Ritrovo questo servizio
su alcune indagini dell'antimafia in Calabria. La storia è
suggestiva, intrigante, ben scritta. La riprendo pertanto, dopo
quattro anni, senza verificare come sia andata a finire. Se anche,
nel frattempo, il prete, i maresciallo, i presunti 'ndranghetisti
fossero stati scagionati e fossero risultati puri siccome un angelo
l'articolo si legge bene come una storia di fantasia. Fantasia degli
inquirenti, naturalmente, non del cronista. (S.L.L.)
VIBO VALENTIA
Questa è una storia di
preti e marescialli, di boschi, famiglie e confessioni pericolose.
Una "Calabria confidential" ambientata nelle campagne di
Vibo. Terra di ‘ndrangheta, turismo e tanto misticismo. C'era
Fortunata Evolo detta Natuzza, la mistica di Paravati di cui si è
asserito di episodi paranormali: apparizioni e colloqui con Gesù
Cristo, la Madonna, angeli, santi e defunti, comparsa di stimmate ed
effusioni ematiche. E poi c'è l'Affruntata, la processione di
Sant'Onofrio che raccoglie ogni anno, la mattina di Pasqua, decine di
migliaia di persone. La statua di san Giovanni fa la spola tra le
altre due per 3 o 5 volte, avanti e indietro, con passo sempre più
spedito, come messaggero della resurrezione di Cristo. All'ultimo
passaggio le statue si affrontano correndo davanti a Gesù e san
Giovanni da una parte, e l'Addolorata dall'altra. All'incontro il
velo nero del lutto viene tolto dalla statua di Maria, la cosiddetta
"sbilazioni" o "sbilata", lasciando visibile un
vestito a festa. Una cattiva riuscita della funzione è, secondo la
tradizione, presagio di sventura per la comunità.
Le regole del
parroco
Era l'aprile del 2003
quando a Stefanaconi don Salvatore Santaguida decise di cambiare le
regole della processione. Con l'intenzione, andava dicendo, di
toglier spazio alle ‘ndrine. Fino al 2002 la parrocchia procedeva
ad una specie di asta per stabilire chi dovesse portare sulle spalle
le statue. Un incarico divenuto col tempo simbolo di potere sociale,
manifestazione di dominio sulla comunità. Un collaboratore di
giustizia, Rosario Michenzi, aveva svelato che la 'ndrangheta faceva
in modo che i portantini fossero picciotti delle cosche vincenti. Fu
allora che don Salvatore Santaguida decise di avviare l'operazione
trasparenza. Con una lunga lettera ai fedeli, riuniti per la funzione
del
sabato santo, spiegò che
l'opportunità di portare le statue doveva esser data a tutti, anche
a chi non aveva denaro da offrire. Fu così che si decise di
sorteggiare coloro che dovevano portare le statue. Nove anni dopo don
Salvatore Santaguida si ritrova a dover far nuovamente i conti con i
collaboratori di giustizia. Questa volta, però, con l'accusa
infamante di aver aiutato la cosca dei Patania nella cosiddetta
“faida dei boschi” contro la "Società di Piscopio" di
Vibo, considerata emergente, e contro la cosca Petrolo-Bartolotta di
Stefanaconi. Durante un interrogatorio con i magistrati della Dda di
Catanzaro, il pentito, Daniele Bono, ha dichiarato che «don
Salvatore aveva degli interessi, i Bonavota non li può vedere
proprio. E i Piscopisani nemmeno». Il parroco è indagato per
associazione mafiosa e le accuse nei suoi confronti sono più d'una.
Secondo gli inquirenti aveva la disponibilità di alcuni atti
processuali riguardanti sempre la cosca Patania. In alcune
intercettazioni ambientali in carcere, detenuti affiliati alla cosca
parlano di don Salvatore come del «prete che ci aiuta». Don
Salvatore, inoltre, sarebbe stato interessato sempre a detta del
pentito, alla pianificazione di un agguato: la vittima era Francesco
Calafati. Lo stesso Bono avrebbe chiesto al prete di spostare una
telecamera comunale per consentire che la scena venisse ripresa. Il
sacerdote si rifiutò. Ma non denunciò il fatto.
Il maresciallo si
confessa
Ma in quest'affresco di
Calabria ci sono altri protagonisti. Il maresciallo Sebastiano
Cannizzaro, comandante della stazione dei Carabinieri di
Sant'Onofrio, era una persona rispettata in paese. «Un uomo tutto
d'un pezzo, gentile ed affabile con tutti». Ma evidentemente proprio
con tutti. Anche con
gli ‘ndranghetisti.
«Faceva parte della cosca Patania, promossa, diretta e organizzata
da Giuseppina Iacopetta, Giuseppe, Salvatore e Saverio Patania»
sostengono i giudici dell'antimafia di Catanzaro. In che modo? Qual
era il suo ruolo? Il quadro che emerge è inquietante. Il maresciallo
avrebbe riferito a don Salvatore Santaguida notizie oggetto di
indagine, come i luoghi di intercettazione ambientale, le date di
perquisizioni ed anche gli intestatari di alcune targhe di
automobili. E il parroco, a sua volta, le avrebbe "girate"
ai Patania, i quali, in questo modo, sarebbero stati in grado di
attuare tutte le contromosse necessarie. Al maresciallo Cannizzaro la
Dda di Catanzaro contesta anche di aver omesso di trascrivere
numerose intercettazioni ambientali e telefoniche utili alle indagini
sulla faida. Il sottufficiale dei carabinieri inoltre, sempre secondo
quanto è riportato nel decreto di perquisizione, non ha trasmesso
alla Dda alcuni tracciati Gps attraverso i quali emergerebbe il
coinvolgimento della cosca Mancuso di Limbadi. La Dda di Catanzaro ha
notificato alla stazione dei carabinieri di Sant'Onofrio un decreto
con il quale viene chiesta la consegna di tutti il materiale
d'indagine compiuto nel corso degli anni contro le cosche della
'ndrangheta: tutti i supporti informatici, le trascrizioni di
intercettazioni ambientali e telefoniche, eventuali nastri sui quali
sono state incisi i contenuti delle conversazioni ed ogni altro atto
utile alle indagini. Il legame tra il prete e il maresciallo era
talmente stretto che atti giudiziari contro esponenti delle ‘ndrine
erano sul comodino della camera da letto del prelato di Stefanaconi.
Nella stazione dei carabinieri di Sant'Onofrio, intanto, si sta
inventariando un'ingente quantità di atti, documenti e riscontri
investigativi che il maresciallo Cannizzaro avrebbe acquisito e mai
trasmesso alla Dda di Catanzaro. La mole del materiale è così
consistente che saranno sforate le 48 ore imposte dai magistrati per
la trasmissione di tutto il materiale. Il curioso sodalizio tra il
maresciallo e il sacerdote emergerebbe dai verbali di ben tre
pentiti, «dai quali si desume la stabile attività informativa sulle
attività investigative in corso di svolgimento da parte di questo
ufficio svolta dal Santaguida nei confronti di Patania, in odio alla
cosca avversa dei Bonavota». Le notizie arrivavano al religioso che
era in possesso «di atti processuali, dal maresciallo Cannizzaro».
E il sacerdote financo sapeva di omicidi «in corso di
programmazione». Un altro filone dell'inchiesta riguarda l'omissione
di atti d'indagine da parte del maresciallo presunto appartenente al
clan. Il decreto di perquisizione fa riferimento a «intercettazioni
ambientali e telefoniche mai ascoltate e all'omessa trascrizione di
intercettazioni ascoltate ed espressamente ritenute e contrassegnate
come importanti». Un modus operandi piuttosto frequente, come
avrebbero confermato due militari in servizio nella stazione dei
carabinieri di Sant'Onofrio. Il sistema era ben oliato. Gli indagati
provvedevano «ad avvisare i sodali delle intercettazioni a loro
carico, nonché delle attività di perquisizione che sarebbero state
eseguite nei loro confronti, nonché afornire loro notizie coperte da
segreto istruttorio». Il maresciallo Cannizzaro le apprendeva e le
riferiva al parroco, il quale, a sua volta, le recapitava ai Patania.
Il prete, dopo un
incontro con il vescovo di Mileto, ha lasciato Stefanaconi per un
periodo di riposo lontano dalla sua parrocchia. Il carabiniere è
stato sospeso dall'incarico già dal maggio scorso. Sembra un B-movie
all'italiana. È l'amara realtà della Calabria.
“il manifesto”, 2
gennaio 3013
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