4.1.17

Guai ai Gracchi (Lidia Storoni)

A guardarla contro luce, la storia di Roma è percorsa da un filo coerente: un conservatorismo forsennato. Ogni politico si uniforma alle idee della propria gens e proclama fieramente la continuità ideologica che si tramanda di padre in figlio: l'ideale del romano è posto nel passato.
"Ho compendiato nella mia condotta le virtù della stirpe. Ho cercato di emulare le nobili azioni del padre. Ottenni la lode dei miei maggiori, sì che si compiacquero ch' io fossi nato da loro". Così parla di sé su la sua lapide sepolcrale uno degli Scipioni.
Quelli che esponevano propositi innovatori venivano definiti con sospetto "uomini che vanno macchinando novità" - e in genere facevano una brutta fine. Le idee, però, volano come il polline dei fiori e a volte i più accesi contestatori sono figli di reazionari. Fu forse l'insegnamento di due ideologi greci, Blossio di Cuma e Diofane di Mitilene, nonché la lettura dei libri portati a Roma da Scipione Emiliano dopo la conquista della Macedonia - la biblioteca del re Perseo - a ispirare a Tiberio Gracco (162-133 a.C.), tribuno della plebe, le leggi a favore delle classi povere che gli storici latini definiscono tutti temerarie, rivoluzionarie, deleterie.
In un volume pubblicato dalla casa editrice Salerno (pagg. 252, più note, cartine e bibliografia, lire 26.000) Luciano Perelli esamina, valuta e qualche volta confuta le fonti antiche, Cicerone, Velleio Patercolo, Plutarco, Appiano - tutti non soltanto tendenziosi ma posteriori di molti anni. Benché, tranne Plutarco, prevalentemente ostili ai Gracchi e inclini a giudicare il loro operato conforme a situazioni del loro tempo e non di quello in cui i fatti si verificarono, gli autori antichi appaiono consapevoli che con i Gracchi si produsse una rottura nel sistema politico romano, cadde l'assioma che il governo dei Padri Coscritti fosse intoccabile, il migliore nel migliore dei mondi.

Le leggi di Tiberio a favore dei poveri
Tiberio Gracco e il fratello Caio (154-121 a.C.) appartenevano a una famiglia altolocata. Il padre aveva rivestito cariche importanti, la madre - la famosa Cornelia - era figlia di Scipione Africano, la sorella aveva sposato Scipione Emiliano che aveva conquistato la Macedonia e concluso le guerre puniche nel 146 a.C. con la distruzione di Cartagine. Come posizione economica, sociale e ambiente culturale i Gracchi non potevano desiderare di più. Tiberio, eletto tribuno della plebe, fece votare dall' assemblea (prima che dal Senato) leggi a favore delle classi povere. Era consapevole dell'allarmante carenza di reclute, della disoccupazione dei lavoratori liberi, rimpiazzati nelle grandi proprietà da schiavi, dell'insufficiente produttività agricola. Da anni gli aristocratici si impadronivano dei terreni tolti ai nemici. Tiberio volle semplicemente ripristinare la legalità: dalla sua legge, che limitava i possedimenti dell' agro pubblico a non più di 500 jugeri (lo jugero corrisponde a 2500 mq), mentre le terre eccedenti sarebbero state suddivise in lotti inalienabili e consegnate a chi ne facesse richiesta, traspare il pensiero d'un uomo giusto, un conservatore illuminato, che guardava con rimpianto ai primordi della Repubblica, al personaggio tradizionalmente caro all'immaginario collettivo: il contadino soldato, Cincinnato, Attilio Regolo. Ma ormai il campicello sufficiente al mantenimento d'una famiglia non era più adeguato a un'economia di mercato; il latifondo lavorato da schiavi, vale a dire la situazione contro la quale si batteva il tribuno, non era ancora molto frequente, osserva lo storico Perrelli, al contrario il fenomeno si verificò in vaste proporzioni circa cinquant'anni dopo. La legge, ad onta dell'opposizione dei grandi proprietari, che indussero uno dei dieci tribuni a porre il veto (a cui seguì il suo decadimento dalla carica) passò e fu nominata la commissione addetta alla distribuzione dei lotti. Ma un altro gesto di Tiberio fece precipitare la sua situazione, la delibera, varata prima che si pronunciasse il Senato, di utilizzare per le attrezzature necessarie ai nuovi possidenti l'eredità che Attalo, re di Pergamo, morendo aveva lasciato al popolo romano. In materia di economia e politica estera il Senato si riteneva unico competente; l'ostilità, i sospetti contro Tiberio degenerarono in furore. Il console si rifiutò di condannare il tribuno senza processo e allora, in un tumulto scoppiato sul Campidoglio - come molti secoli dopo Cola di Rienzo - il giovane fu ucciso dal capo dell'opposizione, suo cugino Scipione Nasica, che vedeva in lui un rinnegato. "Lo seguirono, scrive Velleio Patercolo, gli aristocratici, i senatori, i migliori tra gli equestri e persino la plebe, ancora immune da teorie perniciose...".

La morte al Ponte Sublicio del tribuno Caio
Caio, fratello minore dell' ucciso, fu eletto lui pure tribuno della plebe e si propose di vendicare il fratello. Dimostrò subito di possedere grandi capacità oratorie e una lucida percezione dei problemi politici ed economici di Roma. Il successo della legge agraria di Tiberio era stato di breve durata per l'opposizione degli aristocratici; Caio ne riprese i temi, la denuncia appassionata della disparità economica, della posizione d'inferiorità in cui si trovavano gli italici, che pure avevano grandi benemerenze verso Roma per il contributo militare dato alla conquista, la corruzione nelle alte sfere del governo, l' insufficiente produzione agricola. Propose una distribuzione di grano a prezzo politico ai non abbienti, la concessione della cittadinanza romana a tutti gli italici, la fondazione di molte nuove colonie non più, com'era nella tradizione, per scopi militari, bensì sociali. La scelta di Cartagine, dove il tribuno si recò per assistere all'insediamento dei nuovi coloni, suscitò una forte opposizione: l'area della città data alle fiamme era considerata terreno colpito da anatema e si verificarono immediatamente gli immancabili prodigi nefasti. Caio inoltre tolse ai senatori e trasferì agli equestri processi di corruzione e concussione: si erano verificate troppe assoluzioni scandalose. Il reo doveva restituire il doppio di quel che aveva chiesto o accettato e chi poteva fornire prove della sua colpevolezza riceveva notevoli compensi.
Caio Gracco mirava in realtà a rafforzare lo Stato aumentando le entrate e favoriva una forma di dirigismo statale in luogo dell' assistenzialismo clientelare vigente; ma la miopia e l' egoismo dei privilegiati provocarono una reazione violenta. Fu votata contro il tribuno una misura estrema, il Senatus Consultum ultimum, quasi fosse reo di alto tradimento. Braccato dagli avversari, si rifugiò sull'Aventino, il colle dei contestatori; ma fu costretto a fuggire e giunto al Ponte Sublicio trovò la morte, non si sa se per suicidio o per assassinio. Così perirono due aristocratici che, come scrisse Lucano, "avevano osato cose enormi". Tremila dei suoi seguaci furono giustiziati. In memoria di quella repressione fu fondato il Tempio della Concordia.


la Repubblica, 4 agosto 1993  

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