23.1.17

L'inventore di BlaBlaCar. Come perdendo il treno ho inventato un impero (Gea Scancarello)

Frédéric Mazzella
Parigi
Nel kit di accoglienza riservato ai visitatori, dentro una borsina di tela da ecologisti à la page, ci sono un ricaricatore da viaggio per cellulari, l’ultimo studio universitario sul valore economico della fiducia e un set di adesivi colorati che si direbbero perfetti per le bici degli hipster. Invece sono le tavole della legge in formato stick e stack, i dieci valori fondanti di un’azienda cresciuta da zero a 30 milioni di utenti in un decennio grazie all’idea che dopo tutti pensavano fosse alla propria portata ma che nessuno prima aveva avuto o che quantomeno nessuno aveva saputo sfruttare con efficacia: condividere posti in automobile per spendere meno.
Done is better than perfect (“Fatto è meglio che perfetto”), dice infatti uno degli adesivi, assioma del pragmatismo che ha reso BlaBlaCar l’unica start up europea con valori e valutazione pari a quelle americane – pur senza godere di un ecosistema amico o del denaro stampato in proprio dalla Federal reserve, facile a finire nei venture capital che nutrono le idee della Silicon Valley.
Con l’ultimo giro di fundraising, la società francese fondata nel 2006 dall’allora trentenne Frédéric Mazzella ha raccolto fondi che portano il valore complessivo dei finanziamenti ricevuti a 300 milioni di dollari; mentre gli analisti stimano a un miliardo il valore del gruppo. 


Il BlaBla village
Almeno una parte dei quattrini deve essere finita in Rue Menars, tra l’Opéra e la Borsa di Parigi, in un palazzo techno-chic che BlaBlaCar occupa per qualche piano e Facebook per quelli rimanenti. Tecnicamente si chiamerebbe sede, ma gli addetti ai lavori la presentano più empaticamente come BlaBlaVillage, indicando il nome scritto su una lavagnetta appesa al ramo di un albero, a fianco di pannelli colorati che raccontano della riforestazione, di riviste di tutto il mondo e della password del wifi.
L’albero – non un pianta da balcone, ma qualcosa di più simile a una grande quercia – serve evidentemente a rafforzare l’idea del legame tra la società e la sensibilità ambientale, uno dei punti qualificanti su cui BlaBlaCar ha costruito il proprio successo; cruciale almeno quanto il sincerarsi che ognuno abbia in tasca uno smartphone ben funzionante: qui intorno tutti sanno bene che un telefono senza connessione internet o spento equivale inesorabilmente a denaro perso.
Oggi BlaBlaCar incassa ricavi trattenendo una piccola commissione sulle transazioni effettuate sulla piattaforma, «ma ci sono voluti molti tentativi falliti prima di trovare il nostro business model, e anche così non siamo ancora in attivo: il flusso è quello giusto, ma siamo in grande espansione e abbiamo molte spese per investimenti», spiega Mazzella.
La leggenda vuole che l’ispirazione per BlaBlaCar gli sia venuta un giorno delle vacanze di Natale del 2004, quando – giovane programmatore in un’azienda di software – cercò inutilmente un posto in treno per raggiungere la famiglia. Finì che dovette chiedere alla sorella di andarlo a prendere in auto a Parigi, e quando poi si trovarono in autostrada constatò con stupore che le macchine di fianco a loro erano tutte mezze vuote: di lì, l’idea di inventarsi quello che sarebbe diventato nell’arco di qualche anno il sito di carpooling più usato al mondo.
La favola della start up nata nell’equivalente europeo del fantomatico garage, però, in questo caso cozza con la concretezza del soggetto: «Registrai l’idea, creai una società con un amico ma prima di buttarmi in qualcosa di così grande mi iscrissi per un anno a un master in business administration. Solo dopo, con quei 5 mila euro iniziali a testa, iniziammo davvero a lavorare su BlaBlaCar».

L’Europa a pallini
La scelta, probabilmente, è stata vincente, come suggerisce il plastico gigante affisso sul muro che illustra l’Europa attraversata da una ragnatela di pallini blu in movimento, cioè i viaggi prenotati sul sito in corso in ogni momento. La società è cresciuta fino a 500 dipendenti nel mondo, di cui 300 solo nel villaggio parigino, dove i dipartimenti si chiamano tribù, impiegano persone da 22 Paesi e la sola tribù del software impiega un intero piano del palazzo.
L’onda della sharing economy ha infatti trascinato con sé anche pratiche già esistenti (di carpooling si parla dagli anni ‘90) agganciandole a una diversa, e più favorevole, visione del mondo. E se sull’onda surfa molta retorica della condivisione applicata al business – a partire dal discusso modello Uber, o dalle polemiche sull’economia del noleggio di Airbnb – quella di Mazzella è una delle poche start up di cui nessuno ha mai contestato le intenzioni.
«Gli uomini da sempre sono abituati a condividere: pensiamo all’aria. Ora il digitale ci permette di mettere in condivisione anche cose una volta impossibili, per esempio i file musicali o le case», ci dice il giovane amministratore delegato, cercando comunque di difendere l’ideale della sharing economy. «Certo: tra tutte le piattaforme che sono nate per condividere ci sono poi anche quelle per offrire tempo e lavoro, cioè per distribuire capacità come freelance. Il problema – ammette infine – è che mettere a disposizione tempo e capacità si chiama, in altre parole, lavoro. E il lavoro ha una legislazione e dei diritti maturati negli anni».
Parla scandendo lentamente le parole, come a sincerarsi che l’interlocutore capisca realmente, con sguardo fermo e grandi occhi azzurri segnati dalla stanchezza; le mani, in compenso, cercano freneticamente il telefonino: schiaccia, digita, controlla. Cerca Ischia, come prima cosa, e con una certa soddisfazione mostra su Google maps l’esistenza di parecchie strade sull’isola intitolate a Mazzella vari: sono tutti suoi parenti, annuncia, per qualche motivo entrati anche loro nella storia.
La sua personale notorietà ha fatto un salto di qualità recentemente, quando ha firmato con Arun Sundararajan, docente della Stern University, il primo studio di un qualche valore accademico sulla fiducia come elemento riproducibile nelle reti sociali, e dunque monetizzabile. Con lo stesso entusiasmo con cui parla delle foto dei dipendenti sul muro che hanno condiviso un numero di passaggi sufficiente a farli diventare “ambasciatori” della piattaforma (Pensalo, costruiscilo, usalo è un altro dei motti stampati sugli adesivi), Mazzella spiega che l’essenza della ricerca è che stiamo entrando nell’età della fiducia, nella quale non esistono più persone etichettabili come “sconosciuti”.
Molti, su Internet, hanno commentato la cosa con sarcasmo, quando non con rabbia. Lui però non si agita, come se l’accusa non fosse pesante o l’intera questione non fosse di quelle che possono distruggere il business e l’intera sharing economy da un momento all’altro.

Chiacchiere tra ex sconosciuti
«Il nostro studio non racconta che ci si possa fidare degli sconosciuti, bensì che nelle reti basate sulla fiducia, e costruite attraverso Internet come BlaBlaCar, gli sconosciuti non esistono più. Il fatto che ci siano persone che non hai mai incontrato non le rende sconosciute, sono soltanto persone con cui ancora non ti sei trovato faccia a faccia», prova a spiegare senza scomporsi.
La questione è cruciale, ovviamente: non solo perché il modello basato sulla fiducia basata sulle garanzie della rete sta costruendo nuove prospettive economiche – e i 300 ragazzi che girano per gli open space con le loro tazze marchiate BlaBlaCar ne sono una dimostrazione vivente – ma anche perché presto quella fiducia e la reputazione collegata potrebbero servire per inventarsi nuovi mercati e aziende, oggi ancora impensabili. «La verità è che noi stiamo creando il lavoro di domani: metà dei posti che vedi qui 15 anni fa non esistevano, nemmeno concettualmente. Parte del nostro lavoro è educare la gente al futuro».
Le sedie a sdraio piazzate qui e là, le colazioni dedicate al team building e le settimane di lavoro all’estero – ogni dipendente può andare a lavorare nell’ufficio di un altro Paese del mondo, per afferrare la cultura locale – sanno realmente un po’ di futuro, specie per chi non è abituato agli standard della Silicon Valley. E deve essere anche per questo che Mister BlaBlaCar fa parte della cerchia di imprenditori ammessi alla corte del presidente francese Hollande e del primo ministro Valls, tenutari di un’economia in profonda crisi e in cerca di soluzioni pronte all’uso.
«Mi capita anche di parlare con i membri della Commissione Ue: ci cercano per cercare di capire cos’è esattamente quello che facciamo, e come». I discorsi, evidentemente, avrebbero bisogno di infittirsi: «Noi siamo fortemente europeisti, ma lavorare nella Ue può essere complesso: ogni Paese ha le sue leggi, la sua tassazione, il suo parlamento o i giudici che talvolta si schierano contro. In America se vuoi fare questo mestiere ti si chiede solo di saper correre; qui la corsa è ad ostacoli», commenta.
Il paragone può essere sconfortante. D’altronde gli capita, talvolta, mentre controlla freneticamente il cellulare, di imbattersi in una mail mandata dal capo di Airbnb o di Uber, dall’altra parte dell’oceano, in cerca di un consulto o di un consiglio, magari anche su come gestire le cose su questa sponda. «Ma non immaginatevi nessuna trilaterale strana: siamo semplicemente imprenditori che si parlano. Quando ho iniziato BlaBlaCar sapevo che la mia vita sarebbe cambiata, che era un’idea che poteva sbancare. Non avevo però capito le conseguenze di questo successo».

SCHEDA 1 - In vacanza con le chiacchiere
Non più fenomeno di nicchia: a luglio, secondo le stime, circa 75 mila persone hanno prenotato un passaggio su BlaBlaCar per andare in vacanza. Tanto meglio se in posti poco serviti dal trasporto pubblico, o su cui viaggiano prevalentemente treni ad alta velocità: un posto in car pooling costa meno della metà.
Il trend di crescita della piattaforma è costante, dicono dalla sede italiana: le previsioni per il solo esodo di agosto sono di 250 mila auto BlaBlaCar sulle strade, e durante le scorse festività natalizie sono stati offerti circa 400 mila passaggi condivisi, il 50% in più dell’anno precedente. Molte anche le tratte fuori confine: nel 2015 i soli viaggi verso la Francia sono stati circa 70 mila, e ci si aspetta di fare meglio quest’estate.
Per catturare nuove fasce di utenti, la società ha inaugurato recentemente anche un’assicurazione sui viaggi – automaticamente attiva su tutte le tratte prenotate elettronicamente – che si aggiunge alla polizza normale e copre danni per incidenti, il costo della chiamata al carro attrezzi in caso di problemi al veicolo e persino quelli per oggetti dimenticati sull'auto condivisa.
Le donne, infine, possono scegliere l’opzione viaggi rosa: chi temesse di trovarsi in situazioni spiacevoli può scegliere di cercare (o di offrire) passaggi solo al femminile.

SCHEDA 2 - L’app dei passaggi
BlaBlaCar(.it)è una piattaforma di carpooling diffusa in 22 Paesi al mondo, sulla quale è possibile condividere posti in auto. Per offrire e cercare passaggi si deve creare un profilo: nel primo caso bisogna fornire una foto della propria patente, alcuni dati anagrafici, un numero di telefono; le indicazioni sul modello dell’auto e l’iban su cui ricevere gli accrediti; nel secondo, bastano l’anagrafica e il cellulare.
Sul sito si possono cercare passaggi per giorno e per meta; la piattaforma ha un sistema di messaggistica interna con cui gli utenti possono prendere accordi. I posti si offrono con pochi clic, anche via app; sulla maggior parte delle tratte, la prenotazione e il pagamento sono elettronici: basta opzionare un posto, e pagare il corrispettivo via PayPal o carta di credito. Su poche tratte residuali, si paga ancora in contanti, all’autista.
Alla fine di ogni viaggio, si lasciano commenti a chi guida e ai passeggeri: feedback fondamentali per costruire la fiducia nella piattaforma.

Pagina 99, 12 agosto 2016



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