21.9.16

Misteri del mio paese. Il vecchio mafioso (S.L.L.)

Arnolfo di Cambio, Bonifacio VIII (al secolo Benedetto Caetani)
Primi anni cinquanta.
Il vecchio mafioso del paese era quasi riuscito nel sogno del "padrino": emancipare il figlio - avvocato - dalla sua origine, farne un uomo politico di successo, lanciato verso deputature e ministeri. Il "picciotto" era già segretario provinciale della DC, oltre che sindaco del paese strappato ai rossi con l'aiuto della repressione poliziesca che ne aveva incarcerati tanti e intimidito altrettanti. Dinanzi al rampante giovinotto sembrava aprirsi una luminosa carriera. E invece no. Era in automobile con due deputati del suo partito, un suo compaesano e compagno di studi, l'altro venuto su dalla mafia del feudo, esattamente come lui. Erano in una strada piena di curve, poco trafficata, in una zona con una forte presenza delinquenziale, nota per il degrado, la miseria, il glaucoma. Fu un'imboscata da Far West: volevano proprio lui e solo lui, il giovane avvocato, figlio del capomafia e segretario del partito. Lo ammazzarono e lasciarono liberi gli onorevoli.
Il vecchio mafioso ne soffrì molto. Sembrava essersi defilato dal mondo, mentre in paese continuavano ad accadere cose strane. Tra gli omicidi eccellenti c'era stato quello di un ricco e spregiudicato proprietario fondiario, venuto da fuori, che possedeva nella zona poderi e fattorie e aveva maritato l'unica figlia con un conte dal cognome pesante (rimandava - addirittura - a Bonifacio VIII). I malviventi lo avevano circondato mentre era in una sua casa di campagna, solo con l'autista. Si era difeso sparando, mentre il suo collaboratore - saggiamente - si era nascosto dentro un forno; ma erano in tanti e nulla aveva potuto. Dopo qualche anno sparì dalla tomba la sua bara. Si parlò di riscatto. Vennero - suscitando la nostra adolescenziale curiosità - gruppi di poliziotti coi cani addestrati a cercare dappertutto nel paese, ma senza esiti. Nessuno - che mi ricordi - collegava la sparizione di quella salma al vecchio mafioso.
Passarono alcuni anni e una dopo l'altra arrivarono due notizie sconvolgenti. Il vecchio mafioso era stato ucciso, mentre a cavallo se ne andava in campagna. Dissero che era stato il gesto di un folle, di uno che aveva reagito sparando a un mancato saluto. Io quel tipo lo conoscevo: era un po' bizzarro, ma non riuscivo a credere che avesse ammazzato il vecchio per un motivo così futile. Ero ragazzo e, se facevo domande, tagliavano corto: se in quel modo spiegavano l'omicidio le autorità in quel modo doveva essere avvenuto. Mi tenni (e mi tengo ancora) i dubbi e i sospetti.
La sorpresa più grande si ebbe quando portarono nella tomba di famiglia la bara con il cadavere del vecchio mafioso: il posto era già occupato, era lì la salma del possidente forestiero, suocero d'un conte.

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