Perché «gli uomini del 20 luglio» appartenevano alla classe politica, non erano «il popolo». Avevano un progetto politico (l’obiettivo immediato era la fine della guerra) e avevano da parte loro tollerato sin troppo a lungo il regime hitleriano prima di prendere chiaramente coscienza della natura distruttiva del nazismo e del führer.
Certo agirono da uomini d’onore, mettendo i valori morali al di sopra dei loro interessi personali. Ma non si può distinguere del tutto il loro atto coraggioso dalla circostanza che ormai con tutta evidenza la guerra non poteva più essere vinta. A merito di questo settore della classe politica occorre tuttavia aggiungere che negli ambienti degli alti ufficiali furono elaborati, a partire dal 1938 numerosi piani di attentati, che in alcuni casi giunsero assai vicino all’attuazione: una volta una bomba collocata su un aereo non esplose, un’altra volta Hitler si allontanò in anticipo da un’esposizione di armi, in occasione della quale un colonnello (oggi ancora vivente) aveva deciso di saltare in aria insieme al führer.
Eppure la congiura del 20 luglio non fu un’espressione della resistenza popolare, e oggi, il fatto che
si torni a celebrare con tanta enfasi questa data, sembra confermare per l’ennesima volta che davvero il popolo tedesco non ha opposto nessuna vera resistenza. E questo è un altro argomento per le odierne commemorazioni degli uomini del 20 luglio: siccome il popolo apparentemente non oppose alcuna resistenza, gli attuali governanti non hanno bisogno di giustificarsi per non aver fatto nulla allora: il nazismo fu una specie di catastrofe naturale, una tragedia imposta dal destino ai tedeschi.
Nella Repubblica democratica tedesca la cosa viene vista diversamente. Qui fin da subito si è imposta nella coscienza storica ufficiale la tesi che ci sia stata un’attiva resistenza antifascista: si è messo molto in rilievo il ruolo del gruppo di spionaggio «Rote Kapelle» e accanto a questo, l’azione di numerosi gruppi e cellule per lo più composte da militanti comunisti. La Rdt non ha mai dato molto peso al 20 luglio come data importante per la resistenza, preferendo dedicare sistematicamente scuole, strade e fabbriche a combattenti comunisti della resistenza. Dì fatto dopo il 1933 più della metà dei 300.000 iscritti al partito comunista venne arrestata, e tra questi alcune migliaia furono uccisi.
Attualmente la sinistra della Germania occidentale nella sua lotta contro i missili, e quindi contro il ritorno di una politica disumana e potenzialmente apportatrice di stermini di massa (Auschwitz - Hiroshima), si rifà alla resistenza (mancata) nel terzo Reich. Essa pensa di dover recuperare una lacuna storica, di dover riparare con l’azione alle omissioni di allora. «Mai più guerra» si diceva nel ’45 e si ripete oggi, e molti giovani hanno una cattiva coscienza per il fallimento dei loro padri.

13.405 condanne a morte in undici anni
Questi giovani sono vittime di una storiografia deliberatamente distorta, che ha loro impedito di rendersi conto della resistenza attiva e coraggiosa di vasti settori del popolo tedesco. Anche loro vedono soltanto immagini di masse naziste festanti e, nei volti smagriti dei prigionieri dei campi di concentramento riconoscono soprattutto ebrei e perseguitati per motivi razziali. Eppure nei campi venivano rinchiusi torturati e uccisi loro e nostri compagni anche non ebrei.
La resistenza tedesca, la resistenza dei singoli, è stata ampia, coraggiosa, pronta al sacrificio, e regge a ogni confronto storico e internazionale. Per venire al punto che qui più mi interessa, io non conosco nessun’altra situazione storica, nessun popolo, che di fronte a un rischio personale tanto alto abbia opposto una resistenza così attiva a un ingiusto regime interno come il popolo tedesco tra il 1933 e il 1945.
Facciamo un confronto con il fascimo italiano. Io ho sempre avuto il più alto rispetto storico e personale per l’eroica lotta partigiana, per la resistenza, senza la cui eredità la repubblica italiana sarebbe assolutamente impensabile. Solo relativamente tardi, sebbene si tratta di un’osservazione ovvia mi sono reso conto che questa lotta armata si rivolgeva innanzitutto contro un’occupazione straniera, anticipando l’arrivo degli alleati ma comunque potendo contare con relativa sicurezza su un’imminente liberazione, e non era, almeno non in primo luogo, una lotta armata e rivoluzionaria contro il proprio governo.
Il popolo tedesco non ebbe la chance di potersi ribellare contro un’occupazione straniera fascista e repressiva. Aveva a che fare con il proprio governo, giunto al potere per via legale.
É utile considerare alcuni dati sulla repressione nei 16 anni (1927- 1943) in cui il fascismo funzionò come regime, e paragonarli poi con quelli tedeschi. Il tribunale speciale condannò 4.596 persone a 27.752 anni di prigione complessivamente; pronunciò in tutto 42 condanne a morte, delle quali 31 vennero eseguite. Accanto al carcere c’era l’istituto del confino: 17.000 italiani, sospetti di antifascismo, vi vennero condannati. La maggior parte dei condannati sopravvissero al regime e, come è noto, carceri e luoghi di confino divennero importanti centri di formazione politica soprattutto per i comunisti.
Le cose andarono diversamente nella Germania nazista. Dal 1933 al 1939 (cioè soltanto in sei anni) i soli tribunali ordinari condannarono più di 225.000 tedeschi a 600.000 anni di prigione per motivi politici.
Nel 1939, al momento dello scoppio della guerra, non meno di 300.000 tedeschi si trovarono in carcere per ragioni politiche. A questi dati si deve aggiungere il numero, impossibile da precisare, di coloro che furono arrestati e deportati nei campi di concentramento: un tedesco ogni 60.
E ognuno sapeva — questo è il punto che occorre sempre tenere presente — ciò che lo aspettava quando manifestava un’opinione antinazista o addirittura intraprendeva un’azione antinazista: in Italia, nel caso migliore, il trattamento all’olio di ricino, nel peggiore il confino. In Germania: campo di concentramento, torture, morte per sevizie o per la sentenza di un tribunale. Nei 25 anni tra il 1907 e il 1932, 1.400 uomini furono condannati a morte e 345 vennero effettivamente uccisi. Sotto il regime nazista in soli undici anni furono pronunciate 13.405 condanne a morte, 11.881 delle quali eseguite, e più della metà per reati politici (in Italia, come si è detto, 31). Nei quattro mesi del dodicesimo anno nazista ci furono ancora 800 condanne.

Un’eredità storica volutamente nascosta
Condanne a morte : questa la pena per reati politici come la stampa e la diffusione di volantini, lettere anonime di contenuto antifascista, scritte sui muri, sabotaggi della produzione bellica, ma anche la pura e semplice espressione di opinioni disfattiste sul regime, di barzellette su Hitler, Göring, Goebbels. Resistenza nelle forme più diverse. Se ne conosceva il prezzo, eppure si lottava.
Chi era questa gente? All’inizio compagni, che si sentivano abbandonati e traditi dall’inattività dei loro partiti — il socialdemocratico e il comunista — dai quali molti si erano attesi un appello allo sciopero generale. Singole persone o piccoli gruppi, che pensavano di dover fare qualcosa contro il governo nazista. Più tardi furono persone che avevano dietro le spalle pochi o nessun legame di partito: il più giovane fucilato nel 1943 aveva solo 14 anni e mezzo.
Venivano da tutti gli strati sociali e da tutte le classi: insegnanti, artigiani, apprendisti, studenti, operai. Agivano così per salvaguardare la loro integrità morale, per scuotere gli indifferenti, mettere in guardia, ammonire. Sapevano quale terrificante destino li attendeva se fossero stati scoperti, e agirono ugualmente.
Quanto più ampia sarebbe stata la resistenza se la repressione del regime non fosse stata così spietatamente feroce, se le conseguenze fossero state solo il confino o pene detentive? Non possiamo saperlo. Che la maggior parte degli uomini non siano eroi non è una colpa da rimproverargli; quelli che nonostante tutto lo sono stati meritano n nostro rispetto e sono un'eredità storica che — se non fosse stata consapevolmente sottaciuta — avrebbe potuto diventare elemento costitutivo di una Germania progressista e democratica, come lo è stata la resistenza per l’Italia di oggi.

La sinistra tedesca non deve vergognarsi
Anche l’esercito, apparentemente fedele al führer e pronto a combattere con insensata obbedienza fino alla catastrofe finale, non fu affatto così leale come sembra.
Mentre nella prima guerra mondiale furono in tutto 150 i soldati e gli ufficiali condannati a morte dai tribunali di guerra, tra l’inizio della guerra nel settembre 1939 e la fine del 1944 vennero fucilati complessivamente 9.413 soldati e ufficiali; nel solo 1944 una media di 450 al mese. In seguito alla congiura del 20 luglio, definita da Hitler opera di una «minuscola cricca di ufficiali criminali e senza onore», vennero arrestati quasi 7.000 sospetti e fucilati circa duecento congiurati. Il numero dei tedeschi uccisi nella resistenza politica contro il proprio regime può essere stimato in 40.000, una stima per difetto piuttosto che per eccesso.
Questi morti non bastarono. I nazisti riuscirono a mantenersi al potere con il terrore interno fino al compimento dei loro piani e il regime venne abbattuto dall’esterno e non dall’interno. Ma credere che — a parte gli ufficiali del 20 luglio o piccoli gruppi dì studenti come la «Rosa Bianca» dei fratelli Scholl — non ci sia stata nessuna seria resistenza, è non solo storicamente falso ma anche un’ingiuria per le decine di migliaia che hanno perso la vita e per quel milione di tedeschi che hanno diviso i campi di concentramento con gli ebrei, gli antifascisti europei, gli zingari e innumerevoli altre vittime; e che, a differenza di molti tra i deportati, si sono sacrificati per la propria scelta politica. Essere vinti da una violenza soverchiante non è una vergogna. La sinistra tedesca non deve vergognarsi della propria resistenza antifascista.


“il manifesto”, 19 luglio 1984

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