14.1.17

1935. Ah, la perfida Albione che ci vuole affamare (Guido Vergani)

Una ricostruzione giornalistica, davvero brillante e piena di ghiotte curiosità, della Guerra d'Etiopia e delle cosiddette “sanzioni”. (S.L.L.)
Il tricolore sventola sull'Amba Aradam. L'Amba Alagi di Toselli, altra geografia mitica nella memoria nazionalistica, è ormai alla portata delle truppe di Badoglio, rinvigorite dal primo, consistente successo. Non è costata molto quell' avanzata: 36 ufficiali, 621 "nazionali" e 145 eritrei fra caduti e feriti. Il bilancio abissino è più funesto: 6 mila morti e 12 mila feriti. Ma "quei cadaveri di gente nera" non commuovono Giuseppe Bottai, l'intellettuale del regime. Ha partecipato, in prima linea, alla battaglia e scrive: "Questa morte di colore sembra mascherata". La sua fredda confessione di razzismo non è molto distante dai comuni sentimentali nazionali. L'Italia esulta per quella vittoria e canta: "Se l' abissino è nero/gli cambierem color/a colpi di legnate/poi gli verrà il pallor".
Il fronte interno è compatto, schierato, orgoglioso. La sua guerra è quella delle Sanzioni. Il suo nemico è l' Inghilterra, la "perfida Albione": l' Etiopia, dove si combatte, rimane quasi sullo sfondo. Si tira la cinghia, ma non molto, all'insegna di uno slogan che liquida la voglia di fesa, di filetto: "Due etti di italianissima robiola nutrono più di una bistecca straniera". Del resto, siamo abituati alla carne in tavola una volta alla settimana. Le statistiche di qualche anno prima rivelano che il nostro consumo annuo è di 16,3 chili, contro i 39 della Francia e i 63,7 dell' Inghilterra. Dunque, si tratta di fare soltanto un ulteriore sacrificio, compensato magari dalla filastrocca: "La patata e il pomodoro/ hanno tanta vitamina/ noi cantiamo lieti in coro/ l'Inghilterra non ci mina". I giornali pubblicano una velina del Minculpop: "L' eccesso dell' alimentazione carnea è anch' sso una moda straniera contraria alle esigenze del nostro clima". Se non c'è manzo o vitello, si ripiega sul nazionale coniglio che il segretario del partito Starace esalta, in una circolare ai federali tesa a stimolare la coniglicoltura. Il comandamento è "giù la pancia, su il cuore".
L'inverno del 35-' 36 è rigido. Le Sanzioni spengono stufe e caloriferi. Ma ci si consola, pensando che, come dice una spontanea scritta d'osteria, "il barbera riscalda più del carbone". Inneggiando all'attributo latino, forse volitivo come la romanità dell'ideologia, si irride all'Inghilterra con un'invettiva in versi: "Sanzionami questo/ amica rapace/ lo so che ti piace/ ma non te lo do". Lo sberleffo si alterna al roboante "serrando i denti, la cinghia e costruendo fucili" di Vasco Pratolini che, ventiduenne, promette sul "Bargello": "Il popolo italiano, universale e paesano, sopportatore e mistico, ribelle e vendicativo, reggerà all'assalto economico". Lo sberleffo è il momento, come scrive Corrado Alvaro in Quasi una vita, il suo diario, "in cui si ride fragorosamente di un potente davanti a cui si era sempre stati in rispetto: è quello che lusinga oggi l'amor proprio italiano di fronte agli inglesi". Non è cupo il clima del fronte interno nei mesi delle Sanzioni che il regime definisce "un'enorme ingiustizia contro l'Italia, alla quale tanto devono le civiltà di tutti i Continenti". Si vive spavaldamente l'autarchia come risposta all'"assedio economico". "Qui si vendono solo prodotti nazionali": questo è l' orgoglioso cartello esposto nei negozi. La pubblicità insiste persino sull'italianità del rossetto: "I tuoi baci sono più saporiti"; "Certo, amore, il mio rossetto è nazionale". Si scopre che il caffè "fa male", che il carcadè è più profumato del tè, che l'orbace è un "tessuto sportivo, guerriero, buono anche per lo sci". Dall'ordine "vestire italianamente, nasce la moda nostrana ed è la prima volta che le signore voltano le spalle ai figurini di Chanel, di Vionnet, di Balenciaga. Privato delle lamelle d'acciaio necessarie a supportare l'arco del piede, Ferragamo inventa le suole ortopediche. Lo sdegno per "l' arteriosclerosi agglomerata di Ginevra", come D'Annunzio definisce la sanzionistica Società delle Nazioni, fa sopportare l'idea del lanital che dovrebbe sostituire il tweed. Si può dimenticare il lino, il cotone, se Mussolini dice meraviglie della fibra cisalfa, un composto di cellulosa e di sostanze proteiche, e rivela il miracolo della nostrana, leopardiana ginestra nel settore tessile. Si ha cieca fiducia nella carbonella, nei surrogati della benzina e un po' trova credito anche un progetto di trasformazione dell'acqua marina in oro. Alle 11 di sera, cinema e teatri chiudono perché è necessario risparmiare energia. Ma l'austerity non punisce i botteghini di "Amo te sola" con De Sica e Milly, il forse platonico amore del principe Umberto, di Aldebaran, film fra il sentimentale e il guerresco di Blasetti, e del Cappello a tre punte con i De Filippo. Le pellicole (allora, si chiamavano così) americane non sono bandite. Anzi. Gli Stati Uniti non fanno parte della Lega sanzionistica. Trionfano Shirley Temple nel Piccolo colonnello, Joan Crawford in La donna è mobile e Barbara Stanwich in La sposa nell'ombra". L'anglofobia dà invece l'ostracismo alle commedie inglesi, ma non osa espellere Shakespeare e chiude un occhio su Bernard Shaw perché da bastiancontrario qual è, ha ruggito contro le Sanzioni. L' autarchia è anche linguistica. Le sigarette Giubek vengono ribattezzate Giuba. La chiave inglese diventa chiave-morsa; il cognac diventa l'arzente; il ferry boat treno-pontone. A Roma, l'albergo Eden deve cambiare nome a furor di popolo. I proprietari hanno un bel dire che quell' insegna si riferisce al vecchio paradiso terrestre. Sarà, ma fa pensare al ministro degli Esteri inglese, al nemico Anthony Eden. Anche l'eroe dei fumetti Brick Bradford si trasforma in un più casereccio Guido Ventura.
Il costo della vita cresce. Sul mercato internazionale, l'indice dei prezzi registra, dall' agosto 1934 alla seconda metà del ' 36, un aumento del 14 per cento. In Italia, nello stesso periodo, il balzo è del 37,7 per cento. I salari, già taglieggiati tre volte dal 1927, si abbassano di 14 punti, nel biennio ' 34-' 35. Il panorama non è allegro: il solo dato confortante è il calo della disoccupazione di circa 250 mila unità, perché la guerra ha bisogno di soldati e di braccia. Ma la vita continua. Cortina inaugura una nuova sciovia. Macario e le sue donnine non hanno problemi d'incassi con la rivista Il mondo è allegro. Emilio e Arturo Schwarz, con i biondissimi eserciti delle ballerine mitteleurepee, portano un sogno ariano nelle alcove e nei matrimoni dei "cumenda". Gandusio, interprete dell'Asino di Buridano, conforta di risate quell'inverno di guerra. Gli "assediati" stanno appesi alla radio per I quattro moschettieri di Nizza e Morbelli e sono disposti a tutto pur di procurarsi il Feroce Saladino e il Cagnolino pechinese, le più introvabili fra le figurine del concorso Perugina. Probabilmente la vita sarebbe stata assai buia, se le Sanzioni, decretate l'11 ottobre e applicate dal 18 novembre, fossero state un po' meno aggirabili, se il fronte dell'embargo fosse stato più coerente. Non fu un vero e proprio assedio, nè un cappio al collo. Neppure l' Inghilterra fu totalmente lineare. Permise alla Rolls Royce di venderci cento motori per aerei e, sebbene spingesse la Società delle Nazioni ad allargare l'embargo anche al petrolio, rifornì sempre le nostre navi in transito a Suez. Sul petrolio ("Se avessero chiuso i rubinetti, avrei dovuto battere in ritirata", dirà più tardi Mussolini) fu ambigua anche l'Urss che addirittura, a partire dal febbraio 1936, vale a dire nel pieno del nostro sforzo bellico, aumentò le esportazioni verso l'Italia.
Furono sanzioni morbide anche sugli altri prodotti. La Svizzera, ufficialmente, e il Belgio, un po' dietro le quinte, non se la sentirono di perdere il nostro mercato. Non è che tutto continuasse come prima. Sanzioni e conseguente autarchia determinarono un fortissimo taglio delle importazioni. Minerali di ferro: 75 per cento in meno. Lana: 60 per cento. Acciaio e cotone: 50 per cento. Carbone: 20 per cento. Ma l'effetto non fu letale nè per la guerra, nè per l'esistenza quotidiana della società tricolore. "Il risultato fu nefasto, ma negli anni successivi, come riflesso", dice l'economista Carlo Scognamiglio, "l'avvio dell' autarchia, l'innestarsi del protezionismo permisero alle industrie di evitare il rammodernamento degli impianti. Nell'immediato, diedero respiro alle imprese, rialzando i profitti. Ma quell'ibernamento degli impianti lo abbiamo pagato anche vent'anni dopo. Quel che è più grave, il protezionismo arrivò a scombussolare un momento economico molto delicato, quello del processo di riforma avviato da Menichella, Beneduce e Giordano, e lo bloccò".
Non mortali, non tali da strozzare la nostra economia, le Sanzioni si rivelarono per il fascismo, che seppe sfruttarle propagandisticamente con una sapiente virulenza, un miracoloso propellente di consenso. Politicamente furono un toccasana, la ciliegina sopra la torta propagandistica dell'Italia proletaria tenuta al bando dall'egoismo delle grandi potenze, costretta alle briciole coloniali di Versailles: "L'Italia che dice alle nazioni pingui e conservatrici: Ora basta. Giù le mani. Qualcosa anche a noi". Furono le Sanzioni a catapultare il regime e quel conflitto verso una quasi totale adesione ideologica, a rendere "popolare, come scrive lo storico Chabod, una guerra che non lo sarebbe mai stata", a "frantumare l' ultimo residuo di resistenza al fascismo in Italia", come disse lo stesso Mussolini. In quei mesi, dall' esilio di Parigi, Carlo Rosselli, il fondatore di "Giustizia e Libertà", prese atto di quel che avveniva in Italia: "È necessario riconoscere, con franchezza virile, che il fascismo, almeno sul piano interno, esce rafforzato da questa crisi". Le sanzioni alimentarono quello che si potrebbe definire il "sentimento Piave". Il 18 novembre, "data di ignominia e di iniquità nella storia del mondo", è vissuto come il momento della patria in pericolo, del nemico in casa. In Etiopia, si combatte una guerra d' aggressione.
Sul fronte interno, una guerra difensiva. È la trincea del Piave, non quella dell'Isonzo e della Bainsizza. Le Sanzioni mettevano in gioco il destino dell'Italia o almeno così si credeva, perché erano alte e furiose le grida del regime che gonfiava la reale minaccia e la perfidia della Gran Bretagna. Tutto ciò eliminava, come scrive lo storico Renzo De Felice, "alla radice ogni altro problema", ogni distinguo ideologico. È difficile capirlo se non ci si pone nella prospettiva di una cultura che, anche nell'antifascismo liberale, era intrisa di nazionalismo, di patriottismo. Quello fu l'ultimo colpo di aratro su un terreno che la propaganda aveva già profondamente dissodato, con perizia di toni, di temi e con una magistrale capacità nell'uso delle nuove tecniche di comunicazione di massa, del monopolio dei mezzi: giornali, cinema e radio.
L'azione era stata accelerata verso il giugno del 1935, tre mesi prima della guerra, quando Carmine Senise informò Galeazzo Ciano, sottosegretario alla Stampa e Propaganda, "sullo stato non del tutto soddisfacente dell' opinione pubblica". Correva un senso di inquietudine, anche se cominciavano ad attecchire i temi della missione civilizzatrice, dell'Abissinia schiavista (si sottaceva ovviamente lo sforzo riformatore del Negus), dell'Etiopia come Eden di materie prime, del diritto al posto al sole e tornavano a galla gli antichi veleni di Adua, delle sconfitte da vendicare. Senise chiese di attivare la propaganda. Il regime lo fece. "Fu un piccolo capolavoro", dice lo storico Giordano Bruno Guerri, "toccarono tutte le corde: l'orgoglio nazionale; la proterva ingordigia dei Paesi ricchi; la guerra come marcia da Roma per chi non aveva fatto la marcia su Roma; la conquista come garanzia di diffusione del cattolicesimo; persino l'erotismo esotico con quelle cartoline di "faccette nere" a seno nudo. L'entusiasmo, però, stentava ad ingranare. Era la paura che l'Inghilterra cominciasse a bastonarci. Quando ci accorgemmo che abbaiava molto ma mordeva poco, venne a galla l'esaltazione e trovò lievito nell'"offesa" delle Sanzioni. Fu allora che la guerra fascista divenne guerra nazionale". Sono le Sanzioni che fanno uscire dal guscio del Vittoriale, dall'esilio dorato della sua vecchiezza Gabriele D'Annunzio: "I miei legionari partono tutti per l'Africa. Io sul principio soleva placare l'eccesso dell'ardore, persuadendoli come quella non fosse guerra nazionale ma coloniale. Oggi, la grigia imbecillità inglese e l'immonda cupidigia e l'ingiustizia testarda mi eccitano a dichiararla nazionale, anzi latina, anzi romana".
È il "sentimento Piave" che spinge Vittorio Emanuele Orlando, il presidente della Vittoria, a offrire la propria collaborazione a Mussolini: "In questo momento ogni italiano deve essere presente per servire". Naufraga, sull'onda della patria in pericolo, il socialismo del grande vecchio Arturo Labriola che esprime "piena solidarietà". Nella giornata dell'oro alla patria, il 18 dicembre, finiscono nei bracieri le medagliette di senatori di due mitici oppositori: Benedetto Croce e Luigi Albertini. Il consenso all'idea di patria si mischia e si confonde con il consenso al fascismo che, in parallelo con le prime vittorie in Abissinia, esplode come scrive De Felice, "in forme e manifestazioni senza eguali in tutto l'arco del regime". Quando si tirano le somme della raccolta di oro e argento, di fedi nuziali (in cambio le madri e le spose ricevono un anelluccio d'acciaio a consacrare come liricizza Ada Negri "superbe nozze con la patria"), medaglie, gioielli, candelabri, zuccheriere e servizi di posate, si scopre che l'oro ammonta a quasi 34 mila chili e l' argento a 93 mila. Mai consenso e appoggio hanno avuto una così palpabile evidenza e la scrittrice Milly Dandolo può dare ali alla penna: "Sappia il mondo che quest'oro è diverso da quello che si compra e si vende comunemente. Non c' è bilancia che possa misurare il suo peso. Potrebbe valutarlo solo la bilancia della Giustizia".
Il fenomeno scombussola le precedenti valutazioni politiche. "Stato Operaio", la rivista ideologica dei comunisti fuoriusciti, scrive: "Il fascismo è riuscito per il momento a fanatizzare vasti strati di piccola borghesia, ma anche una parte non indifferente della gioventù proletaria e larghi strati della popolazione lavoratrice". Intanto, al "sentimento Piave" si aggiunge l'euforia per l'offensiva di Badoglio. Adesso che l'armata di ras Mulughietà, priva del suo comandante colpito a morte da un mitragliamento aereo mentre cercava di vendicare il figlio caduto in un agguato dei predoni Azebo Galla, sbanda in ritirata, non è un problema conquistare anche il secondo bastione naturale verso il cuore dell'Etiopia, L' Amba Alagi. Il 28 febbraio 1936, la "montagna di Toselli è redenta", telegrafano i corrispondenti di guerra. Negli stessi giorni, le armate di ras Cassa, di ras Sejum, nel Tembien, e quella di Ras Immirù, nella regione dello Scirè, vengono accerchiate. Solo i brandelli dell' esercito imperiale riescono ad uscire dalla sacca, si aprono un varco con le sciabole e i bastoni. La superiorità italiana è totale. Il peso dell'aviazione, che scarica 195 tonnellate di esplosivo e, secondo gli etiopi, anche iprite, risulta determinante. L'Etiopia muore e, sulla sua pelle, le potenze europee, nel tira e molla sull'embargo del petrolio, giocano una partita che ha come posta il revanscismo hitleriano e il ruolo dell' Italia di Mussolini in questo o quello schieramento.


“la Repubblica” - 8 ottobre 1985  

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