Qualche
anno fa ho definito Borges un teologo ateo. E da aggiungere che è un
teologo che ha fatto confluire la teologia nell’estetica, che nel
problema estetico ha assorbito e consumato il problema teologico, che
ha fatto diventare il «discorso su Dio» un «discorso sulla
letteratura». Non Dio ha creato il mondo, ma sono i libri che lo
creano. E la creazione è in atto: in magma, in caos. Tutti i libri
vanno verso «il» libro: l’unico, l’assoluto. Intanto, i libri
sono come dei ribollenti «accidenti» rispetto alla «sostanza» in
cui confluiranno e che sarà il libro («substantia sive deus»:
spinozianamente); e finché non avverrà la confluenza, la fusione,
ciascun libro sarà suscettibile di variazioni, di mutamenti — e
cioè di apparire diverso ad ogni epoca, ad ogni generazione di
lettori, ad ogni singolo lettore e ad ogni rilettura da parte di uno
stesso lettore. Un libro non è che la somma dei punti di vista sul
libro, delle interpretazioni. La somma dei libri, comprensiva di quei
punti di vista, di quelle interpretazioni, sarà il libro. E dunque
che importa che un uomo di nome Jorge Luis Borges ne abbia scritti
dieci o venti o nessuno, se peraltro non si sa che cosa veramente
abbia scritto?
E
così sia di noi.
Da
Cronachette, Sellerio,
1985
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