9.2.17

Democrazia greca. Un saggio di Giangiulio per fare il punto (Dino Piovan)

Museo Archeologico di Napoli - Testa di Apollo  -  Copia
romana del II sec. d.C. di una scultura greca del V sec. a,C.
La democrazia ateniese di epoca classica (V-IV secolo a. C.) è da più di due decenni al centro di un vivace dibattito internazionale che ha coinvolto studiosi non solo di storia antica ma anche di teoria politica e di storia del pensiero e persino filosofi e scienziati della politica. Una delle posizioni più note è rappresentata da Mogens H. Hansen, lo studioso danese fondatore del Copenhagen Polis Centre, che da molti anni si è focalizzato sull’analisi di come effettivamente funzionavano le istituzioni ateniesi più peculiari (assemblea e tribunali popolari), nel dichiarato presupposto che le istituzioni politiche erano la dimensione più significativa di quel regime politico. Ma Hansen si è anche preoccupato di comparare democrazia antica e moderna, argomentando una sostanziale affinità riguardo alla concezione della libertà che gli è valsa, almeno da parte di alcuni critici, l’etichetta di ‘neoliberale’. Una posizione diversa e antitetica è stata quella dello statunitense Josh Ober, che anche attraverso l’uso di categorie quali egemonia, ideologia e potere, mediato dai testi di Gramsci, Althusser e Foucault, ha sostenuto che la democrazia ateniese consisteva nell’egemonia ideologica del popolo che pur non eliminando le disparità socio-economiche rendeva impossibile il loro trasferimento sul piano politico (recentemente anche Ober ha rivalutato il peso delle istituzioni ridefinendo quella ateniese come una ‘democrazia epistemica’). Ober e altri studiosi nordamericani sono persino arrivati a proporre la democrazia classica come un modello a cui l’attuale democrazia statunitense dovrebbe guardare per un’autoriforma radicale, raccogliendo un monito lanciato ancora nei primi anni settanta da Moses Finley, che in La democrazia degli antichi e dei moderni aveva attaccato l’elitismo delle scienze politiche contemporanee. Ma mentre Finley aveva suscitato a suo tempo parecchie reazioni, anche contrastanti, tra gli studiosi italiani, così non è ancora stato per Ober, di cui non casualmente quasi nulla è stato tradotto in italiano, mentre non pochi libri di Hansen sono invece tradotti; è chiaro che Hansen è autore più vicino alla tradizione erudita italiana, la quale ha nell’analisi delle fonti il suo punto di forza e nella estraneità al dialogo con altre discipline il suo punto di debolezza. È quindi una gradita sorpresa questo Democrazie greche Atene, Sicilia, Magna Grecia (Carocci, pp. 182, € 17,00) di Maurizio Giangiulio, uno dei maggiori esponenti della storia antica italiana di recente generazione, che oltre a tanti studi specialistici ha all’attivo anche la cura dei due volumi dedicati alla Grecia antica della Storia d’Europa e del Mediterraneo edita da Salerno. Il libro si rivolge senza infingimenti «al lettore colto e allo studente impegnato»; non è quindi un testo di divulgazione facile e meno che mai corriva. Evidente però e apprezzabile lo sforzo di fornire una sintesi realmente leggibile anche per i non specialisti, con un testo che non esibisce né facili sequenze di citazioni dotte né interminabili note bibliografiche. L’autore non manca comunque di prendere posizione sia sulle diverse tesi generali sia nelle discussioni su singoli particolari; e se nel testo spesso si limita ad accennare a consensi e dissensi, indicazioni puntuali non mancano nella ricca sezione finale, che è molto più di un semplice elenco bibliografico e costituisce un utile e articolato quadro degli studi in materia. Il primo capitolo, oltre a ripercorrere le principali prospettive moderne in merito, affronta il rapporto tra polis e democrazia confutando la tesi teleologica, secondo cui la seconda sarebbe l’esito inevitabile della prima, frutto invece di svolte sociali e politiche nient’affatto scontate. Al centro del secondo e terzo capitolo sta la storia politico-istituzionale dell’Atene democratica in correlazione con la sua crescente articolazione socio-economica. Per Giangiulio una storia delle istituzioni scissa dall’analisi dei cambiamenti socio-economici non ha chiaramente senso. Il ruolo svolto dalla retorica e più in generale dalla dimensione simbolica nella costruzione di un homo politicus non viene negato ma più che per l’autonomia del politico l’accento qui sembra battere sulla distribuzione delle risorse, che facilitava la partecipazione alla vita istituzionale anche dei non abbienti. È questa conciliazione tra uguaglianza politica e disuguaglianza sociale a provocare il successo dell’esperimento ateniese almeno per un secolo e mezzo, mentre le difficoltà dei regimi democratici sorti tra Sicilia e Magna Grecia, analizzati nella seconda parte del volume, sono attribuite al più precario equilibrio tra i due piani. Nel contesto attuale di crisi della democrazia rappresentativa una lezione tutt’altro che inattuale.


Alias domenica – il manifesto, 27 gennaio 2015

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