Tante le morti pesanti
degli ultimi anni. E qualcuna rischia di essere dimenticata, come
quella di Renato Solmi, la cui intelligenza di intellettuale viene
ricordata insieme alla rara efficacia comunicativa dello scrittore in
questo articolo dello scorso anno sul “Sole”. Non posso non
rilevare un refuso: il libro di Fofi che Einaudi rifiutò si
intitolava L'immigrazione meridionale a Torino (“meridionale”,
non “intellettuale”). Ma si tratta di peccato veniale. Assai più
grave l'omissione del fatto che insieme a Solmi, per aver difeso il
libro di Fofi, Einaudi licenziò Raniero Panzieri, che di Solmi fu
amico caro. Si deve probabilmente a Solmi lo splendido necrologio di
Panzieri sui “Quaderni piacentini”. (S.L.L.)
Era il 1954 quando la
casa editrice Einaudi pubblicò Minima moralia di Theodor W.
Adorno. Per la cultura italiana uscita dalla guerra, divisa tra
l'eredità crociana e la rapida assimilazione di un marxismo
storicista, un libro simile non rappresentava soltanto una sfida sul
piano filosofico, ma anche su quello linguistico. Come rendere,
infatti, un pensiero che rifiutava la sistematicità, muovendosi tra
immagini e aforismi, lasciando pensare più a Nietzsche che a Marx o
a Hegel? La tradizione italiana non conosceva nulla di simile: prima
ancora che una terminologia, occorreva inventare uno stile. Quella
sfida fu vinta e qualche anno dopo replicata a un livello forse
ancora più alto.
Questa volta si trattava
di Walter Benjamin, e chiunque abbia avuto in mano un esemplare di
Angelus Novus, apparso nella collana dei «Saggi» nel 1962,
non avrà potuto fare a meno di ammirare l’eleganza di un italiano
che si lanciava in vertiginose speculazioni, formulando le immagini
più ardite. Entrambe le edizioni erano aperte da lungi saggi
introduttivi. La mano era la stessa del traduttore, ma la cifra
questa volta era la chiarezza, la volontà esplicativa, la sapienza
nell'offrire le giuste informazioni per comprendere e
contestualizzare scritti di ardua complessità.
È in questo modo che
Renato Solmi è entrato nella storia della editoria e della cultura
italiana. Con un’opera di mediazione culturale che ha
silenziosamente messo radici nel nostro Paese, dando presto i suoi
frutti. Difficile non condividere le parole di Franco Fortini, che
della introduzione ad Adorno scrisse: «Leggere le cinquanta pagine
introduttive è chiedersi come un giovane da poco uscito d’Università
abbia potuto scrivere pagine di tanta assoluta intelligenza e
lucidità storica; e come simile risultato si sia dato in una
situazione politica e intellettuale di chiusura, di dimissione e
irrigidimento».
Figlio del poeta Sergio,
Renato Solmi era nato ad Aosta nel 1927 e si era laureato a Milano in
storia greca con una tesi su Platone. Dopo aver lavorato giovanissimo
all’Istituto di studi storici di Napoli, ancora vivo Croce, era
divenuto redattore dell’Einaudi nel 1951. Fondamentale fu per lui
un lungo soggiorno a Francoforte tra il 1956 e il 1959, dove conobbe
di persona Adorno e Horkheimer.
Ritornato a Torino, fu
tra i protagonisti della casa editrice di via Biancamano fino al
“caso Fofi”, che gli costò nel 1963 il licenziamento, per aver
caldeggiato in modo ritenuto non consono agli equilibri interni dello
Struzzo l’inchiesta sull’Immigrazione intellettuale a Torino,
che poi uscirà da Feltrinelli. Con l’Einaudi Solmi firmerà
tuttavia altre prestigiose traduzioni dal tedesco e dall’americano.
Per trent’anni insegnerà storia e filosofia nei licei di Aosta e
Torino, collaborando ai «Quaderni piacentini» e ai «Quaderni
rossi». I suoi scritti sono raccolti nel prezioso volume
Autobiografia documentaria (Verbarium-Quodlibet, Macerata
2007). Renato Solmi è scomparso lo scorso il 25 marzo.
Il Sole 24 Ore Domenica,
29 marzo 2015
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