11.8.16

Stupidario dei Beni culturali (Vittorio Emiliani)

Un paio di anni fa Vittorio Emiliani, allora presidente di un Comitato per la bellezza intorno al quale non ho notizie recenti, pubblicò su “Left” uno stupidario dei beni culturali: luoghi comuni e ipocrisie abusate da coloro che dietro un fantomatico amore per la cultura e il patrimonio storico-artistico nascondono difetti, vizi e intenzioni assai pericolose. Credo che sia da conservare e tenere sempre a portata di mano, magari aggiornandolo. (S.L.L.)
La cosiddeta "Venere di Morgantina" nel Museo Archeologico di Aidone

La stupidità ha fatto progressi enormi, ha ridicolizzato il buonsenso e spande il terrore intorno a sé”. Così Ennio Flaiano nel 1969. Da allora la stupidità è progredita ancor più nel Belpaese, insieme all’analfabetismo di ritorno, specie nel campo della cultura dell’arte e del paesaggio. Questo “Stupidario” è soltanto un primo ironico cantiere dei luoghi comuni, delle frasi fatte, delle sciocchezze demenziali e arroganti che si dicono e che si vogliono attuare. Per smantellare, in realtà, la tutela residua dei beni culturali e ambientali, intimidendo le Soprintendenze, accusandole di ogni nefandezza burocratica, col fine (chiamali stupidi) di favorire l’ingresso dei privati ovunque vi siano profitti da rastrellare. Lo Stato, i Comuni, le comunità locali, i cittadini insomma, ci mettono i beni culturali e ambientali di tutti e i privati di turno li gestiscono profittevolmente. Alla fine di un nefasto ventennio sono portato a credere che il taglio feroce inferto al bilancio dei Beni Culturali soprattutto dopo il 2001 (-60% rispetto al bilancio dello Stato) non sia frutto soltanto di incultura, ignoranza, cialtroneria, ma obbedisca a questo disegno di dimostrare che la mano pubblica, costretta a mendicare, non ce la fa più e quindi devono subentrare i privati. Sale sempre più alto il grido: “Aridàtece Bottai!” (o almeno Spadolini, Biasini…). Mentre il Belpaese sprofonda nell’asfalto e nel cemento. Ieri accusavamo Silvio Berlusconi, ed ora che rischia di andare persino peggio?

1) “I beni culturali sono il nostro petrolio, sono i nostri giacimenti di oro nero”.
E’ una solenne scemenza la cui paternità risale ad un ministro dc dei Beni Culturali, Mario Pedini (anni di grazia 1976-78) : il petrolio oltre tutto inquina acqua e aria, corrode i monumenti, ecc. E poi finisce, mentre il patrimonio storico-artistico, se ben tenuto, non ha fine. La cultura e i suoi beni sono un valore “in sé e per sé”, non perché hanno una resa economica. Il turismo, a cominciare da quello culturale, può, deve rendere. Ma va riorganizzato a fondo.

2) “Bisogna mettere a reddito i nostri beni culturali, cavarne profitti, insomma farli fruttare”.
Altra pericolosa stupidaggine. La più pericolosa, forse. Messa in giro anche “a sinistra”, dissennatamente. Se diamo ai beni culturali un valore economico, creiamo una gerarchia fra quelli che fruttano profitti e quelli che invece no, e dei secondi, che ne facciamo? Per esempio, le biblioteche, le buttiamo? Le lasciamo deperire o marcire? Le vendiamo agli americani o ai cinesi?

3) “L’Italia possiede il 40, 50, forse il 70 % dei beni culturali del mondo”.
E’ una balla gigantesca. Non l’ha mai detto nessuno. Tantomeno l’Unesco che smentisce seccamente di averlo in alcun caso dichiarato o stimato. Abbiamo, questo sì, un patrimonio sterminato e spendiamo pochissimo per conservarlo. Cinque volte meno della Francia e anche della Spagna. Grande patrimonio=Misera spesa.

4) “I musei italiani, i siti archeologici, i monumenti hanno bisogno di manager come noi del pane”.
Macché, hanno bisogno anzitutto di riavere dei finanziamenti decenti e poi di specialisti tecnico-scientifici: storici dell’arte, archeologi, restauratori, didatti, ecc. Che mancano, in tutti i settori. Fra un po’, con altri pensionamenti, non ci saranno più. Già chiudiamo i musei piccoli o medi, e buttiamo la chiave. Non possiamo neppure cederli ai privati perché “non rendono”.

5) “E’ incredibile: agli Uffizi entrano meno di 2 milioni di visitatori e al Louvre, invece, quasi 9 milioni”.
Ma che sonora stupidaggine: il Louvre ha una superficie 30 volte più grande degli Uffizi. I nostri antichi palazzi - dagli Uffizi alla Reggia di Capodimonte, dalla Galleria Alessandro Borghese al Palazzo Ducale di Venezia - non sono propriamente gonfiabili

6) “I musei stranieri sono “macchine da soldi”, fanno dei bei profitti”.
Non è vero: al Louvre i costi, pur con l’imponente numero di visitatori paganti e con un apparato di servizi aggiuntivi da centro commerciale, sono tuttora il doppio, all’incirca, delle entrate, idem al Metropolitan di New York. Il disavanzo annuale viene coperto da sussidi statali, federali o donazioni. Quanto ai grandi musei inglesi, sono a ingresso gratuito…Si paga soltanto quando ci sono mostre.

7) “E poi, cosa sono tutti questi piccoli Musei, nei borghi, nei paesi, che non incassano quasi niente…Ma cosa aspettiamo ancora ad accorparli?”.
A parte il costo di accorpare in un solo Museo dieci-venti-trenta piccoli Musei, a parte trovare la localizzazione più idonea, vi immaginate la guerra civile che si scatenerebbe a Morgantina dove c’è la famosa Venere, piuttosto che a Sarsina dove c’è la più bella tomba romana a edicola? Forse si fa prima a renderli gratuiti abbassando il costo di gestione e aumentando il turismo, cioè l’indotto. Ma poi, avete per caso sentito parlare qualche volta delle mille e mille identità italiane?

8) “Le Soprintendenze ai Beni architettonici “bloccano la modernità”, dicono sempre e soltanto di no”.
È una vecchia solfa, rinfrescata a Firenze, ed ora a Roma, da Matteo Renzi. Bloccano, quando ne hanno i mezzi (e il coraggio), gli speculatori, i lottizzatori, i palazzinari, i ristrutturatori disinvolti…Purtroppo il personale è così scarso che ogni tecnico di queste Soprintendenze dovrebbe sbrigare 4-5 pratiche complesse per giorno lavorativo. A Milano addirittura 79 pratiche ognuno al giorno. Una follia. Così bloccano sempre meno assalti al paesaggio e ai centri storici. E poi, con la campagna di intimidazione in atto, non ci vedono più nemmeno molto bene.

9) “Dobbiamo coinvolgere i privati, anzi delegare ai privati anche la gestione dei nostri beni culturali”.
In realtà i privati nei Beni culturali ci sono già, per esempio le società che gestiscono (in prorogatio da un quinquennio!) i servizi museali aggiuntivi beccandosi dei bei soldi, mentre ai musei vanno gli spiccioli. Quanto ai privati che fanno i “mecenati” in Italia (investendo cioè senza chiedere “ritorni” di sorta) ce ne sono pochissimi: un americano ad Ercolano e un gruppo giapponese per la Piramide Cestia a Roma. E anche gli sponsor importanti si contano e sono spesso gli Enti di Stato. Negli Usa i privati mettono soldi, qui, gestendo direttamente, ambiscono a prenderne.

10) “Non mummifichiamo o non museizziamo a forza di vincoli e di limiti i nostri centri storici, animiamoli, facciamoli vivere!”.
E’ la classica ipocrisia, in realtà si vogliono creare tante Disneyland” diurne e tanti “divertimentifici” notturni senza più quei rompiscatole degli abitanti residui e delle loro famiglie che vorrebbero poter dormire di notte e vivere in modo normale di giorno. Quando non ci sarà più controllo sociale, criminalità grande e piccola, spaccio di droga e altre attività illegali la faranno da padrone.

11) “Bisogna rianimare, sbloccare l’edilizia, costruire nuove case, nuovi quartieri”.
Sbagliato. In Italia abbiamo costruito circa 150 milioni di vani, nelle grandi città ci sono decine e decine di migliaia di alloggi (a Roma 150 mila) e di uffici nuovi (a Milano 900mila metri quadrati), invenduti o sfitti. Bisogna concentrare gli sforzi nel recupero e nel riuso del patrimonio esistente, spesso degradato. E valorizzare, come in Germania e Francia, l’affitto nelle sue varie forme. Da noi si impiccano per la vita ad un mutuo decine di migliaia di giovani coppie.

12) “Ci sono tanti, troppi vincoli paesaggisti, ambientali, idrogeologici. Bisogna ridurre, semplificare”.
Una pazzia. Se il territorio italiano non fosse vincolato per quasi la metà, sarebbe già stato ancor più cementificato e asfaltato di quanto già non sia. Le Regioni, a parte la Toscana, non stanno portando all’approvazione i piani paesaggistici redatti col Ministero. Molte hanno lasciato già cadere nel nulla la legge Galasso del 1985 ed ora ignorano il Codice per il paesaggio. Il Comune più “impermeabilizzato”? Napoli, con quasi il 62% di asfalto e cemento, seguita a ruota da Milano. La Lombardia è oltre il 10 %, il doppio della Germania.

13) “Naturalmente ci sono soprintendenti e associazioni che sono i nostri Talebani della conservazione, della tutela. Quelli che dicono sempre e comunque di no”.
Così si espresse, all’incirca, anni fa, appena insediato, il neo-presidente del Consiglio Superiore dei Beni culturali (nominato da Sandro Bondi, il ministro che più tagliò finanziamenti al MiBAC, al posto del dimissionario Salvatore Settis), l’archeologo Andrea Carandini, che pure era stato uno di “Italia Nostra”, secoli prima. L’accusa “siete dei Talebani della conservazione” ha avuto e continua ad avere successo. Basta guardarsi in giro per capire che l’accusa è ridicola, per non dire di peggio. Tanto più che i Talebani non hanno conservato un bel nulla in Afganistan, ma semmai distrutto le antiche memorie non islamiche, come le due imponenti statue rupestri dei Buddha di Bamiyan. Una sciocchezza al quadrato dunque.

14) “Bisogna che l’Italia sfrutti finalmente meglio il grande potenziale economico dei Parchi, occorre allentare i vincoli sulla caccia, farla controllare dalle stesse associazioni venatorie, inserire cavatori, gestori di ski-lift e agricoltori nei consigli di amministrazione, attrezzare i parchi per le attività di svago di massa, consentire magari le pale eoliche nei pressi”.
Non sono mie invenzioni bensì alcuni dei punti essenziali, s/qualificanti, della nuova legge sui Parchi destinata a sostituire la gloriosa legge-quadro Ceruti-Cederna del ’91. Del resto, un ex presidente dei cacciatori è già stato nominato l’anno scorso presidente delle Foreste Casentinesi. Altro che “polmoni” incontaminati del Paese. “Addio monti sorgenti dalle acque, cime ineguali…”

15) “Io il Ministero per i Beni e le Attività Culturali lo butterei…e darei tutto al Ministero dell’Economia”.
E' il gran finale, ragazzi. Anzi, la soluzione finale: un unico pacco di beni culturali e turismo, con tanto privato dentro e una spruzzo di tutela (quanto basta) trasferito in blocco all’economia e allo sviluppo. La frase, testuale, è di qualche anno fa ed appartiene alla responsabile Cultura della Confindustria, Maria Grazia Asproni (una veggente), pronunciata ad un convegno pubblico al Teatro Argentina di Roma.

“Left”, 7 giugno 2014

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