19.2.17

Complottismo e complessità (S.L.L.)

Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo
“Complottismo” è un termine molto amato dai media che sostengono, in vero con sempre maggiori difficoltà, le attuali classi dirigenti occidentali. 
Esso designa e colpisce un atteggiamento da molto tempo diffuso tra i ceti popolari di tutta Europa, che probabilmente risale al tempo della Rivoluzione Francese e della reazione vandeana e clericale o forse a tempi ancora più lontani e che – tra gli altri – è stato con grande intelligenza studiato e raccontato da Umberto Eco. Alla base di questo atteggiamento c'è l'idea di un grande complotto, pressoché universale, di volta in volta attribuito agli ebrei, ai massoni, alla finanza internazionale o a composite alleanze di codesti gruppi tra loro e con altri, la convinzione dell'esistenza di un centro di potere occulto capace di determinare le cose del mondo dal livello più alto al più basso.
Quest'idea contiene inevitabilmente un elemento mitico, premoderno, che postula una sorta di “reductio ad unum” e spesso rende i creduloni promotori di disastri per sé e per gli altri. L'approccio moderno, empirico, alla realtà politica, economica e sociale non nega l'esistenza di complotti, ma questi non impediscono controcomplotti, tradimenti, conflitti, contraddizioni, defezioni. Insomma, come soleva dire un deputato Dc mio compaesano, “la situazione è complicata e complessa nell'insieme”: non c'è solo chi la complica a proprio vantaggio, ma tende di per sé a complicarsi.
Nel corso del Novecento alla favola del grande complotto “massonico-giudaico-plutocratico” s'è ne è aggiunta un'altra, quella del complotto comunista (o anche “giudaico-comunista”). L'ossessione dei comunisti infiltrati ovunque con agenti e “utili idioti” mossi da una centrale internazionale della sovversione rossa si manifestò in molte parti del mondo e trovò il suo apice nel maccartismo.
Le varianti attuali di codesti filoni storici riscuotono tuttora amplissimo seguito: i diffusori e i seguaci di spiegazioni “complottiste”, spesso sciocche, vengono moltiplicati dalla rete. Il “complottismo” generalista più diffuso è forse quello che tende a considerare l'attuale ordine mondiale, inclusa la costruzione dell'Unione Europea, frutto di un congiura della finanza massonica (e giudaica) che avrebbe la sua centrale in associazioni come la “Trilateral” e i suoi bracci nel FMI, nella Banca mondiale, nella burocrazia dell'UE eccetera. Che i poteri economici più forti del mondo occidentale abbiano luoghi d'incontro, di trattativa e di compensazione, di progettualità è cosa normale e utile perfino agli avversari di quest'ordine mondiale; che una parte dei progetti siano tenuti segreti e assumano la forma del “complotto” è nell'ordine delle cose; ma i complottisti vanno oltre, vedono la “longa manus” di queste forze occulte anche dove ci sono spiegazioni semplici ed evidenti e lavorano molto di fantasia, specie nella rete. Molte delle cosiddette “bufale” hanno matrice complottista e di complottismo si alimenta il successo elettorale di alcuni movimenti che la politologia in voga riconduce al “populismo”.
C'è però - meno evidente e meno denunciato - un altro “complottismo” ereditato dal Novecento, quello che ricicla le leggende anticomuniste. La sua forma più comune è l'individuazione nell'ex spione Putin e nella sua Russia il cuore e la mente di un progetto occulto di dominio mondiale. È quello che lascia intendere l'articolo che inserisco qui di seguito a mo' di esempio: fa pensare a una tela di ragno, a una manovra ad ampio raggio. L'idea che il Cremlino controlli, manovri, finanzi e usi questo o quell'altro gruppo o che addirittura un uso sovversivo della rete da parte dei putinisti possa determinare l'esito delle presidenziali USA, è speculare a quella di chi, negli ultimi decenni, ha visto nelle “rivoluzioni colorate” filoccidentali di certi stati ex-sovietici o nelle cosiddette “primavere arabe” solo il frutto di un complotto. È certo che i grandi poteri, finanziari, politici, militari, fanno di nascosto giochi sporchissimi, e che questi giochi producono effetti, ma le moltitudini informate (o anche disinformate) da un sistema mediatico potentissimo non sono quasi mai utilizzabili a comando, senza una ragione profonda. In una situazione come quella del mondo d'oggi, “complicata e complessa”, tutte le letture complottiste o semplificatorie degli eventi fanno danno e vanno combattute con tenacia e pazienza.

Vladimir Putin e Marine Le Pen
Appendice
Perché Lega e 5 Stelle corteggiano Putin (di Mattia De Nardi)
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Solo nel 2016 i parlamentari 5 Stelle, Di Battista e Manlio Di Stefano i più noti, sono volati diverse volte nella capitale russa, mentre Salvini ha cominciato a farlo già due anni fa.
Fiutando l’aria e imitando Le Pen, modello francese su cui ha riplasmato la Lega, il leader del Carroccio ha scorto a Est un punto di riferimento per capovolgere i rapporti di forza in Europa. In due anni è stato quattro volte a Mosca. Ha incontrato Putin, è stato tra i primi a visitare la Crimea annessa alla galassia russa, si è fatto fotografare in Piazza Rossa con l’icona del presidente-zar su una maglietta, e al Parlamento europeo ha chiesto la fine delle sanzioni imposte dall’Ue alla Russia per la crisi ucraina.

I filorussi di Bruxelles
Assieme alla Lega lo chiedono i partiti raggruppati nell’Europa delle Nazioni e della Libertà (Enf), guidati da Le Pen, e quelli dell’Efdd, che ha sposato i sogni antieuropei dell’Ukip e l’utopia della democrazia diretta dei 5 Stelle. A Bruxelles sono ancora una minoranza, ma sempre più rumorosa, anche perché stanno accrescendo la propria popolarità. Il riflusso della globalizzazione, la forbice della diseguaglianza sociale, l’austerity, il grande problema dell’immigrazione danno argomenti e forza ai partiti populisti, nazionalisti e xenofobi. Putin, impegnato anche a gestire una crisi economica interna sempre più dura, è uno spettatore interessato all’evoluzione di questi movimenti politici e li sostiene.
Secondo i media britannici, da due anni fonti di intelligence americane avvertono del rischio di un condizionamento diretto del Cremlino all’interno dei partiti occidentali rinvigoriti dalla vittoria di Trump e dalla sconfitta del cosiddetto establishment. La disfatta di Hillary Clinton è vista come un’altra tappa dopo la Brexit della progressiva dissoluzione dell’equilibrio globale con al centro l’Ue a trazione tedesca alleata agli Usa e sospettosa verso lo strapotere a Est della Russia. Il referendum italiano è l’antipasto di un 2017 pieno di incognite lungo il quale andranno al voto la Francia, la Germania.
Per una classica convergenza di interessi, Putin si è trasformato in una sorta di testa di ariete di quella che è stata definita l’“Internazionale populista”, all’interno della quale il M5S sta cercando di prevalere come sponda italiana. La contesa tra i grillini e Salvini passa attraverso Mosca e il sostegno dell’apparato del Cremlino. La domanda è: quale sostegno?
Le voci di finanziamenti che si rincorrono a Roma, come a Mosca, non hanno mai trovato conferma, se non nel prestito di 9 milioni di euro concesso al Front National di Le Pen dalla First Czech Russian Bank, legata alla presidenza russa. Il Telegraph ha citato anche la Lega come potenzialmente coinvolta dal “bancomat Putin”. Salvini ha negato con forza. Di prove invece ce ne sono, e ampiamente, del supporto di propaganda che il Cremlino offre ai populisti d’Europa. E seguendo l’andamento delle notizie sull’Italia si può anche vedere come a poco a poco il M5S stia scalzando la Lega nell’interesse dei russi. Il motivo è molto pratico: i 5 Stelle hanno un consenso maggiore e possono ambire seriamente al governo.

Il soft power di Mosca
È il soft power ai tempi di Putin, lo stesso di cui parla il libro di Marcel H. Van Herpen Putin’s Propaganda Machine: Soft Power and Russian Foreign Policy. Una macchina potentissima che usa i canali tradizionali ma non disdegna forme di interferenze web più sofisticate, attraverso i social e i siti di informazione totalmente schierati. Le accuse di hackeraggio da parte dei russi nelle elezioni Usa si sono sprecate, e anche in Italia qualcuno del Pd ha espresso il timore di un possibile attacco alla vigilia del referendum. Ma senza addentrarsi nei labirinti nascosti dei pirati informatici, è l’evidenza che parla e dimostra le simpatie della cerchia di Putin. Non molto è cambiato dai tempi in cui l’Urss, attraverso il Kgb, sosteneva i partiti comunisti occidentali. I 5 Stelle hanno acquisito una visibilità senza precedenti sul potente network mediatico finanziato dal Cremlino che si irradia in tutto il mondo. Da Russia Today all’agenzia Ria Novosti, da Rbth (Russia beyond the headlines) al sito in italiano Sputnik news. Interviste, approfondimenti, analisi, poi rilanciate su Twitter, su Facebook, sul blog di Grillo, oppure su altri siti collaterali (L’Antidiplomatico è quello che più di altri divulga la linea filo-russa del Movimento). I 5 Stelle si accreditano come forza di governo e offrono una prima bozza della loro politica estera con al centro sempre due richieste: fine delle sanzioni alla Russia e ridefinizione della presenza dell’Italia dentro la Nato, di fatto quell’ indebolimento del Patto Atlantico che è in testa ai piani di Putin.
Nell’ottica dei russi, però, Grillo conta poco. Sono piuttosto i parlamentari a essere corteggiati. Di Battista, accolto come ospite d’onore durante il ricevimento all’ambasciata russa di Roma a giugno. O Carlo Sibilia e Di Stefano, titolari di molti dossier di politica estera per il M5S. Di Stefano è stato l’unico deputato italiano in carica invitato, a giugno, al congresso di Russia Unita, il partito di Putin. «Le sanzioni sono una follia – spiega – perché stanno facendo perdere miliardi alle imprese italiane».
La posizione ufficiale del M5S vale come slogan, «né filo-russi, né filo-americani, siamo filo-italiani», e fa presa su quelle che sono le richieste di chi con Mosca fa affari. Vito Petrocelli, senatore della commissione Esteri, ha dichiarato che una quindicina di aziende italiane dell’agrolimentare si sono rivolte al M5S «per chiedere di mettere fine alle sanzioni». Petrocelli ha guidato la delegazione dei 5 Stelle sbarcata a Mosca il 14 novembre. Ufficialmente per rispondere all’invito del comitato per il No degli italiani di Mosca. Per l’occasione, è stata messa a disposizione la sede dell’agenzia di Stato Ria Novosti, dove si è svolta una conferenza stampa. L’unica testata in lingua italiana invitata, però, era “Sputnik News”. L’assistenza logistica e tecnica è parte della regia russa fatta anche di conferenze su misura, viaggi organizzati di politici italiani in Crimea, o manifestazioni come quella della Lega a Roma, dove nel febbraio 2015 sono spuntate la bandiera russa e quella degli indipendentisti d’Ucraina.
La sera del 15 novembre, al Loft Farfor, a documentare l’incontro con i 5 Stelle c’è Pandora Tv di Giulietto Chiesa, grande amico della Russia e sostenitore dell’uscita dell’Italia dalla Nato. L’organizzatore della serata è Giovanni Savino, professore all’ Accademia presidenziale russa dell’economia nazionale e della pubblica amministrazione. In platea c’è il presidente dell’Associazione italiani a Mosca, ci sono consulenti, un ingegnere della Saipem. Si dovrebbe parlare della riforma costituzionale, ma alla fine si parla soprattutto delle sanzioni che hanno congelato i business italiani.

Nemico Soros
Andrea Castellan, general manager di Cannon Eurasia, vicino al Cremlino, si scaglia contro il finanziere Usa George Soros, associato alla Troika, a Obama e all’Ue, tra i sostenitori del Sì al referendum. Il complotto di Soros è un cavallo di battaglia della propaganda russa che dai siti russi rimbalza su quelli italiani pro-M5S. Il senatore Petrocelli rassicura: «A Bruxelles stiamo facendo pressioni». Ma, aggiunge, «con noi per ora c’è solo il 23% dei deputati europei». Far leva sulle aziende è l’altro canale sfruttato dai russi che il 28 ottobre hanno invitato una delegazione di imprenditori veneti nelle autoproclamatesi repubbliche di Donetsk e di Lugansk.
I putiniani d’Italia diventano sempre più numerosi e corrono alla corte dello zar. Saputo dei 5 Stelle, Salvini non è voluto essere di meno: attraverso l’ex deputato Claudio D’Amico e Gianluca Savoini, presidente dell’Associazione Lombardia-Russia, a Mosca ha incontrato i deputati di Russia Unita e il vecchio amico Andrej Klimov, responsabile esteri del partito, già invitato d’onore alla conferenza “Il nuovo mondo con i Brics”, promossa dal M5S nel luglio 2015. Durante la visita del M5S, il governo italiano, attraverso canali diplomatici informali, ha fatto arrivare al Cremlino tutto il suo disappunto per questo attivismo a favore dei grillini a poche settimane dal cruciale appuntamento del referendum. Dopo la Brexit e il successo di Trump, la vittoria del No verrebbe letta come un ulteriore indebolimento dell’Ue e un conseguente rafforzamento dei progetti euroasiatici di Putin. Pochi giorni dopo, il presidente russo ha scelto un quotidiano italiano, “La Stampa”, per inviare un messaggio di apparente distensione. Liquidando con sprezzante ironia i sospetti di interferenze in Usa e in Europa, Putin ha fatto capire che, nell’era del terrorismo globale, con la Russia, piaccia o meno, bisognerà ancora fare i conti. (Pagina 99, 3 dicembre 2016)

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