Federigo Enriques (1871-1946) |
«Rivedendo l’opera
immensa di Federigo Enriques comprendiamo quale perdita irreparabile
abbiano subito con la sua morte la matematica, la filosofia, la
storia della scienza nel nostro paese». Non sono certo di
circostanza le parole con cui il presidente Guido Castelnuovo
annuncia ai Lincei l’improvvisa scomparsa dell’amico e collega,
avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 giugno di settant’anni fa.
Matematica, filosofia, storia della scienza, dice Castelnuovo. Ed in
geometria si manifesta il genio precoce di un Enriques poco più che
ventenne che, fresco di laurea alla Normale e vincitore di una borsa
di studio, nel 1892 si presenta a Castelnuovo a Roma.
Ben presto tra i due si
instaura un sodalizio scientifico, che alimenta un fitto carteggio
quando Enriques si trasferisce a Bologna, si salda in un rapporto
familiare con il matrimonio di Guido con Elbina, sorella di Federigo,
e trova forma in lavori a due e quattro mani. Con cadenza quasi
quotidiana i due matematici affidano alle loro lettere intuizioni e
dubbi, risultati e ripensamenti, progressi, delusioni, entusiasmi.
Il 4 maggio 1896 Enriques
sorprende l’amico scrivendogli che «da più giorni» si sta
«occupando di un’altra questione che dalla matematica prende solo
il pretesto. Sentendone il nome tu proverai più orrore che stupore»,
egli avverte Castelnuovo.
È infatti il «problema
filosofico dello spazio» l’“altra questione” che ha cominciato
ad appassionare Enriques. «Assaporo con voluttà, tentando di
estrarne il succo» libri di critica della conoscenza, di logica,
fisiologia e psicologia comparata, continua Enriques che non esita a
confessare: «porto nella ricerca un entusiasmo, che tu stimerai
degno di miglior causa, ma che è certo maggiore di quanto ne abbia
mai provato per qualsiasi altra questione».
Nientemeno! Venticinque
anni Enriques, trenta Castelnuovo. Matematici nel fiore dell’età
creativa, che si sono avventurati nei territori inesplorati della
geometria delle superfici algebriche.
Dieci anni più tardi,
con la classificazione di quelle superfici si conclude il loro comune
lavoro di ricerca, ma non quello di Enriques che continua con la
collaborazione di numerosi allievi. Al tempo stesso sono giunte a
maturazione anche le sue idee in filosofia. Convinto che la filosofia
«debba essere fatta da spiriti scientifici, ed in servigio della
scienza», dà alle stampe i Problemi della scienza (1906),
vero e proprio manifesto della «filosofia scientifica» con cui egli
si affaccia sulla scena filosofica italiana e internazionale.
Nel settembre di
quell’anno Enriques è protagonista del primo congresso della
Società filosofica italiana (Sfi). In polemica con il ministro della
Pubblica istruzione, nel suo intervento sostiene «l’assurdità di
preparare i futuri filosofi con una esclusiva educazione storica e
letteraria», e rivendica per la matematica «un posto d’onore fra
gli insegnamenti che preparano alla filosofia».
Eletto presidente della
Società, stila un ordine del giorno approvato all’unanimità, che
deplora «la netta distinzione delle Facoltà che in ispecie
allontana la Filosofia dalle scienze matematiche, fisiche e
biologiche», e auspica «la costituzione di una grande Facoltà che
accolga e coordini alla Filosofia tutte le discipline teoriche».
A Milano, a pochi giorni
di distanza dal congresso della Sfi si tiene anche il congresso dei
Naturalisti italiani in cui il matematico Vito Volterra, in piena
sintonia con Enriques, lancia la proposta di una Società italiana
per il progresso delle scienze (Sips). «L’insieme dei fatti
scientifici nuovi ha rinnovellato in una con le abitudini della vita,
l’indirizzo generale della cultura, ed ha sviluppato e consolidato
un sentimento tutto nuovo, moderno e originale, che chiamerei
sentimento scientifico, il quale domina beneficamente la nostra
epoca», afferma Volterra nel 1907 nel discorso inaugurale della
Società, che Enriques si affretta a pubblicare nella «Rivista di
scienza» (Scientia), la rivista cui ha dato vita quello
stesso anno per promuovere «una Filosofia libera da legami diretti
coi sistemi tradizionali» ed «affermare un apprezzamento più largo
dei problemi della Scienza».
Le pagine della rivista
ospitano contributi di Russell e Poincaré, Rutherford e Mach, Freud
e Einstein. È una ventata d’aria fresca nel panorama filosofico
del nostro Paese, che tuttavia non è affatto apprezzata dai filosofi
idealisti, come sono con sfumature diverse Croce e Gentile.
Per quest’ultimo la
rivista di Enriques «non può incoraggiare se non il dilettantismo
scientifico», e i suoi Problemi della scienza non offrono
altro che «vagheggiamenti di una filosofia scientifica» che «non
si scontrano mai con la filosofia». Sono le prime avvisaglie di una
lotta per l’egemonia in campo filosofico con un antagonista come
Enriques che trova largo credito nella comunità filosofica
internazionale.
Dal piano accademico la
polemica scivola sul terreno pubblico nel 1911 all’indomani del
Congresso internazionale di filosofia organizzato a Bologna da
Enriques. In una velenosa intervista rilasciata a un quotidiano Croce
non esita a definire il matematico-filosofo un «volonteroso»
professore, «che con zelo ma scarsa preparazione si diletta di
filosofia» e «si addossa le fatiche dei congressi dei filosofi,
meritorie quanto sarebbero meritorie e disinteressate le mie, se
organizzassi congressi di matematici».
Nel 1919 Croce la
svilisce a «polemichetta» con un matematico che «era stato preso
da zelo per quella filosofia astrattamente razionalistica, che sorge
facile nei cervelli dei matematici e cerca e trova fortuna nei
circoli democratici e massonici. Con l’aiuto dei quali, mise
insieme il Congresso internazionale di filosofia in Bologna nel
1911».
La prima guerra mondiale
segna per Enriques la fine di una stagione, che è resa emblematica
dal suo abbandono della direzione di «Scientia». Dagli anni Venti
promuove studi e ricerche in storia della scienza e, messe da parte
le antiche polemiche, collabora con Gentile dirigendo la sezione di
Matematica dell’Enciclopedia Treccani.
Con l’idealismo
trionfante in Italia Enriques continua la sua battaglia filosofica
all’estero, soprattutto in Francia. «Io appartengo alla
generazione di coloro che, educati nell’ambiente della filosofia
positivista, hanno visto, nella loro stessa giovinezza, risollevarsi
lo stendardo dell’idealismo metafisico e ingaggiare una lotta
violenta contro lo spirito positivo», afferma a Parigi nel 1935 al
Congrès de Philosophie scientifique che segna la nascita
ufficiale dell’empirismo logico. «Dopo trent’anni, dominati da
queste correnti di pensiero – continua Enriques – assisto oggi al
ritorno della filosofia scientifica…. È questo un avvenimento che
saluto di tutto cuore».
Dagli eredi del Circolo
di Vienna è considerato uno dei pensatori che ha «preparato il
terreno ad una teoria moderna di empirismo scientifico» come dice
Neurath, che lo invita a scrivere il testo introduttivo per il primo
fascicolo Unity of science della nuova Enciclopedia
Internazionale dell’Unità della Scienza. Ma negli stessi anni
Enriques prende le distanze dal neopositivismo logico, e in una
relazione ai Lincei rivendica di fronte a Gentile l’importanza
della storia del pensiero scientifico e l’unità della cultura.
È il suo ultimo
intervento in Accademia, il 6 febbraio 1938. Pochi mesi prima che le
leggi razziali, bandendo dalle scuole e dalle università studenti e
professori ebrei e i libri di autori ebrei, gli tolgano cattedra,
voce pubblica e parola scritta.
Il Sole 24 Ore –
Domenica, 31 Luglio 2016
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