4.2.17

Julio Cortázar. Il fantastico emana verdissimi cronopi (Adan Zzywwurath)

Il nostro debito, la nostra gratitudine nei confronti di Cortázar sono tali, che gli dobbiamo almeno questo: legare il suo nome indissolubilmente alla letteratura fantastica. Perciò avanzo una modesta proposta: che in omaggio a lui e alla sua verde creaturina immaginaria, il cronopio venga adottato universalmente come unità di misura del fantastico. Si dovrebbe insomma calcolare in cronopi la caratura di qualsiasi opera letteraria, plastica, pittorica o anche e perché no musicale, che attinga all'ambito fantastico.
Faccio degli esempi: quanti cronopi in Poe? Quanto è cronopio Hoffmann? Quanti nano-cronopi in Stephen King? E Borges? Dovrebbe essere obbligatorio, sulla fascetta dei libri fantastici, indicarne il valore fantastico in cronopi. «Leggete Kafka: ben 12.000 gigacronopi disponibili!!!»

Plusvalore fantastico
Non ho dubbi che tale valore esista e che possa esprimersi «oggettivamente». Come il cesio, tristemente radioattivo, l’elemento fantastico, in letteratura, emana cronopi. Felicemente. Altrimenti detta, la cronopiezza si potrebbe definire la forza ’propulsiva' del fantastico. Qualcosa che sprigiona un’energia commensurabile, come i cavalli fiscali. E che straripa dalla riga alla vita. «E’ meraviglioso, - ha detto Julio Cortazar parlando del fantastico - è meraviglioso vedere le estrapolazioni inconsce o subconsce che si operano nello spirito del lettore. Il che vuol dire fino a che punto questo genere di letteratura è fecondo, contrariamente a quanto pensano i materialisti che ti dicono che bisogna scrivere sulla realtà di tutti i giorni e sul destino dei popoli. Questa letteratura è molto più feconda perché fa nascere in ciascun individuo una serie di risonanze. In una parola, e lo dico senza alcuna vanità, arricchisce il suo lettore.»
Le applicazioni di questo plusvalore fantastico possono essere infinite. Douglas Adams in un romanzo di fantascienza assai cronopio (e non è detto assolutamente che la fantascienza sia cronopia, cioè fantastica, per definizione), titolato Ristorante al termine dell’universo, ha immaginato che le astronavi del futuro si muovano tramite Equazioni di Improbabilità: cioè che l’energia motrice di quegli enormi bus intergalattici scaturisca non dagli atomi della materia soggiogata, ma dalla fantasia dei navigatori. Anche un altro grandissimo cronopio, Karl Marx, ha congetturato qualcosa di simile, nella sua teoria della forza lavoro e in quella del «feticcio della merce». C’è anzi un punto cronopissimo del Capitale in cui si dice che un tavolo, considerato come merce, «di fronte a tutte le altre merci si mette a testa in giù e sgomitola grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare». Pochi ricordavano questo passo, anche prima del muro. Il fantastico rivela l’altro lato delle cose. E Cortázar ha sempre testimoniato e combattuto per questa definizione del fantastico: una potenza critico-dialettica, un’energia propulsiva tutta proiettata sul futuro, vero riscatto dal tragico destino delle cose: che è il loro esser così e non altrimenti. Parole nuove e fantasia al servizio della rivoluzione totale, per sovvertire linguaggio e realtà della civiltà occidentale. Com’è nata questa utopia cronopia? Cortázar non si è vergognato di raccontare, in più di una circostanza, come ebbe la prima intuizione dell’esistenza dei cronopi.

Genesi di una idea
Riassumo la versione che ne ha dato a Omar Prego in un libro (Julio Cortázar, Entretiens avec O.P., Gallimard, 1986) illuminante in più di una direzione. Lo scrittore, da poco esule a Parigi, va una sera al Teatro degli Champs Elisées. «Durante l’intervallo tutti sono usciti per fumare, e (...) mi sono ritrovato all’improvviso in un teatro vuoto. Io ero seduto e improvvisamente ho veduto - come la visione che puoi avere quando chiudi gli occhi o quando evochi qualcosa e la vedi nel tuo ricordo - ho visto allora fluttuare nella sala degli oggetti di color verde, una specie di palloncini verdi che facevano evoluzioni intorno a me. Nello stesso momento m’è venuta l’idea che erano dei cronopi. La parola e la visione mi sono venuti simultaneamente».
Più tardi, nello stesso teatro, Louis Armstrong si esibì in un concerto jazzistico. Cortázar lo salutò con trasporto come il più grande dei cronopi. Superata una fase iniziale, mitologica e contraddittoria, il cronopio ha preso forma definitiva nella saga delle Storie di Cronopios e di fama: è un esserino verde che quando si accorge che il suo orologio va indietro, non lo ricarica, ma s’intristisce al limite dell’inedia e del suicidio. Mentre i fama, squalli-doni, camminano per il Corso alle undici e venti, lui li segue, disgraziato, umido e annichilito, alle undici e un quarto.

Sulla punta di un dito
Il cronopio, in ogni situazione del reale, è totalmente inadeguato: «Bagna il cronopietto il suo biscotto con le sue lacrime naturali». Questa inadeguatezza ci avvicina a un altro segreto del fantastico. Cortázar l’ha detto in qualche modo, parlando di sé: fantastici si diventa nell’infanzia, quando si sperimenta l’inaudita riccchezza delle parole rispetto alla tediosa ripetitività del reale. «Io non ero nato per accettare le cose come sono», ha raccontato. Questo senso di ribellione è costitutivo dei grandi rivoluzionari come dei grandi letterati. Perciò, la sua carriera di scrittore Cortázar l’ha cominciata da bambino, e nel modo più fantastico possibile: tracciando nel vuoto parole, frasi, e piccoli racconti - scrivendo con la punta del dito sul foglio invisibile impermeabile e inscalfibile, della realtà. Borges forse direbbe: per un dio, o per gli innumerevoli dei, quelle parole sono ancora lì, leggibili.
Forse gli dei tollerano che il mondo persista e l’universo sopravviva solo per quello che i bambini hanno scritto nel vuoto, e che hanno dimenticato da adulti. Mentre loro, gli dei, possono leggerlo ancora. Forse il mondo è magicamente protetto da quei pochi ghirigori... Ma il Gran Cronopio Borges non è Cortázar, Cronopio dei Cronopi... L’idea che tutto sia concatenato, che tutto sia leggibile solo alPinterno di una costellazione in cui realtà, sogno e fantasia si mescolano, in Borges è pura letteratura e - infine - una burla. Per Cortázar, invece, questa idea è ben più dolorosa, più stupefatta, più carica di risonanze misteriose. Perciò lo sentiamo più’ vicino. Perciò lo sentiamo ancora più fantastico e cronopio. Ci manchi, Julio e: Buena Salenas, cronopio cronopio.


“il manifesto”, 25 febbraio 1995

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