27.12.16

La cultura secondo Federigo Enriques (Umberto Bottazzini)

Federigo Enriques (1871-1946)
«Rivedendo l’opera immensa di Federigo Enriques comprendiamo quale perdita irreparabile abbiano subito con la sua morte la matematica, la filosofia, la storia della scienza nel nostro paese». Non sono certo di circostanza le parole con cui il presidente Guido Castelnuovo annuncia ai Lincei l’improvvisa scomparsa dell’amico e collega, avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 giugno di settant’anni fa. Matematica, filosofia, storia della scienza, dice Castelnuovo. Ed in geometria si manifesta il genio precoce di un Enriques poco più che ventenne che, fresco di laurea alla Normale e vincitore di una borsa di studio, nel 1892 si presenta a Castelnuovo a Roma.
Ben presto tra i due si instaura un sodalizio scientifico, che alimenta un fitto carteggio quando Enriques si trasferisce a Bologna, si salda in un rapporto familiare con il matrimonio di Guido con Elbina, sorella di Federigo, e trova forma in lavori a due e quattro mani. Con cadenza quasi quotidiana i due matematici affidano alle loro lettere intuizioni e dubbi, risultati e ripensamenti, progressi, delusioni, entusiasmi.
Il 4 maggio 1896 Enriques sorprende l’amico scrivendogli che «da più giorni» si sta «occupando di un’altra questione che dalla matematica prende solo il pretesto. Sentendone il nome tu proverai più orrore che stupore», egli avverte Castelnuovo.
È infatti il «problema filosofico dello spazio» l’“altra questione” che ha cominciato ad appassionare Enriques. «Assaporo con voluttà, tentando di estrarne il succo» libri di critica della conoscenza, di logica, fisiologia e psicologia comparata, continua Enriques che non esita a confessare: «porto nella ricerca un entusiasmo, che tu stimerai degno di miglior causa, ma che è certo maggiore di quanto ne abbia mai provato per qualsiasi altra questione».
Nientemeno! Venticinque anni Enriques, trenta Castelnuovo. Matematici nel fiore dell’età creativa, che si sono avventurati nei territori inesplorati della geometria delle superfici algebriche.
Dieci anni più tardi, con la classificazione di quelle superfici si conclude il loro comune lavoro di ricerca, ma non quello di Enriques che continua con la collaborazione di numerosi allievi. Al tempo stesso sono giunte a maturazione anche le sue idee in filosofia. Convinto che la filosofia «debba essere fatta da spiriti scientifici, ed in servigio della scienza», dà alle stampe i Problemi della scienza (1906), vero e proprio manifesto della «filosofia scientifica» con cui egli si affaccia sulla scena filosofica italiana e internazionale.
Nel settembre di quell’anno Enriques è protagonista del primo congresso della Società filosofica italiana (Sfi). In polemica con il ministro della Pubblica istruzione, nel suo intervento sostiene «l’assurdità di preparare i futuri filosofi con una esclusiva educazione storica e letteraria», e rivendica per la matematica «un posto d’onore fra gli insegnamenti che preparano alla filosofia».
Eletto presidente della Società, stila un ordine del giorno approvato all’unanimità, che deplora «la netta distinzione delle Facoltà che in ispecie allontana la Filosofia dalle scienze matematiche, fisiche e biologiche», e auspica «la costituzione di una grande Facoltà che accolga e coordini alla Filosofia tutte le discipline teoriche».
A Milano, a pochi giorni di distanza dal congresso della Sfi si tiene anche il congresso dei Naturalisti italiani in cui il matematico Vito Volterra, in piena sintonia con Enriques, lancia la proposta di una Società italiana per il progresso delle scienze (Sips). «L’insieme dei fatti scientifici nuovi ha rinnovellato in una con le abitudini della vita, l’indirizzo generale della cultura, ed ha sviluppato e consolidato un sentimento tutto nuovo, moderno e originale, che chiamerei sentimento scientifico, il quale domina beneficamente la nostra epoca», afferma Volterra nel 1907 nel discorso inaugurale della Società, che Enriques si affretta a pubblicare nella «Rivista di scienza» (Scientia), la rivista cui ha dato vita quello stesso anno per promuovere «una Filosofia libera da legami diretti coi sistemi tradizionali» ed «affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza».
Le pagine della rivista ospitano contributi di Russell e Poincaré, Rutherford e Mach, Freud e Einstein. È una ventata d’aria fresca nel panorama filosofico del nostro Paese, che tuttavia non è affatto apprezzata dai filosofi idealisti, come sono con sfumature diverse Croce e Gentile.
Per quest’ultimo la rivista di Enriques «non può incoraggiare se non il dilettantismo scientifico», e i suoi Problemi della scienza non offrono altro che «vagheggiamenti di una filosofia scientifica» che «non si scontrano mai con la filosofia». Sono le prime avvisaglie di una lotta per l’egemonia in campo filosofico con un antagonista come Enriques che trova largo credito nella comunità filosofica internazionale.
Dal piano accademico la polemica scivola sul terreno pubblico nel 1911 all’indomani del Congresso internazionale di filosofia organizzato a Bologna da Enriques. In una velenosa intervista rilasciata a un quotidiano Croce non esita a definire il matematico-filosofo un «volonteroso» professore, «che con zelo ma scarsa preparazione si diletta di filosofia» e «si addossa le fatiche dei congressi dei filosofi, meritorie quanto sarebbero meritorie e disinteressate le mie, se organizzassi congressi di matematici».
Nel 1919 Croce la svilisce a «polemichetta» con un matematico che «era stato preso da zelo per quella filosofia astrattamente razionalistica, che sorge facile nei cervelli dei matematici e cerca e trova fortuna nei circoli democratici e massonici. Con l’aiuto dei quali, mise insieme il Congresso internazionale di filosofia in Bologna nel 1911».
La prima guerra mondiale segna per Enriques la fine di una stagione, che è resa emblematica dal suo abbandono della direzione di «Scientia». Dagli anni Venti promuove studi e ricerche in storia della scienza e, messe da parte le antiche polemiche, collabora con Gentile dirigendo la sezione di Matematica dell’Enciclopedia Treccani.
Con l’idealismo trionfante in Italia Enriques continua la sua battaglia filosofica all’estero, soprattutto in Francia. «Io appartengo alla generazione di coloro che, educati nell’ambiente della filosofia positivista, hanno visto, nella loro stessa giovinezza, risollevarsi lo stendardo dell’idealismo metafisico e ingaggiare una lotta violenta contro lo spirito positivo», afferma a Parigi nel 1935 al Congrès de Philosophie scientifique che segna la nascita ufficiale dell’empirismo logico. «Dopo trent’anni, dominati da queste correnti di pensiero – continua Enriques – assisto oggi al ritorno della filosofia scientifica…. È questo un avvenimento che saluto di tutto cuore».
Dagli eredi del Circolo di Vienna è considerato uno dei pensatori che ha «preparato il terreno ad una teoria moderna di empirismo scientifico» come dice Neurath, che lo invita a scrivere il testo introduttivo per il primo fascicolo Unity of science della nuova Enciclopedia Internazionale dell’Unità della Scienza. Ma negli stessi anni Enriques prende le distanze dal neopositivismo logico, e in una relazione ai Lincei rivendica di fronte a Gentile l’importanza della storia del pensiero scientifico e l’unità della cultura.
È il suo ultimo intervento in Accademia, il 6 febbraio 1938. Pochi mesi prima che le leggi razziali, bandendo dalle scuole e dalle università studenti e professori ebrei e i libri di autori ebrei, gli tolgano cattedra, voce pubblica e parola scritta.

Il Sole 24 Ore – Domenica, 31 Luglio 2016

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