25.1.17

Cattivi Maestri (Walter Cremonte)

Si tratta di una recensione delle mie vecchie Cronache giubilari dedicate al trionfale Giubileo del 2000, pubblicata su “micropolis”. (S.L.L.)

Leggendo le Cronache giubilari di Salvatore Lo Leggio (Giada, 2001) viene alla mente, per prima cosa, un passo famoso del De rerum natura di Lucrezio; quasi all'inizio del poema, dopo aver esaltato Epicuro per la sua lotta vittoriosa contro la religio, l'autore si preoccupa di rassicurare il suo destinatario perché non tema di essere avviato su una cattiva strada, empia e scellerata; infatti il male non è nella critica alla religione, ma nella religione stessa, come dimostra l'episodio del sacrificio di Ifigenia ("Tantum religio potuit suadere malorum" – a proposito: come tradurre la parola religio? Si potrebbe proporre "alienazione religiosa"). Dunque Lucrezio ha temuto di essere preso per un cattivo maestro (e gli capiterà di peggio: sarà dichiarato pazza dal suo biografo cristiano). Correrà questo rischio anche il mio amico Salvatore?
E' certo, in ogni caso, che si troverebbe in buona compagnia: Lucrezio, appunto, e poi Machiavelli, Voltaire, Marx... E di sicuro quest'altro benvenuto tra i didatti del sospetto aveva ben chiaro
nella mente l'ammonimento del vecchio Bertolt Brecht: "Anche il minimo gesto, in apparenza semplice, / osservatelo con diffidenza. / Investigate se proprio l'usuale sia necessario. / E - vi preghiamo - quello che succede ogni giorno / non trovatelo naturale". Lo Leggio ha scelto come osservatorio privilegiato l'anno giubilare, in particolare nei suoi svolgimenti umbri, e ce ne ha mostrate di cose da guardare "con diffidenza": per aiutarci a demistificare l'apparente normalità di una pratica del ritualismo cosi invasivo ed ossessivo da apparire come un dato indiscutibile e quasi fatale della realtà e non, come è, frutto di scelte politico-mediatiche ben definite e ben individuabili. E per farlo l'autore di queste Cronache giubilari usa in maniera magistrale (ed anche molto divertente) l'arma dell'ironia, strumento prediletto del pensiero critico di matrice illuministica.

Una definizione classica della modalità dell'ironia è questa: la moralità dell'autore si afferma attraverso la auto-negazione delle posizioni che combatte, che sono confutate dalla propria stessa insostenibilità. Detta cosi sembrerebbe una cosa un po' "fredda". Ma nel caso di Lo Leggio balza in primo piano la presa di posizione partigiana, combattiva, spesso incalzata da un forte sentimento di indignazione e non solo dalla consapevolezza ironica (a volte ghignante) di una superiorità intellettuale sull'avversario. È per questo che il discorso di Lo Leggio - così teso a smascherare conformismi, acquiescenze e complicità di comodo - dovrebbe interessare non solo la sinistra critica, interlocutore privilegiato, ma anche un lettore cattolico, disposto però ad un sano bagno nell'acqua gelata e pulita per togliersi di dosso incrostazioni del tipo di quella denunciata, nel libro, a pag. 48, "per la quale il dialogo consiste nel dire agli altri: - Io sono nella verità, tu nell'errore! Adesso puoi anche parlare...". E certamente interessa una specie di povero cristiano come me, anzi, per dir meglio, una specie di semi-cristiano come credo di essere io, uno che del Cristianesimo ha percorso solo metà strada, fino alla croce, perdendosi la parte più succosa e gratificante: la Resurrezione, il trionfo sulla sofferenza e sulla morte. Riconosco meglio la prima parte, anche perché è nel senso comune e nel linguaggio comune il "povero Cristo", il "Cristo in croce" (e la croce di Spartaco nell'ultima scena del film di Kubrik, e la croce che forma il lettino dei condannati a morte per iniezione letale...) e in generale sento un po' estraneo il trionfo. Cosi le parole dette al ladrone "oggi sarai con me in Paradiso" mi suonano come "fatti coraggio, tra poco è tutto finito" - che non sarà proprio il paradiso, ma certo gli somiglia parecchio.

micropolis, aprile 2002

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