11.1.17

Marzo 1953. Pertini ostruzionista. “Sorte triste, quella delle mondine...” (dagli Atti del Senato)

Giovedì 26 marzo 1953 la legge elettorale maggioritaria voluta dalla DC e dai suoi alleati e presentata dal Ministro degli Interni Scelba – la cosiddetta legge truffa – affrontava l'ultimo ostacolo parlamentare, il voto del Senato all'intero dispositivo.
Le sinistre di opposizione - i socialcomunisti si diceva allora – tentarono di bloccarne l'approvazione con una manovra ostruzionistica. Era già da tempo inserito nell'ordine dei lavori un progetto di legge che prevedeva interventi sulle condizioni di vita e di lavoro delle mondine, le lavoratrici stagionali dell'Italia settentrionale che nel periodo piuttosto lungo di raccolta del riso si trasferivano dai paesi d'origine alle risaie, ove trascorrevano all'incirca tre mesi. Il senatore del Pci, Bitossi, chiese di porre ai voti una sua proposta di inversione all'ordine del giorno: chiedeva che la legge sulle mondine si discutesse prima della legge elettorale per ragioni di urgenza. L'ostruzionismo si incardinò proprio su questa proposta: i senatori comunisti e socialisti intervennero in massa, ciascuno utilizzando il massimo del tempo che il regolamento consentiva, per ritardare la discussione sulla legge-truffa e farla decadere, visto che lo scioglimento del Parlamento era già stato decretato per sabato 28 marzo.
Gli interventi avevano dunque come tema la straordinaria urgenza dei provvedimenti a favore delle mondine e i presidenti di turno dell'assemblea (il presidente del Senato Ruini e i vicepresidenti Bertone e Molé) vigilavano per impedire che i senatori – nei loro interventi a favore dell'ordine del giorno Bitossi – uscissero dal tema in discussione. I banchi della maggioranza, durante gli interventi, erano in gran parte vuoti, ma alcuni senatori democristiani, socialdemocratici e liberali rimanevano in aula per garantire il numero legale ed impedire la sospensione dei lavori ed era presente – in rappresentanza del governo De Gasperi – il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, Rubinacci, competente sulla materia della legge.
In generale gli interventi ostruzionistici non furono particolarmente significativi nei contenuti, anche perché il loro obiettivo reale non era convincere a un voto favorevole ma perdere tempo, tuttavia Sandro Pertini, l'eroe della Resistenza e dirigente di socialista di primo piano, non volle rinunciare per l'occasione ad un intervento di grande spessore morale e politico, ad una complessiva denuncia delle scelte politiche, economiche e sociali del governo e della maggioranza guidata da De Gasperi.
Quello qui sotto trascritto è il resoconto ufficiale della seduta, che spero sia letto come esempio di un modo, oggi in gran parte perduto, di concepire e di interpretare l'impegno politico e civile. (S.L.L.)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare per dichiarazione di voto il senatore Pertini. Ne ha facoltà.
PERTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi pare che sia proprio il caso di dire: Rari nantes in gurgite vasto; e speriamo che questi naviganti possano raggiungere il porto, evitando scogli e secche.
Prima, però, di iniziare la mia conversazione (solo di conversazione si può parlare, a tribune vuote e con la stampa assente, per cui non parliamo per la platea, ma parliamo di fronte alle nostre coscienze, ed in queste condizioni possiamo essere più sinceri), mi sia concesso di rivolgere un ringraziamento ed un plauso — e credo di avere in questo consenzienti anche i pochi avversari presenti — al personale tutto del Senato (applausi) per il sacrificio, per la diligenza e per l'abnegazione, con cui svolge questo lavoro straordinario. Essi sono veramente le vittime innocenti di questi nostri contrasti, ed io li segnalo all'attenzione dell'onorevole Presidente perché possano avere un giusto compenso.
PRESIDENTE. Onorevole Pertini, anche prima di assumere questa carica conoscevo il valore del personale del Senato. Le assicuro che terrò conto dell'opera che esso presta e delle particolari circostanze in cui tale opera si svolge.
PERTINI. La ringrazio, onorevole Presidente. Ero certo che lei si sarebbe dimostrato sensibile a questo che non voleva essere un richiamo, ma semplicemente una esortazione.
FILIPPINI. Il personale ne avrebbe fatto a meno.
PERTINI. Di tante cose avremmo fatto a meno; avremmo potuto fare a meno soprattutto di questa legge elettorale e soffermarci invece su problemi più interessanti. Signor Presidente, prima di entrare nel vivo dell'argomento, per cui ho chiesto di parlare, mi sia consentito di fermarmi, sia pure brevemente, su una questione che è in relazione a questa nostra dichiarazione di voto, a questo atteggiamento che abbiamo assunto. Signor Presidente, noi andiamo leggendo delle affermazioni che non possono non offendere la nostra qualità di parlamentari e di rappresentanti del popolo che intendono assolvere sino in fondo il loro dovere e il mandato ricevuto dai loro elettori. La stampa governativa si scaglia contro di noi per quel che stiamo facendo e per queste dichiarazioni di voto e adombra delle minacce, che abbiamo ragione di pensare siano di fonte ufficiale. Noi a questi signori facciamo osservare che stiamo assolvendo un nostro legittimo diritto.
Il nostro collega Jannaccone ancor prima che si iniziasse il dibattito sulla legge elettorale ebbe a scrivere su un giornale di Torino un ammonimento al Governo ed alla sua maggioranza: «Badate, o signori, che a una violenza morale l'opposizione ha il sacrosanto diritto di rispondere con altra violenza morale».
Con questo nostro atteggiamento che cosa intendiamo fare? Opporci con tutti i mezzi legittimi a che sia varata la legge Sceiba e nello stesso tempo cercare che siano varate delle leggi che, come questa riguardante le mondine, interessano le esigenze della classe lavoratrice italiana. Quindi, stiamo contemporaneamente tentando di compiere due buone azioni, perché quando si cerca di evitare che l'avversario consumi una azione cattiva, solo per questo si compie una buona azione. Vogliamo, cioè, evitare che voi consumiate la cattiva azione di approvare la legge Scelba e nello stesso tempo vogliamo convincervi a compiere una buona azione, che è quella di andare incontro ad una categoria di lavoratrici, le quali da anni attendono che la loro penosa sorte sia presa in considerazione.
Signor Presidente, dato il suo passato, voglio sperare che ella non permetterà mai che venga oltraggiato il Parlamento, che sia calpestato il Regolamento a danno della minoranza, perché la minoranza si può difendere solo col Regolamento, la maggioranza si difende col suo numero. Oso sperare, e m'auguro per il Parlamento di non venir deluso, che ella, signor Presidente, terrà sempre dinanzi alla sua mente questi princìpi che sono princìpi democratici, princìpi che corrispondono a quello che è il suo passato.
Io le voglio ricordare per dimostrare quanto legittimo sia questo nostro atteggiamento, una parola altissima, che nessuno non può non ascoltare senza rispetto. È la parola del Capo dello Stato, il quale di certo anche in questa circostanza la tiene presente dinanzi al suo spirito per giudicare uomini e fatti. Perché è una questione di principio e le questioni di principio non si possono modificare lungo il cammino; per una coscienza retta esse rimangono ferme per tutta la vita. E non si può pensare — perché sarebbe irriverente — che egli oggi rinneghi quella sua parola per il solo fatto che lo stesso atteggiamento, da lui approvato anni or sono, è adesso assunto da chi rappresenta l'opposizione al Parlamento italiano.
Il Presidente della Repubblica, allora professor Luigi Einaudi, esaminando un atteggiamento simile al nostro preso anni fa alla Camera dei Comuni in Inghilterra dall'opposizione, ebbe a scrivere queste parole:«È assai dubbio che l'essenza del Governo parlamentare sia nel diritto della maggioranza di votare le leggi. Una maggioranza che si offende al pensiero di una lotta senza quartiere da combattere contro la minoranza prima di giungere ad attuare i suoi voleri, è l'araldo della tirannia». E ancora:« . . . L'essenza del Governo parlamentare sta nella libertà illimitata di discussione; e quindi l'ostruzionismo non è offesa alle istituzioni parlamentari, ma la pietra di paragone. Un Parlamento il quale per debellare l'ostruzionismo ricorra a metodi restrittivi del tipo inglese dimostra di non essere più il Parlamento di tipo classico, ma una camera di registrazione delle volontà: in Inghilterra del Comitato centrale del Partito dominante, in Italia della volontà del capo personale del gruppo più numeroso dei membri della classe politica. «Una maggioranza, per avere il diritto di chiamarsi tale, nel senso parlamentare della parola, deve essere composta di persone le quali siano convinte della bontà della causa che difendono e siano pronte a rintuzzare gli argomenti della minoranza con argomenti propri e a lottare con pazienza e risolutezza nelle sedute di venti ore al giorno o nelle sedute permanenti per settimane e mesi contro l'ostruzionismo della minoranza ».
E noi ci inchiniamo rispettosamente dinanzi a questo antico pensiero del Presidente della Repubblica e lo assicuriamo che seguiremo questo pensiero scrupolosamente, parola per parola, sicuri di avere il suo intimo consenso. (Applausi dalla sinistra).
La maggioranza invece di rispondere ai nostri argomenti tace, e solo attraverso le sue gazzette va affermando che con questo nostro atteggiamento noi avviliamo il Parlamento. No, secondo le parole del Capo dello Stato, siete voi che avvilite il Parlamento. Noi non avviliamo il Parlamento quando esercitiamo un nostro sacrosanto diritto. Voi, al contrario, signori avversari, avvilite il Parlamento, quando, pur sapendo che non è giusta la causa che state sostenendo, la sostenete egualmente. Vi ricordo che il vostro stesso relatore, l'onorevole Sanna Randaccio, ebbe ad affermare che la legge Scelba è assurda nel suo congegno e contenuto, ma che la si deve votare per necessità, perché, cioè, è già stata votata dall'altro ramo del Parlamento ! . . . Orbene, a mio avviso, quando una maggioranza, quando un Parlamento constatano che una legge è assurda, ingiusta, devono opporsi ad essa anche se l'ordine di votarla è venuto dall'alto.
Avvilite il Parlamento quando supinamente accettate l'arbitrio del potere esecutivo sul potere legislativo; quando rimanete insensibili dinanzi alla minaccia di scioglimento del Senato. In questo almeno dovremmo essere concordi: impedire che si compia questo ricatto contro la nostra Assemblea.
Signor Presidente, vi è un'altra più grave minaccia che pesa sul Senato, e sono lieto che le tribune del pubblico e della stampa, data l'ora, siano vuote e ci si possa parlare con maggior franchezza. La minaccia di ricorrere alla forza pubblica prima che preoccupare noi, dovrebbe ripugnare alla sua coscienza, signor Presidente; comunque sappiano coloro che questa minaccia hanno adombrata che qui vi sono uomini, i quali hanno saputo affrontare il manganello dei fascisti e il mitra dei tedeschi e, se vi saranno costretti, sapranno affrontare anche la forza pubblica per difendere il Parlamento. (Applausi della sinistra).
PRESIDENTE. Entri in argomento, senatore Pertini, e cerchi di non dilungarsi troppo.
PERTINI. È quello che stavo per fare, signor Presidente. Vogliamo, dunque, anteporre alla legge Scelba una proposta di legge che riguarda gli interessi e le aspirazioni, le sofferenze e la miseria di una categoria di lavoratrici, le cui condizioni di lavoro e di vita dovrebbero muovere a compassione tutti coloro che abbiano un cuore umano; non è necessario essere socialisti o comunisti, basta non avere sostituito il cuore con un portafoglio ministeriale o con la speranza di un portafoglio: vero, senatore Romita?
ROMITA. Io ce l'ho il cuore, sono figlio di lavoratori. (Interruzione del senatore Cappellini).
PRESIDENTE. Senatore Cappellini, la richiamo all'ordine.
PERTINI. Si tratta di un problema grave che desidero sottoporre ai nostri avversari. Quando il senatore Bitossi ha fatto la sua richiesta, credete proprio che abbia pensato solo di mettere un bastone fra le ruote della legge Sceiba? Bitossi è un uomo che rappresenta la Confederazione generale italiana del lavoro; egli è stato con noi in carcere, al confino e nella guerra di resistenza; ed è sempre a contatto con le sofferenze e le aspirazioni dei lavoratori.
Voi mi insegnate, o almeno un tempo mi insegnavate (si rivolge ai socialdemocratici) che chi è a contatto con i lavoratori, non vede e non sente altro che la loro causa; non appartiene più a sé stesso per appartenere soltanto alla classe lavoratrice; non sente più le esigenze della propria vita privata per sentire solo quella dei lavoratori sfruttati ed oppressi. Non ci si deve, quindi, stupire se un uomo, come il senatore Bitossi, una bella mattina dica: invece della legge Scelba che è una vergogna per la democrazia italiana, perché non pensare a una categoria di lavoratrici che soffrono da anni nella miseria e sono in condizioni disastrose di lavoro? Vi proponiamo un disegno di legge che non è poi solo il frutto delle nostre meditazioni, ma anche di quelle dei nostri avversari.
Se interrogaste il vostro Pastore vi direbbe che Bitossi ha ragione e che bisogna decidersi a risolvere il problema delle mondine. Ho sentito qualche avversario dire che si può attendere dal momento che le mondine da anni si trovano in così tristi condizioni. Già, chi giace nella miseria da tanti anni vi può rimanere ancora, perché dovrebbe essere ormai abituato alla miseria! Ma se la miseria dovesse invadere le vostre case sono certo che non pensereste alla legge Scelba, bensì verreste qui a proporre delle leggi per risolvere il vostro problema. Un giorno, non faccio nomi per discrezione, ero nel treno che mi conduceva da Roma nella mia Genova e vi erano due colleghi democristiani. Si parlava dell'episodio di Melissa che aveva turbato la coscienza nazionale oltre che sdegnare noi, così interessati in quella lotta. Uno dei due si scagliava contro i braccianti di Melissa; l'altro, un galantuomo guidato da una coscienza retta, si rivolse al collega con queste parole:«Tu vai a casa e sei sicuro di trovare i tuoi bimbi e tua moglie al caldo davanti alla tavola ben imbandita. Così per me e per questi due signori (erano due armatori di Genova). Ma se per caso andando a casa io vedessi mia moglie e i miei figli morire di fame, vivaddio, mi armerei di un fucile ed andrei nella strada a cercare pane per i miei cari». È un modo come un altro per portare alla luce un pensiero che sorge nella nostra coscienza; certo però quel nostro collega disse una sacrosanta verità.
Ricordandovi questo episodio ho voluto mettere in evidenza quello che ha fatto Bitossi. Egli dice:«Che cosa interessa la legge Scelba alla categoria delle mondine, ad esse interessa che sia risolto il loro problema e che siano soddisfatte le loro esigenze. Chiedo dunque l'urgentissima per il mio disegno di legge; cercate di accantonare per un momento — Dio volesse per sempre, dico io — questa legge Scelba e cerchiamo di risolvere insieme il problema delle mondariso ». D'altra parte Bitossi, ciò chiedendo, aveva presente un precedente recente. Infatti, amici di questa parte, d'accordo con i colleghi del centro, pensarono di inserire nella discussione della legge Sceiba la legge che riguarda i pensionati di guerra. So che avete masticato amaro per questa proposta di Palermo e di Berlinguer, perché essa ritardava la discussione della legge Scelba, ma avete accettato la discussione contemporaneamente per opportunità politica, perché i mutilati stavano alla porta di palazzo Madama e facevano sentire la loro volontà precisa che il Parlamento si interessasse della loro triste situazione. Non è assurdo, perciò, che il collega Bitossi chieda l'urgentissima per la sua legge. C'è solo da chiedersi se sia veramente urgente questo disegno di legge Bitossi, perché, se non lo fosse, il Parlamento non dovrebbe perdere le sue notti a discuterlo. Ma poiché è da tutti unanimemente riconosciuto che il problema è urgentissimo, la proposta va subito affrontata.
La situazione delle mondine ha sempre commosso quanti sono addentro alle questioni di carattere sociale. Sorte triste, quella delle mondine, simile a quella dei minatori, tanto è vero che la risaia e la miniera le associamo sempre nella nostra mente. Da una parte abbiamo lavoratori, dall'altra lavoratrici, ma la loro fatica e le loro pene sono molto simili. Gli uni sono giù centinaia di metri sotto terra e si sa che cosa voglia dire questo lavoro; le altre sono immerse fino alle ginocchia nell'acqua melmosa. Queste due situazioni di lavoro sono simili per le sofferenze che recano. Badate, signori, voi per vostra fortuna non sapete cosa voglia dire la fatica fisica, il lavoro manuale. Io benedico il mio destino perché mi ha fatto conoscere un'esperienza che non dimenticherò mai. Se vi parlo dei lavoratori con tanta passione è perché so che cosa vuol dire la fatica fisica. Infatti per due anni e mezzo in Francia, lontano dalla mia famiglia per motivi politici, per mantenermi fedele alla mia idea, ho dovuto, per vivere onestamente, fare il manovale-muratore. So quindi cosa vuol dire il lavoro fisico, cosa vuol dire lavorare per ore e ore, ritornare stanco sfinito a casa e alla fine della settimana ricevere un compenso per nulla adeguato alle più elementari esigenze. Si trattava di risolvere problemi ben più importanti di quello della legge Scelba. Se si doveva pagare la pensione non si poteva comperare altra cosa sia pure necessaria. Il salario che ricevevo mi appariva un po' come la coperta da campo, quando facevo il soldato nel 1916; se cercavo di coprirmi le spalle, mi scoprivo i piedi e viceversa. Questo vi ho detto, signori, per spiegarvi come mai io parli con tanta passione di un problema riguardante lavoratori. Vedete, io ho commesso diversi errori nella mia vita — e chi non ne commette? — però un errore non ho mai commesso e non commetterò mai : quello di allontanarmi dalla classe operaia. E questo non solo per una convinzione ideologica, ma anche e soprattutto perché quella mia esperienza mi ha indissolubilmente legato in modo direi fisico alla classe operaia, alle sue ansie ed alle sue sofferenze. Tutti gli errori, dunque, potrò commettere ma non potrò commettere mai quello di staccarmi dalla classe operaia. (Applausi dalla sinistra).
ROMITA. Se permetti che io ti interrompa, vorrei dirti che con questo tuo atteggiamento ti allontani dalla classe operaia mentre io penso di avvicinarmi ad essa. (Interruzioni dalla sinistra).
PRESIDENTE. Vorrei che tutti i senatori, sull'esempio del senatore Romita, chiedessero all'oratore il permesso di interromperlo, seguendo il sistema adottato — credo — in Francia.
PERTINI. Signor Presidente, lei ha perfettamente ragione. È questo il modo di discutere in Parlamento, cioè è giusto chiedere il permesso di interrompere come ha fatto il senatore Romita. Non posso fare a meno di riconoscere che mi ha interrotto con molto garbo in ricordo forse dell'antica amicizia. Lei, onorevole Romita, ha affermato che con questo mio atteggiamento vado allontanandomi dalle masse lavoratrici e che lei invece si avvicina ad esse. Non dimentichi, senatore Romita, che ella a Bologna prima e poi a Genova ebbe ad affermare che la tragedia del suo Partito consisteva precisamente nel fatto di non aver operai nel suo seno, mentre ella ha riconosciuto con me che il mio Partito, in questi ultimi anni, ha ricevuto un maggior consenso dagli operai del nord e dai braccianti del sud. E questo per quale misteriosa ragione, onorevole Romita, si è verificato? Badi che è stato proprio l'onorevole Scelba a procurarci questo consenso. Infatti, onorevole Romita, quando i braccianti del sud, a Melissa, perseguitati dalla « Celere » di Sceiba e dagli agrari si sono guardati intorno per vedere chi era al loro fianco, hanno visto i comunisti e i socialisti, e una parte è venuta verso di noi. Non hanno visto mai voi, onorevole Romita, perché in quell'epoca eravate al Governo a fianco di Scelba che aveva fatto spargere tanto sangue innocente.
E così a Modena.
Le ripeto quello che ho detto nella discussione generale: non valgono le sue e le mie affermazioni, con cui ci contendiamo la rappresentanza della tradizione socialista. È la realtà che vale e noi sappiamo di rappresentare la tradizione socialista, perché affondiamo le nostre radici in seno alla classe lavoratrice italiana, invece voi affondate le vostre in seno alla Democrazia cristiana.
E torno all'argomento nella speranza di aver stabilito un clima distensivo. Mi rammento di una leggenda che vorrei raccontare ...
PRESIDENTE. Le avevo raccomandato di non dilungarsi troppo.
PERTINI. Va bene, signor Presidente, allora la leggenda la racconterò dopo in separata sede ai colleghi. Dicevo che la sorte, le condizioni di vita delle mondine sono simili a quelle dei minatori. La risaia ricorda sempre la miniera. Quindi spettacoli di sofferenze, di miseria, spettacoli che non possono non muovere a pietà. Basta avvicinarci a queste lavoratrici, vederle quando lavorano sotto il sole ardente immerse fino alle ginocchia nell'acqua melmosa, per sentire pietà anche se non si è socialisti o comunisti. Ho cercato di esaminare da un punto di vista direi sindacale, sociale, il problema delle mondine e mi sono servito di una relazione firmata non dal collega Bitossi, bensì anche da colleghi di parte avversa. Infatti essa reca la firma del senatore Macrelli oltre a quella del compianto senatore Bibolotti. Questa relazione inizia con quattro versi del nostro inno antico scritto da Filippo Turati: «La risaia, la miniera — ci han fiaccati ad ogni stento — come bruti di un armento — siam sfruttati dai signor ». Questo «Inno» è stato scritto circa 60 anni fa, ma è forse cambiata, signori, la sorte di queste disgraziate lavoratrici ? No, continua triste e penosa come allora.
Seguiamo, o signori, il calvario di queste donne che lasciano la loro casa e vanno in risaia a lavorare. Chi osa parlare di viaggio? È un vero calvario! Prima di tutto l'ingaggio, che ormai è abbandonato in mano all'Ente risi e cioè in conclusione in mano dei datori di lavoro; gli Uffici del lavoro non ne sono interessati. L'onorevole Macrelli ricordava che, quando fece parte di quella Commissione, cui ho accennato, ebbe ad interrogare delle mondine chiedendo loro come erano state ingaggiate. Esse risposero che non erano state ingaggiate regolarmente. Il collocatore le aveva assunte dietro un «nulla-osta» rilasciato da una mondina che rappresentava il datore di lavoro. Lei stesso, onorevole Rubinacci, che faceva parte della Commissione, allora si scandalizzò per questo fatto, perché si sa bene quali ingiustizie si nascondono dietro questa forma di ingaggio.
BITOSSI. L'80 per cento degli ingaggi avviene così.
RUBINACCI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Si tratta soltanto di casi episodici.
PERTINI. Onorevole Rubinacci, qui c'è una relazione nella quale sono contenuti anche degli elogi fatti a lei per la sua sensibilità e comprensione, elogi fatti dal compianto collega Bibolotti che tutti ricordano quanto fosse onesto e sincero; in questa relazione sono i dati di fatto, che io vado citando. Ora, io non so la percentuale esatta delle varie forme di ingaggio adottate, ma mi permetterà di credere al collega Bitossi, il quale afferma che l'ingaggio in gran parte viene fatto col sistema che io ho esposto. Lei inoltre sa, onorevole Rubinacci, che tra le mondine vengono assunte illecitamente delle fanciulle di 14-15 anni ed anche di età inferiore. Questo non dovrebbe avvenire; lei sa pure che prima d'ingaggiare una donna essa dovrebbe essere visitata seriamente. È chiaro, invece, che quando l'ingaggio viene fatto nel modo da me denunciato, la visita non viene fatta, oppure sarà fatta con nessuna serietà. Io non pretendo certo di avere profonde cognizioni in medicina, ma so, per esempio, che quando una persona è ammalata di nefrite il lavoro in risaia non le è affatto indicato, anzi costituisce un vero e proprio suicidio; se una donna è artritica per predisposizione e va a lavorare in risaia per un mese o due, evidentemente essa si rovina in modo completo; altrettanto si può dire delle puerpere. Si risponde a queste nostre osservazioni:«Ma perché queste donne, sapendo di essere ammalate, si fanno ingaggiare?». Questa è la tragedia, onorevoli colleghi! Esse sono sospinte dalla loro miseria a fare un qualsiasi lavoro anche se controindicato alle precarie condizioni della loro salute. Certo, invece di andare a lavorare nelle risaie dovrebbero essere ricoverate in colonie sanitarie per curarsi, come possono fare le nostre mogli e figlie. Queste povere donne nascondono i mali di cui soffrono e si fanno ingaggiare pur di procurare un pezzo di pane alle loro creature che al mattino si aggrappano alle loro gonne, piangendo per la fame.
Parliamo adesso dei mezzi di trasporto. Non è vero, onorevole Ministro del lavoro, che ormai i carri bestiame siano scomparsi! Ricordo che un giorno alla stazione di Novara vidi un treno composto esclusivamente di carri bestiame. Era pieno di mondine ammucchiate quasi fossero cose. Chiesi loro da quanto tempo stavano ferme in quella stazione e mi risposero che vi sostavano da ben sei ore. Domandai allora al capo stazione la ragione di quella lunga sosta. «Abbiamo altre cose da pensare» mi rispose seccato; e quando gli feci presente la mia qualifica di parlamentare mi aggiunse con più cortesia : «Che vuole ? Abbiamo tanti treni passeggeri che debbono andare a Milano e a Torino e quindi facciamo sostare queste tradotte nei binari morti». Evidentemente non si curavano del fatto che quelle povere donne dopo un viaggio così disagiato avrebbero dovuto andai'e a lavorare, non certo a riposarsi. Vi è di più: in molte zone le mondine devono fare dei lunghi tratti a piedi. Sappiamo bene poi in cosa consistono i posti di ristoro lungo il tragitto : i servizi igienici si può dire che non esistano.
Come si svolge il lavoro? Ho visto io con i miei occhi e non ho potuto frenare la mia interna commozione, quando ho scorto queste povere donne, curve sotto il sole cocente, con l'acqua fino alle ginocchia. Molte di loro non hanno neppure il cappellone per difendersi dai raggi del sole. Mi sono avvicinato ad una donna che stava riposando e le ho chiesto:«Ma come potete stare nell'acqua tante ore?». «Non è tanto l'acqua, mi rispose, sono le zanzare, le sanguisughe che ci tormentano. All'acqua oramai ci siamo abituate». Si sono abituate! E la retribuzione di questo lavoro? Ormai i competenti ci dicono che non è sufficiente per provvedere a tutte le esigenze delle mondine, le quali sono costrette a lavorare anche la domenica con retribuzione non adeguata. Queste povere donne lavorerebbero non soltanto la domenica, ma tutto il giorno in queste condizioni pur di mandare un pezzo di pane alle proprie creature. Ma l'assistenza ai figli è la cosa che le tormenta di più. Le madri non si sono lamentate con me della fatica che esse dovevano sopportare. La preoccupazione che maggiormente le tormenta è una sola: i bambini, le loro creature che hanno dovuto lasciare senza assistenza alcuna. È vero, ci sono gli enti locali, i patronati. Ma la collega Bei sa come viene concesso questo genere di assistenza.
BEI ADELE. È una carità pelosa.
PERTINI. Non vi sono nidi di infanzia per ospitare questi bambini e tranquillizzare le loro "madri. Vi è poi il problema delle cascine dove vengono ospitate le mondine. Molte di queste cascine, come risulta anche dalla relazione, sono prive di servizi igienici, hanno dormitori infelici dove le mondine non trovano il riposo tranquillo ed igienico, cui avrebbero diritto. Vi sono cascine in quel di Lacchiarello (Milano) e Buronzo (Vercelli) di proprietà del conte Passalacqua. Si tratta di cascine prive di acqua potabile, di servizi igienici e perfino pericolose per l'incolumità fisica per coloro che vi vivono dentro, perché possono crollare da un momento all'altro. Naturalmente il signor conte non se ne interessa perché ha la casa comoda in città, la sua villa in campagna e gli alberghi di lusso a sua disposizione. A lui interessa soltanto il riso che dovrà vendere ed il ricavato che dovrà servire a soddisfare i suoi vizi ed a rallegrare i suoi ozi. Ma se a questo non pensa il signor conte, ci dovrebbe
pensare il Governo. Per quanto riguarda il vitto dalla relazione risulta che si dà molto riso ma poca pasta.
RUBINACCI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L'onorevole Bitossi le potrà dire che si è provveduto.
PERTINI. Non voglio polemizzare.
RUBINACCI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Io desideravo soltanto dire che questa relazione della Commissione fu redatta appunto per vedere quello che si poteva fare. E ciò che è stato possibile è stato fatto.
PERTINI. Per il momento, siccome non voglio polemizzare con lei, prendo atto della sua osservazione. Non mi può però dare torto sul fatto, lamentato dalle mondine, della monotonia del vitto. Voi non sapete che cosa vuol dire la monotonia del vitto. Lo sa chi è stato in galera, lo sanno i medici, che ci informano che essa rovina gli intestini. Mi par di sentire rispondere il «signor conte» Passalacqua : « Volete forse che questa gente abbia il vitto variato, i polli, gli antipasti? In fin dei conti si tratta di mondine!». Lo sentirei esprimersi come si è espresso un industriale cotoniero, il quale, sul rapido da Milano a Roma, diceva esasperato ad un suo vicino : «Trent'anni fa i miei operai non pensavano di andare al cinema : adesso vogliono andare anche al cinema. Ecco perché non basta il salario che ricevono». Così, si esprimerebbe il conte Passalacqua, se l'onorevole Rubinacci andasse a dirgli che il vitto delle mondariso è monotono. Ed alla fine gli direbbe: «Eccellenza, lasciamo stare queste malinconie, venga a casa mia che le offro un buon pranzo».
RUBINACCI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Abbiamo mangiato con le mondine, non con il conte Passalacqua.
PERTINI. Lei è napoletano, appartiene ad un popolo che ha il dono dell'umorismo. Sappia, quindi, intendere le mie parole che non recano nessuna offesa per lei. È indubbio però, onorevole Ministro, che la risposta del conte Passalacqua sarebbe quella d'invitarla a pranzo e le farebbe constatare la differenza tra il vitto delle mondine e il suo vitto. Orbene, per quale ragione il signor conte deve avere diritto alla varietà del vitto e non anche le mondine, le quali, d'altra parte, sono esse a procurarglielo, il vitto, con le loro sofferenze?
In conclusione queste povere lavoratrici sono abbandonate all'egoismo degli agrari, come già ebbe a dire ieri, con tanta eloquenza, il senatore Secchia. Giustamente egli ha messo in luce l'eterno egoismo che domina in costoro. Non dimenticate che furono precisamente gli agrari della Lomellina
che hanno dato vita al fascismo, contemporaneamente agli armatori di Genova e agli industriali del nord.
Gli agrari sono guidati solo dal loro gretto egoismo, che può esser vinto spesso solo con l'arma dello sciopero, onorevoli colleghi della socialdemocrazia. Lo sciopero è stato creato dalla sofferenza dei lavoratori e dall'egoismo della classe padronale. Se la classe padronale non si fosse dimostrata sempre gretta ed egoista ma avesse concesso tutto quello che era necessario alla classe lavoratrice, lo sciopero non avrebbe avuto ragione d'essere. Lo sciopero si è fatto e si fa semplicemente quando la miseria invade le case dei lavoratori e li spinge fuori a chiedere lavoro e pane. (Interruzione dell'onorevole Romita).
Onorevole Romita io ho ricordato all'onorevole Piccioni quel mio episodio dell'ergastolo di Santo Stefano, a lei ricorderò quello che facevamo talvolta quando eravamo fanciulli. Si prendeva un passerotto gli si legava una zampetta ad un filo e poi lo si lasciava andare liberamente di ramo in ramo per tutta la lunghezza del filo. Ma quando la povera bestiola tentava di prendere le vie del cielo, allora con un colpo lo rimettevamo in gabbia. Ecco la libertà di sciopero che vorrebbero lei ed i suoi: lo sciopero quando passa il limite rappresentato dagli interessi della classe padronale non è più concesso. Il diritto di sciopero è un diritto sacrosanto e se voi foste anche solo in parte socialisti,
lo dovreste riconoscere. Invece, ecco che si presenta la legge antisindacale.
Comunque, il Governo che cosa fa di fronte a questo egoismo della classe padronale, l'asseconda. Badiate a quanto avviene nell'Italia meridionale: come ai tempi del feudalesimo il signore, il proprietario terriero è considerato dal maresciallo dei carabinieri come il rappresentante dell'ordine e come il rappresentante del Governo. Se, ad esempio, il proprietario del posto compie qualche cosa d'illecito, il maresciallo non riconosce la illiceità, perché è assurdo per lui che un « signore » possa commettere azioni illecite, disoneste, come per lui non potrebbero compierne né De Gasperi né Scelba. Il «signore» rappresenta l'ordine, la giustizia e perciò quando egli chiama il maresciallo e l'avverte, che è necessario dare una severa lezione a quelle canaglie di contadini, che osano abusivamente coltivare la terra da lui abbandonata agli sterpi, il maresciallo si mette sull'attenti ed assicurerà il «signore» che penserà lui a mettere le cose a posto. Pensate voi che il maresciallo in questo modo creda di avere agito sotto la spinta di un cittadino qualsiasi? No, penserà di avere agito in nome del rappresentante della legge e dell'ordine. Questa è la situazione specie nell'Italia meridionale; ove i rappresentanti del Governo si considerano gli agrari, i quali dominano con il loro egoismo, mentre il Governo avrebbe il sacrosanto dovere di intervenire contro di loro in favore dei lavoratori sfruttati.
Tutto questo non avverrebbe se si osservassero e si attuassero i rimedi racchiusi nella Carta costituzionale. La Carta costituzionale, signori, è la logica conseguenza della lotta ventennale contro il fascismo e della guerra di liberazione. Il proprietario, secondo la Costituzione, non è più il designato da Dio; non più il privilegio alla base della società, bensì il lavoro. Perciò quel tale maresciallo dei carabinieri non dovrebbe mettersi più sull'attenti dinanzi al barone o al marchese, al «signore», dovrebbe mettersi sull'attenti dinanzi ai braccianti perché essi rappresentano il fondamento della Repubblica italiana. (Applausi dalla sinistra).
Invece questo Governo fa tutto il contrario. Quando noi vi esortiamo ad applicare la Carta costituzionale voi tergiversate, e dimostrate di avere in proposito delle gravi riserve mentali, e queste riserve le ha espresse l'onorevole De Gasperi, quando ha detto che lo si può obbligare ad essere fedele allo spirito della Costituzione non alla lettera. E voi giuristi insegnate che basta cambiare di una legge una virgola per cambiarne anche lo spirito. Signori, parlando delle mondine, delle condizioni del loro lavoro, della loro vita, delle loro sofferenze, dei loro bimbi non assistiti, noi implicitamente abbiamo ricordato princìpi racchiusi nella Carta costituzionale, princìpi riguardanti le condizioni di vita dei lavoratori; la dignità del lavoro; l'assistenza ai lavoratori; i diritti della donna.
Noi abbiamo l'articolo 3 che al secondo capoverso dice : «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Mi fermerò sul concetto dello sviluppo della persona umana al quale ha accennato anche il senatore Secchia. Quanto teniamo noi socialisti, alla dignità umana! È l'essenza del socialismo. L'onorevole Saragat ha ricamato e seguita sempre a ricamare su questa parola. Ma io vorrei che coloro che parlano di dignità umana si recassero nelle solfatare della Sicilia, nelle miniere della Sardegna e nelle risaie del nord e andassero ad assistere alla fatica di quei lavoratori e di quelle lavoratrici e parlassero loro di personalità umana. Si sentirebbero rispondere: «Come possiamo avere anche noi una personalità umana, se ci lasciate in queste condizioni?». Quando uno è fisicamente abbrutito, lo è anche moralmente. Se di ogni uomo e di ogni donna volete fare un cittadino ed una cittadina liberi, dovete prima di tutto sollevarli dalla loro miseria. Finché li lascerete in queste condizioni, essi si sentiranno più simili ai bruti che agli uomini e non potranno mai sviluppare la loro personalità umana. È un inganno, è un'offesa parlare di personalità umana a questa povera gente! Cercate di metterli in condizione di vivere umanamente. Allora sentiranno palpitare in sé stessi una dignità umana, la svilupperanno e la difenderanno al momento opportuno. Libertà, democrazia! Parole vane se si disgiungono dalla giustizia sociale. Dice l'articolo 35 della Costituzione che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e dice l'articolo 36 che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa. L'articolo 37 sancisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Se dimenticate questi articoli la parola democrazia diventa vana, vuota d'ogni contenuto come uno di quei palloni con cui giuocano i bambini: basta un colpo di spillo a ridurli in cosa inutile. Se volete che la democrazia e la libertà diventino veramente una conquista per tutti i cittadini, se volete che la libertà non si risolva in un privilegio per una minoranza e in un inganno per la maggioranza, bisogna che la libertà riposi sulla giustizia sociale.
La Carta costituzionale, signori, è sottoscritta anche da voi. Orbene, se non volete essere dei disonesti, dovete far onore alla vostra firma, dovete pagare questa cambiale e si paga rendendo concreti ì princìpi racchiusi nella Costituzione. Ma vi è di più. Voi parlate spesso di famiglia. La Costituzione all'articolo 31 dice che la Repubblica agevola la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, e che protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù. Voi parlate spesso di Nazione e di Patria. Orbene, qual'è la base della Nazione? È la famiglia. Non fateci delle obiezioni in proposito, voi sapete qual'è il culto che noi socialisti abbiamo della famiglia è che il socialismo ha sempre considerato la famiglia come il nucleo della società futura. Dovete dunque prima di tutto risolvere il problema della famiglia e fare in modo che essa viva sanamente non solo dal punto di vista morale, ma anche dal punto di vista economico.e sociale. Non vi accorgete che minate il fondamento della Nazione quando abbandonate le famiglie dei lavoratori alla loro tristissima sorte? Quando le madri debbono lasciare i loro figli, perché debbono andare in risaia, ove si svilupperanno le malattie che già portano in sé; ed i loro bambini crescono denutriti, non darete mai vita ad una Nazione veramente solida socialmente, economicamente e politicamente. Infatti una Nazione dove esistono bambini denutriti, condannati alla tubercolosi, dove sono madri dannate a fare il lavoro che fanno le mondine senza un giusto compenso, in quella Nazione non vi è vera democrazia. Ed è inutile, signori, che nelle ore difficili facciate appello alla solidarietà nazionale quando tutta questa gente che dovrebbe rispondere al vostro appello, oggi l'abbandonate all'egoismo delle classi padronali. Voi avrete in questa gente, in questi lavoratori, dei nemici, perché così tali li avete sempre considerati.
Ecco spiegato il nostro atteggiamento di fronte alla proposta Bitossi. Tale atteggiamento vuole essere anche un monito. Fraternamente vi diciamo: cercate di ascoltare la parte migliore che ogni uomo porta nella sua coscienza. Il consenso intorno a voi non riuscirete a crearlo con la legge-truffa, con essa aumenterete i vostri nemici.. Se volete del consenso — ed ogni Partito ha il diritto di cercarlo — sappiate che esso si ottiene, cercando di soddisfare le esigenze delle masse lavoratrici. Solo così i lavoratori vi guarderanno con meno ostilità. Vi abbiamo chiesto di realizzare le riforme di carattere sociale, ma inutilmente. L'unica riforma è stata quella presentata da Scelba!... Ci dite dateci il tempo necessario. Ma, signori, sono sette anni che siete al Governo e non avete realizzato neanche una di queste riforme. Del resto abbiamo visto i risultati della cosiddetta riforma agraria! Nel vostro Partito vi sono anche delle correnti che sono sensibili alle esigenze della classe lavoratrice, ma purtroppo queste correnti vengono sommerse dall'avanzare della destra clericale ed economica.
Così, dopo aver osteggiato i lavoratori in tutti i modi, ecco la legge Scelba ad umiliarli politicamente. Infatti, essa in ultima analisi questo vuol dire: tu mondina, dato che appartieni ai Partiti di sinistra, il tuo voto vale meno di quello del tuo padrone, che ti sfrutta. Credete che servirà a creare tutto ciò un consenso di lavoratori e di lavoratrici intorno a voi? Creerete semplicemente la discordia civile e raccoglierete cenere e tosco.
Ed eccomi, signori, arrivato alla fine del mio intervento. Noi ci auguriamo che queste notti, che vi costringiamo a trascorrere qui, in Senato, vi rechino consiglio. Ci auguriamo, che nelle vostre notturne meditazioni, si ridesti in voi un lembo di coscienza cristiana, per cui anche voi sentiate l'impulso, il dovere di guardare a chi soffre. Benedette, allora, sieno queste notti trascorse qui, assieme, se esse varranno a farvi desistere dal consumare sino in fondo la cattiva azione rappresentata dalla legge Scelba e se vi indurranno a compiere finalmente una azione cristiana, ad alleviare, cioè, le sorti penose e tristi di lavoratrici, alle quali forse un giorno, in compenso delle loro sofferenze di oggi, strapperete i figli per gettarli nella fornace d'una nuova guerra. Signori, cessate di sentirvi sempre e solo democristiani; siate, almeno per una volta, cristiani. (Applausi dalla sinistra).

dal sito del Senato della Repubblica

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