17.1.17

La vita come schifo integrale. Un poema del teppista Esenin (Doriano Fasoli)

Esenin 1921
«Ascolta! Anch’io un tempo credevo/ nei sentimenti: / nell’amore, nell’eroismo e nella gioia, / ma ora ho compreso, alla fine / ho capito che tutto questo / è uno schifo integrale». Sono versi di amara disillusione, di compianto per l’ideale della rivoluzione, estintosi nel duro impatto col reale, che il poeta Sergej Esenin affida alla bacca di Nomach (soprannome-metatesi di Machno, noto anarchico ucraino che capeggiò bande contadini e finì miseramente i suoi giorni a Parigi, nel 1934, nel «poema drammatico» Il paese dei banditi (Strana negodjaev).
Qui questo romantico ribelle é opposto alla figura di Rassvetov ed entrambi — scrive De Luca nella prefazione — «personificano due ideologie alimentate dalla rivoluzione d’Ottobre. La prima di tipo anarchico-libertario (Bakunin, Necaev), con tinte nichiliste e anche nietzschiane (da Leontev); la seconda di tipo comunista-autoritario». Due ideologie impossibili a conciliarsi, «impegnate in una lotta di reciproca distruzione». L’azione del dramma si snoda in quattro parti, tenute tra loro da un rigoroso equilibrio, ed è riassumibile così. Inverno del 1921, quello della terribile carestia. Presso una cantoniera della linea ferroviaria degli Urali, Zamaraskin, dato il cambio della guardia a Cekistov, s’incontra di nascosto con Nomach, suo vecchio amico di scuola, che dapprima gli motivava la sua condotta sociale eppoi arriva all’essenziale («Oggi passa l’espresso,/ alle due di notte-/ 46 posti./ Krasnoarmejev e operai./ Lingotti d’oro»). Pur dandogli un pò atto delle sue ragioni Zamaraskin si rifiuta di collaborare alla rapina al treno e ciò induce Nomach a legarlo e imbavagliarlo. Sull’espresso n. 5, nella vettura-salone, viaggiano commissari e operai comunisti; anche Rassvetov, che racconta loro le sue esperienze di cercatore d’oro nel Klondik, «dove un pezzo grosso di New York,/ senza alcun rischio, per tre milioni/ ne metteva 12 e mezzo nel berretto» e che più avanti prosegue «Tutta l’America è una fauce avida./ Ma la Russia... è un blocco.../ purché ci sia il potere Sovietico!.../ Noi, certo, in molte cose siamo rimasti indietro./ Il nostro continente:/ foresta, steppa e acqua./ Con cemento armato e acciaio/ là si sono costruite città». Nomach riesce con una rossa lanterna accesa a fermare il treno e, coi suoi banditi, a portare a segno l’impresa. Il giorno seguente, alla stazione N (a otto verste circa della cantoniera) Rassvetov, Cekistov e Zamaraskin si consultano su come riaciuffare Nomach e recuperare l’oro. Si risolvono col servirsi dell'aiuto del cinese Litza-Chun, agente segreto sovietico, che messosi sulle tracce di Nomach lo trova dapprima in un «covo segreto» di una «cittadina sul Volga» (in cui pure stanno Seerbatov e Platov, nobili ricercati dai rossi, che trafficano in alcoool e cocaina) e poi lo segue a Kiev, dove Nomach ha deciso d’andare. Alla stazione N arriva un telegramma: «Io Kiev. Oro qui./ Necessario arresto?/ Litza-CHun». Rassvetov e Cekisov divergono sul modo di prendere Nomach e infine il secondo parte per Kiev. Qui già da una decina di giorni, Nomach viene raggiunto nel suo rifugio dal fedele Barsuk che lo avverte del tranello tesogli. Allora Nomach con un abilissimo stratagemma riesce a sottrarsi alla cattura e a farsi beffa di Litza-Chun, di Cekistov e dei miliziani.
La gestazione di Il paese dei banditi è lunga e laboriosa. L’idea di comporlo si affaccia alla mente di Esenin subito dopo la pubblicazione di Pugacev (in cui viene rievocata la rivolta contadina del XVIII secolo, tradotto e introdotto sempre da De Luca, come pure il poema Anna Snégina, entrambi per Einaudi). Ne è testimone I. Starcev, amico di Esenin, che così racconta: «Meditando il poema, egli temeva di cadere nell’astratezza, proponendosi di avvicinarsi concretamente e con stretta aderenza ai fatti descritti. Richiamandosi a Dvenadcat (I dodici, 1918) di Blok, diceva che era facile fallire con un tema semplice a prima vista ma cosmico nella sostanza.
Questo poema non lo scrisse in quell'inverno (1921-22) e solo di ritorno dall’estero (agosto 1923) ne lesse un brano. Il primo progetto si risolse in due cose diverse nel testo esistente: Gulajaj-pole. Nel dramma doveva essere introdotta la figura di Lenin (sostituita poi da quella di Rassvetov), frammento invece pubblicato a parte e incluso nell’attuale pubblicazione insieme al poemetto Sorokoust, nel quale a Esenin riuscì — secondo il prezioso resoconto di I.N. Rozanov — «di dare una immagine inconsueta e non espressa da nessun altro a un tale livello di forza e di ampiezza di generalizzazione: l’immagine della vecchia Russia contadina che se ne va, del puledrino dalia criniera rossa che corre dietro il treno. Nessuna delle opere di Esenin ha suscitato tanto clamore come Sorokoust...».
Va detto ancora che il viaggio fatto da Esenin in compagnia di Isadora Ducan in Europa e in America, tra il maggio del ’22 e l’agosto del ’23, comporta alcuni cambiamenti nel disegno del poema e il «reportage» Zeleznyj Mirgorod (Mirgorod di ferro) messo in appendice ha parole crude verso «il modo di vivere nel profondo degli Stati», verso gli americani che «sono un popolo molto primitivo sotto l’aspetto della cultura interiore. Il dominio del dollaro ha distrutto in loro qualsiasi aspirazione alle questioni complesse. L’americano è interamente immerso nei business e non desidera sapere altro».
Nel Paese dei banditi si respirano rabbia, precarietà e ironia. Qui non c'è mera letterarietà ma profonda inquietudine vissuta in prima persona, che fa toccare a Esenin vertici di grande poesia, e questo poema sicuramente segna il punto più alto della sua crisi umana e poetica (come ha modo di dire nella sua nitida prefazione Iginio De Luca), «nel quadro della crisi generale del paese dopo la rivoluzione (...). Attraverso la dialettica degli opposti (anarchia-libertà/autorità; socialismo/capitalismo), Esenin mira a una armoniosa rappresentazione del mondo (dal caos al cosmos, di là dalla sua particolare tragedia dell’esistenza che resta pure senza soluzione».

Sergej Esenin,Il paese dei banditi (a cura di Iginio De Luca), Einaudi - “il manifesto”, ritaglio senza data, ma 1985

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