Sebbene tu cerchi che la tua stessa
fugacità
sia l’arpa, il flauto, il ruscello,
sai che su la fronte è il segno
di una malinconia senza fine;
e se l’aria della notte che avanza
scioglie la maggiorana, i mirti,
il chiaro calice della datura
in fumo umido di fragranza,
sai che la favola sboccia,
poco dura, s’allontana,
e l’amaro è dell’ultima goccia.
Anche se il disperso ritrova
il confine, il lume notturno, il
riposo,
anche se il tumulto gioioso
delle campane irrompe
nell’aria della sera,
e la corona da le gemme invernali
dolce si curva a la Primavera dei
bianchi sponsali.
Ora su le colline oscure, su le curve
dei monti
le terse cinture, la cacce di scintille
prende il primo scoramento che poi
trascolora,
e saranno infondo a le valli, brusio,
brina,
all’eriche sonaglio di stille che
vapora,
breve fluire di fonti che l’erba
disperde,
che la terra densa ai raggi caldi beve.
Canti barocchi e altre liriche,
Mondadori, 1956
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