11.2.17

Georges Bataille. Il sesso sull'altare (Enrico Filippini)

ROMA - S'inaugura oggi al Centre Français un fittissimo seminario di due giorni, coordinato da Jacqueline Risset, intorno all'opera di Georges Bataille. Su Bataille (nato a Billom nel 1897 da un padre cieco e morto a Parigi nel 1962 - "Alla fine", aveva scritto, "la caduta nella morte è sozza" -), avrei voluto scrivere un "bel pezzo" globale. Non lo faccio per due ragioni: primo, un bel pezzo su Bataille rischia di ripetere, nell'entusiasmo o nell'orrore, cose che tutti sanno; secondo, da parecchio tempo non si dice nulla di interessante su di lui. È dunque difficile definire la distanza che da lui ci separa o l'affinità che a lui ci unisce; ed è possibile che questo seminario, se non sarà eccessivamente storicizzante, a tale definizione possa contribuire. L'appuntamento è dunque rimandato. Nel frattempo, ho tirato giù dal palchetto le opere più famose di Bataille, a cominciare da quei romanzi o racconti osceni che, quando ero studente, a Parigi giravano ancora quasi clandestini, e che posseggo dentro i cofanetti preziosi e leggermente jettatori che pubblicava l'editore Pauvert: Madame Edwarda, Histoire de l'oeil, Le Mort, Ma mère...
Non li rileggevo da vent'anni e mi domandavo che effetto mi avrebbero fatto. Bene, continuo a ritenerli dei capolavori: grandiose e devastanti cerimonie erotiche paragonabili soltanto a quelle di Sade, anche se, come Barthes ha sovranamente mostrato in un saggio del 1962, le due procedure letterarie sono opposte; e anche se, come sempre nel 1962 ha mostrato Foucault, le idee di sesso che esse presuppongono e propongono sono affatto diverse. Il sesso di Bataille (diciamola, una di quelle cose che tutti sanno) è radicato nella dimensione del Sacro, una volta svuotata dell'idea di Dio, che com'è noto un certo giorno "è morto". A proposito di questa morte alquanto complicata, bisogna ricordare che per Bataille ebbe un riscontro biografico: dopo il diploma di "archivista paleografo" nel 1922, lui che proveniva da una famiglia intensamente atea ebbe una crisi mistica e passò un lungo periodo presso i benedettini dell'isola di Wight, alla fine del quale tuttavia scoprì l' opera di Nietzsche, che gli diede l'impressione "di non aver altro da dire". Ecco un'oscillazione tipica di Bataille. Ed ecco il Sacro come una sorta di epilessia profonda. Ed ecco, subito, la Morte, che è la parola più frequente in tutta la sua opera.
Ma le suggestioni degli anni Venti erano tante: ecco i bordelli di Saint-Denis, dove, con Michel Leiris, Andrè Masson e Alfred Mètraux, Bataille progettava riviste letterarie; ecco il Surrealismo con cui amoreggiò fino alla rottura del 1930, quando accusò "il bue Breton di essere un falso rivoluzionario con la testa di un Cristo"; ecco la psicoanalisi, che Bataille conobbe direttamente perché nel 1929 s'impegnò in un trattamento col dottor Borel... Ed ecco la rivista “Documents”.
Ma c'era anche la politica. Bataille l' bbordò dalla parte comunista, collaborando a “La Critique Sociale”, edita dal gruppo di Boris Souvarine (il primo "dissidente"), dove pubblicò una formidabile "interpretazione psicologica" del fascismo, e poi quella Part Maudite che è poi forse il suo libro teorico più coerente e teso. È lì comunque che elaborò quel concetto di "dèpense", di economia dello spreco, e quegli altri concetti di spesa improduttiva, di consumo, di sacrificio, di dissipazione, che sono le molle della sua scandalosità.
Nel 1933, Bataille incontrò Colette Peignot, ragazza "dissoluta" e "pura" e la trasformò in Laure (gli Scritti di Laure sono stati pubblicati dalle "Edizioni delle donne" anni fa); nel 1934, attraversò una lunga malattia (era tubercolotico e aveva scritto: "mi piace essere malato"), durante la quale ebbe un'"illuminazione" che lo accostò alle esperienze dello zen e dello yoga e gli suggerì quel testo straordinario che è L'esperienza interiore; nel 1935 fondò il gruppo di Contrattacco (Unione di lotta degli intellettuali rivoluzionari). Nel frattempo frequentava il corso di Alexandre Kojève sulla filosofia di Hegel, andava nella Spagna prossima alla guerra civile e scriveva quel dilaniante romanzo che è L'azzurro del cielo. Frequentava gli etnografi che esploravano l' Africa e rifondavano il Musèe de l'homme, fondava un'ennesima rivista, “Acèphale” (che ebbe solo tre numeri) e nello stesso tempo una "società segreta" che aveva come scopo di "sregolare i meccanismi sociali" e di indurre a "sacrifici"; e, ancora nello stesso tempo, il famoso Collège de sociologie a cui approderanno anche (siamo nel 1936) personaggi di esuli tedeschi come Walter Benjamin...
La vicenda biografica, letteraria, editoriale, filosofica di Bataille non finisce qui, perché è stata smodata, dispersiva quanto concentrata su alcune ossessioni vissute e scritte fino in fondo, o meglio "oltre il fondo". Per capire bene la situazione in cui ebbe luogo, bisognerebbe citare però almeno l'aggressione che Sartre, assurgendo alla dittatura delle lettere francesi, gli preparò nel 1943, quando lo accusò di essere "un nuovo mistico" e di mistificare parole come "notte", "nulla", "non-sapere", "denudamento", nonché i concetti di "riso", di "impossibile", di "oltraggio". Sartre diceva che, in realtà, il "nuovo mistico" aveva semplicemente cucinato "una buona piccola estasi panteista". È una delle tante scemenze pensate e scritte da quell'intelligentissimo uomo che era Sartre, nel momento in cui si stava avvicinando a quel marxismo che l'occhio (l'oeil) non cieco (come quello paterno) di Bataille aveva già letto fino in fondo.
In realtà, Bataille ha scritto pagine brucianti contro il misticismo, e contro il marxismo anche quando immaginava di essere marxista, e contro l'hegelismo quando immaginava di essere hegeliano, e contro il Surrealismo quando era vicino al Surrealismo... Bataille ha sempre negato di essere un filosofo, uno scrittore, un etnologo, un poeta, e ha scritto pagine roventi anche contro l'arte e la poesia. Il suo stile, che intendo qui semplicemente come la scansione della sua prosa, ha la cadenza classica francese, ma questa scansione è come contratta da un lungo brivido, rotta da mancamenti e da continue intermittenze. Allo stesso modo, se il suo radicamento è indubbiamente nella cultura francese degli anni Venti e Trenta, esso implica una lotta, e questa lotta nell'intimità è una vicenda febbricitante e tenebrosa benché tutta a cielo aperto. Come nessun'altra l'opera di Bataille è un lunghissimo supplizio. Certo, a voler sintetizzarne la violenza, si resta lì: con vocaboli come erotismo, oscenità, sacro, sovranità, spreco, impossibile, riso, soprattutto trasgressione, parole che nel frattempo sono state ampiamente massificate. Quel che ci si può aspettare dal seminario del Centre Français è un contributo a un loro senso non alienato, cioè non neutralizzato e non giocondamente buono per tutti gli usi.


“la Repubblica”, 31 gennaio 1986  

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