22.9.16

Enzensberger, la vita tumultuosa di un cattivo compagno (Luigi Forte)

Hans Magnus Enzensberger è sempre stato uno scrittore controcorrente. Icona della letteratura tedesca del dopoguerra, poeta e narratore, drammaturgo e critico, giornalista ed editore, questo maestro del paradosso e dell’ironia, ha girato in lungo e in largo per il mondo. Un testimone essenziale a cui chiedere com’erano le cose un tempo. Un saggio la cui data di nascita risale al 1929. Dopo tanti suoi versi improntati al pessimismo della ragione c’era da aspettarsi, a questo punto, un bilancio, una ricca autobiografia. Ma la sua memoria - dice lui un po’ sornione - è simile a un setaccio in cui ben poco resta impigliato. Per di più non prova il minimo entusiasmo ad annotare ciò che lo riguarda. Meglio allora affidarsi al caso che un bel giorno gli fa ritrovare in cantina, dentro un paio di scatoloni, lettere, taccuini, ritagli di giornale, manoscritti sugli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Materiale di prima mano, non inventato o rielaborato a distanza di tempo. Così è nato Tumulto, un affascinante ed eterogeneo racconto, che Einaudi pubblica nella bella versione di Daniela Idra, in cui lo scrittore accosta annotazioni sui suoi viaggi in Unione Sovietica e su un lungo soggiorno a Cuba con la giovane moglie russa Maša, al vivacissimo dialogo con un sosia, cioè l’intellettuale di allora che faceva il suo ingresso nel jet-set della cultura e della politica internazionali, diventando al tempo stesso un punto di riferimento per l’opposizione extraparlamentare.
Il poeta veste i panni del globe trotter e i suoi appunti, sottratti casualmente all’oblio, si trasformano in un appassionante itinerario attraverso momenti cruciali del dopoguerra, dal revisionismo di Kruscev ai postumi della rivoluzione cubana, dal Sessantotto alle degenerazioni del terrorismo. Già nel 1963, a Leningrado per un convegno sul romanzo contemporaneo, conosce illustri autori, da Sartre a Simone de Beauvoir, da Ungaretti a Erenburg e all’imprevedibile Evtušenko che lo introduce nei locali giovanili dove si balla fino al mattino al ritmo del twist. Con flash fulminanti Enzensberger fissa atmosfere e personaggi come l’interprete Kostja che ha conosciuto il gulag e cita a memoria le poesie di Rilke o lo stesso Sartre travolto dal fiume di vodka dei troppi brindisi.
I ricordi di allora scorrono come il film di un regista insaziabile che guarda con avida curiosità dietro gli eventi diffidando di ideologie e dottrine. È il gusto per le contraddizioni che dà slancio e tensione al testo, come la scoperta del feticismo della merce nel paese del socialismo reale o il disagio verso i «professionisti delle chiacchiere» durante un megacongresso sulla pace a Baku, mentre qua e là infuriano i conflitti. In sintonia con l’autore anche il lettore smarrisce le coordinate geografiche e temporali, immerso in una sorta di elettrizzante racconto orale. È invitato nella villa di Kruscev a Gagra, dove il “piccolo grande uomo” esalta la democrazia nell’URSS e polemizza coi cinesi, oppure si associa allo scrittore e attraversa quell’immenso paese in un brulichio di lingue e popolazioni: dal Mar Caspio a Taskent e a Samarcanda, e poi oltre, fino a Irkutsk, tra palazzi zaristi, odore di taiga e infiniti visi mongoli, sognando la Transiberiana con i samovar e i letti felpati. Ma Enzensberger ha un’unica meta: tornare a Mosca, anzi a Peredelkino, dove vissero anche Gor’kij e Pasternak, dalla sua bella e giovane Maša: era nato un amour fou pronto a «trasformarsi in un travolgente romanzo russo». Lascia la moglie norvegese e va con la nuova fiamma a Berlino, poi in America e infine a Cuba. Una storia dal triste e drammatico epilogo: il divorzio nel 1980 e il suicidio della ragazza una decina di anni dopo.
Ecco un aspetto del tumulto soggettivo di uno scrittore capace di soffocare il dolore nel gesto della distanza, con incredibile forza intellettuale. «Mi sopraffà, ignoro perché, una grande quiete», scrisse nel poema La fine del Titanic. Erano ormai lontani gli anni di storica babele che “avevano ingoiato se stessi” e nei quali il suo sosia riconosce ora di essere stato piuttosto assente. I compagni creavano la Kommune I sognando il presidente Mao, masse giovanili partecipavano al congresso internazionale sul Vietman a Berlino, Rudi Dutschke dava fiato all’opposizione e la Raf con Ulrike Meinhof scendeva in clandestinità. Un tumulto sociale che vede lo scrittore in giro per il mondo, magari in Cambogia dal principe Sihanouk, a San Diego a discutere con il filosofo Marcuse, all’Avana ad ascoltare le spacconate di Castro o forse in Via Veneto con Gadda e Moravia. Un cattivo compagno - si definisce -, insofferente a qualsiasi vessillo. In realtà un grande intellettuale borghese che dialoga con Lilja Brik, Nelly Sachs, Pablo Neruda, l’illuminista moderno che, come l’amato Brecht, non produce certezze, ma stimola domande. Anzi, crea tumulto, svelando un mondo in fermento in cui mette in scena se stesso e il proprio lucido disincanto.


“Tuttolibri La Stampa”, 19 aprile 2016

Nessun commento:

Posta un commento