14.8.16

Tasse, tasse, maledette tasse. Aldo Palazzeschi contro Roma ladrona.

Nel dicembre del 1981, sotto il titolo Tasse, tasse, maledette tasse, pubblicò alcune lettere di Aldo Palazzeschi scritte al suo avvocato ed amico Demetrio Bonuglia tra il 1953 e il 1958 fino a quel momento inedite.
Palazzeschi era convinto che gli uffici fiscali di Roma lo perseguitassero, tant'è che lasciò per qualche tempo la casa romana non ancora del tutto pagata ed acquisita per riportare la residenza a Venezia, città in cui il poeta fiorentino era vissuto negli ultimi anni. Si trattò di un trasferimento temporaneo: a Roma tornò e a Roma morì alcuni lustri dopo, nel 1974.
Riprendo qui un paio dei testi riprodotti sul settimanale, aggiungendo due considerazioni.
Prima. Palazzeschi era fieramente anticomunista e non nascondeva, quando gli capitava, il suo moderatismo cattolico filogovernativo: nel 48, per esempio, si era esplicitamente schierato per la Dc e contro il Blocco del Popolo. In una delle lettere pubblicate su “l'Espresso” e qui riprese gli scappano tuttavia parole di comprensione per gli intellettuali antigovernativi, che in verità si erano buttati, quasi tutti, a sinistra. I toni duri sono al contrario riservati all'amministrazione statale (“questi delinquenti che si accaniscono sui poveretti, sugli artisti...”).
Seconda. L'invettiva contro una Roma burocratica e ladrona sembra anticipare (di una trentina d'anni) certi umori leghisti. (S.L.L.) 

Venezia, 9 ottobre 1956
Mio caro, ecco ancora questa infame persecuzione che seguita imperterrita la sua criminale via. Oltre a quanto stupidamente accettai si aggiunge altro salasso? Ma io non sono in grado di pagare queste cifre, non le ho, è una questione molto chiara, le mie poche riserve se ne sono andate per avere un rifugio più decente a Venezia, sola casa che fino a questo momento è mia, finché il banditismo fiscale non riuscirà a togliermela, cosa che accadrà senza dubbio, io più modestamente di così non posso vivere, vivo da quattro mesi cuocendomi un pezzetto di carne la mattina e due uova la sera sopra un lumino a spirito, più giù di così non si va, il mio ne può dare perché è in mora, e io dove li piglio per pagare le tasse? E che cos’è questa commissione il cui avviso mi giunge solamente ora? Ti confesso che non ci capisco nulla, so solo che mi trovo in condizione molto critica. Per questi delinquenti che si accaniscono sui poveretti, sugli artisti, su quelli che hanno la più aleatoria delle esigenze, è davvero una cosa ignominiosa. Qui bisogna agire e con grande energia altro che contrattare coi banditi da strada. Io sono ancora impaniato qui per via di questa benedetta casa [acquistata in Calle del Forno, nel sestiere di Cannaregio, ndr.] e ne avrò ancora per una diecina di giorni, parleremo insieme, l’unica è di ricorrere senz’ altro a tutte le possibili commissioni. Il bello è che uno per via delle tasse non può muoversi dalla propria residenza, e tutte piovono sul capo nel tempo che uno è via. E' davvero una tecnica d'una furfanteria matricolata. Si capisce come gli intellettuali odino senza riserve un governo che li tratta in questa maniera disumana.

Venezia, 14 settembre 1957
Mio caro (...), prima di pagare nel comune di Roma è bene difendersi fino all’ultima goccia di sangue. Nell'altra Italia si parla della capitale come di un immondo bordello, ma a parte le esagerazioni polemiche c'è un fondo di verità sacrosanto. Proprio in questi giorni mi è giunta la denuncia per la spazzatura: è cosa che davvero fa ridere se non facesse piangere, l’ho riempita a capocchia, altrimenti avrei dovuto incaricare un esperto di andare a misurare la casa anche nel buco della merda e del piscio. E che capolavori di burocrazia per poter rompere i coglioni fino all’inverosimile al disgraziato contribuente, e tutto a sue spese, s’intende. Mi pare che si incominci a passare la burla. Giunsi a Roma con molto entusiasmo, ma oramai si sta sbollendo del tutto di fronte a tante balorde macchinazioni che rivelano l’assenza assoluta di fantasia e d’ingegno. Pensa che qui lo spazzino ogni mattina suona gentilmente per sapere se abbiamo qualcosa da dare, e di questo servizio nulla è dovuto. Mi sto sempre più convincendo e consolando qui dove ancora la vita un pochino ha senso di leggerezza e di urbanità, e se non fosse la paura dei quattro mesi d’inverno, vi rimarrei senza muovermi più. C’è ancora un fondo di saggezza e gentilezza ereditaria in questo popolo decaduto che costà neppure si sogna, si capisce che vi fu una civiltà d’altra lega.

“L'Espresso”, 13 Dicembre 1981  

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