9.2.17

I barbari. Una poesia di Konstantinos Kavafis tradotta da Eugenio Montale

Konstantinos Kavafis
«Sull’agorà, qui in folla chi attendiamo?»

«I Barbari, che devono arrivare»

«E perché i senatori non si muovono?
Che aspettano essi per legiferare?»

«È perché devono giungere, oggi, i Barbari.
Perché dettare leggi? Appena giunti,
i Barbari, sarà compito loro »

«Perché l’Imperatore s’è levato
di buon ora ed è fermo sull’ingresso
con la corona in testa?»

«È che i Barbari devono arrivare
e anche l’Imperatore sta ad attenderli
per riceverne il Duce; e tiene in mano
tanto di pergamena con la quale
offre titoli e onori».

«E perché mai
sono usciti i due consoli e i pretori
in toghe rosse e ricamate? e portano
anelli tempestati di smeraldi,
braccialetti e ametiste?»

«È che vengono i Barbari e che queste
cose li sbalordiscono»

«E perché
gli oratori non sono qui, come d’uso,
a parlare, ad esprimere pareri?»

«È che giungono i Barbari, e non vogliono
sentire tante chiacchiere»

«E perché
sono tutti nervosi? (I volti intorno
si fanno gravi). Perché piazze e strade
si vuotano ed ognuno torna a casa?»

«È che fa buio e i Barbari non vengono,
e chi arriva di là dalla frontiera
dice che non ce n’è neppure l’ombra»

«E ora che faremo senza Barbari?
(Era una soluzione come un’altra,
dopo tutto… )».


traduzione italiana in E. Montale, Quaderno di traduzioni, Mondadori, Milano 1975

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