La locandina delle rappresentazioni del 1922 al Teatro Greco di Siracusa |
Uno straniero proveniente da un lontano
paese, accompagnato da un gruppo di donne, anch’esse straniere,
come lui vestite in modo sgargiante, arriva in una città; qui i
detentori dell’ordine, terrorizzati di fronte a ciò che appare
loro come ‘diverso’ e sconosciuto, decidono di incarcerarlo e
allontanarlo con l’accusa di creare sovvertimento e disordini.
Sembrerebbe una vicenda di questi giorni ma qui non si tratta di
immigrati o profughi, bensì del dio Dioniso che si presenta a Tebe
accompagnato da una schiera di strane seguaci, al cospetto del re
Penteo. Ci troviamo all’inizio delle Baccanti di Euripide: il dio,
in realtà originario di Tebe, si traveste da viaggiatore proveniente
dalla Lidia (straniero in senso forte, un barbaros per i
Greci) per ristabilire il suo culto nella propria città. Il vecchio
e saggio Cadmo e l’indovino Tiresia sono pronti ad accoglierlo e a
seguirlo nei culti bacchici, ma il giovane re Penteo si oppone e lo
fa incarcerare. La madre di Penteo, Agave, trascinata dal furor
bacchico, si reca assieme alle altre donne sul Citerone per
celebrarne il culto. La vendetta del dio verso Penteo sarà
terribile: quest'ultimo, infatti, gradualmente ‘affascinato' da
Dioniso, si traveste da donna e si reca sul monte per spiare le
baccanti dalle quali verrà successivamente sbranato e fatto a pezzi.
In un colloquio con Cadmo, alla fine, Agave riacquisterà
gradualmente la ragione e si renderà conto, in preda al dolore, che
la testa che reca in mano è quella del proprio figlio. Le
Baccanti, perciò, è una tragedia che, fra i suoi nuclei
portanti, presenta quello della polarità fra nativo e straniero: un
tema molto attuale. Niente di meglio, quindi, che poterla rileggere
in una nuova versione con testo greco a fronte, a cura di Roberta
Sevieri (La Vita Felice, 2014).
Questa edizione si distingue per
l’ampio commento, caratterizzato da notazioni di natura filologica
e antropologica, nonché per la bella e lineare traduzione, molto
fedele. Sarebbe stato auspicabile però almeno un accenno alla
fortuna delle Baccanti e di Dioniso, quella che Davide Susanetti
nella sua edizione ha chiamato, con un termine felice, «rifrazione».
Nel Novecento, ad esempio - come ha mostrato Massimo Fusillo in un
importante saggio dedicato a questo tema -, la tragedia di Euripide è
stata oggetto di numerose riprese sulla scena e sullo schermo;
Dioniso è un «dio ibrido», un «dio della polarità e
dell’alterità» che ha saputo generare sempre nuove «rifrazioni»
nella cultura e nella società contemporanea: a fianco della polarità
nativo/straniero, risultano infatti fondamentali quelle io/altro,
maschile/femminile, umano/animale, corpo/mente. Dal canto suo Eric R.
Dodds, nel fondamentale studio I Greci e l’irrazionale,
affermò che resistere a Dioniso significa reprimere gli elementi
primigeni della propria natura, andare contro se stessi.
In una società come quella attuale,
fra i cui elementi costitutivi troviamo il cosmopolitismo e la
migrazione dei popoli, chiudersi a tali fenomeni sarebbe quindi
rovinoso, significherebbe andare verso l'autodistruzione: l'ibrido
Dioniso ci ricorda ancora una volta che in ogni straniero è un
«dio».
Alias domenica – il manifesto, 27
gennaio 2015
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