27.3.17

Carlo Betocchi. Ritratto di un poeta da vecchio (Laura Lilli)

FIRENZE - Cadono, rade, le prime gocce di pioggia quando, dopo una strada tutta tornanti, arrivo a una pompa di benzina a poche centinaia di metri dal microscopico paese di Consuma, fra gli abeti. Carlo Betocchi sta parlando col benzinaio. Ha 85 anni. Oltre che un poeta che in questi giorni fa parlare di sè, è uno dei "ragazzi del ' 99": "volontario per salvare la Patria, certo, volontarissimo, come Bargellini, come tutti noi. Caporetto me la ricordo perfettamente, il cavallo che moriva sgroppando in aria, il generale che fucilava tutti... l' ho scritto, del resto, in un libro che ho intitolato proprio Caporetto". Mi presenta l' uomo del distributore come "il mio unico amico". Ride. E mentre ci allontaniamo in fretta (la pioggia incalza) verso la pensioncina in cui trascorre questo agosto così lungo e vuoto che perfino un cambiamento di tempo è un avvenimento, aggiunge, non si sa se per me o per se stesso: "eh, la vecchiaia... la solitudine... la mancanza di interlocutori...".
Vecchiaia e solitudine: come in Saba, come in Rebora, sono fra i temi portanti della sua poesia. E lo si vede bene dal grosso volume che Mondadori ha messo fuori in questi giorni nella collezione de I poeti dello Specchio, che raccoglie, come dice lo stesso titolo, Tutte le poesie (introduzione di Luigi Baldacci, note di Luigina Stefani, pagg. 668, lire 30.000). Vi sono riunite tutte le sue precedenti raccolte più un cospicuo numero di Poesie disperse e inedite che dà al volume un carattere di assoluta novità e che, come già le tarde, Poesie del sabato, insistono su quella che potremmo chiamare la condizione senile.
Una, la cita Baldacci nell' introduzione: "Ma è pur vero che ai vecchi,/ privati della bellezza,/ resta quel segno, nell'anima/ del suo veloce apparire/ e sparire, quel solco di cosa/ esistita, che sanguina ancora,/ grave, nella coscienza;/ ma che, goccia a goccia, va poi/ lentamente affondando in un quasi/ in un quasi livore/di bianca innocenza..." Lo si direbbe un autoritratto. Scintille d'allegria infantile e momenti di opacità e lontananza si alternano nel mio interlocutore, che appare anche, in qualche modo, incurante. "E' contento del nuovo libro?" gli chiedo. "Contento, sì, contentissimo. Certo non sono stato lì a rileggermi". E poi, dopo una pausa: "Gli inediti però li ho riletti, e mi sono piaciuti. Sì, mi piaccio ancora. Gli inediti. Li ho trovati eccellenti. Se non fosse per quella mai abbastanza lodata Luigina Stefani... ha avuto una pazienza... è andata a frugare in tutti i miei taccuini di geometra: io sono geometra, sa? I miei compagni di vita non sono mai stati i poeti, i letterati, sono stati gli uomini dell'Anas, delle imprese di costruzioni. Potevo diventare geometra capo di tutta la Cirenaica, ma la mia mamma era vedova, c'era bisogno di me, che tornassi nel Mugello...". "E allora gli appunti li prendeva sul lavoro, se li metteva in tasca fra mappe e misurazioni?...". "Eh, sì, è così. E' la realtà che mi ha sempre ispirato, una realtà sopra la realtà, come un' accettazione, una consonanza... Però, vede, la realtà non sono solo le cose che si toccano. Sono anche quelle che si toccano con la mente. Ricorda, in Manzoni, quando c' è la donna con la bambina in braccio, che la porta ai monatti? Ecco: quella è una cosa dentro di lui che è totalmente umana, anche se il fatto è lontano. I temi si sviluppano con una possibilità di accordo, di accettazione delle cose, come dicevo. In questo modo scrive anche Pasternak: dice, e, sotto, esprime un giudizio che rientra nell' orbita dell' universalità degli avvenimenti. Tutto è universale. I motivi per cui ho sofferto, la realtà, ho tentato di renderli palesi con la mia scrittura".
Laura Lilli
"Lei è considerato un poeta cattolico, anche se, dopo un inizio di cattolicesimo, più osservante, ci sono state delle burrasche. È ancora oggi un uomo religioso?". "Religioso, sì, religiosissimo. Ma di una religiosità cosmica". "In testa a una sua poesia lei cita una frase di Einstein: "Mi sento così solidale con ogni corpo vivente che non m'importa dove comincia e dove finisce l' individuo". E' questo il suo pensiero, oggi?" "Oh, sì. Einstein definisce molto bene quello che io sento. La religiosità formale mi urta: quella teatralità, processioni, cantici, non mi tornano. Intendiamoci però: il Cristo rimane per me fondamentale: venerabile e venerato. Non il Cristo di Papini. Anzi quel libro sul Cristo non mi piace. Papini con me e la mia poesia non c'entra: l'hanno scritto ma non è vero. "Sì, sono stato a visitarlo quand' era in una casa di cura. Ma con me aveva a che fare solo come un'umanità che mi è prossima, non letterariamente. Vede, io a volte dico, muto, dentro di me: Gesù, Giuseppe, Maria, salvate l' anima mia. Ma lo dico come farei un esorcismo, quando so che sto per tuffarmi nell'angoscia: e quei tre li vedo tapini come gli altri, spersi in questa esistenza. La morte non mi fa paura, no. Magari arrivasse! Non avrei paura nemmeno del suicidio: ma non posso farlo, perché lascerei un senso di colpa ingiusto sui miei figlioli, specie su mia figlia: loro non hanno fatto nulla di male, e io non potrei lasciargli questo peso. Certo che sono religioso: ma in un modo ampio, che crede nella carità e nell'universo".
"Ricorda i tempi di Bargellini e del Frontespizio, quando lei cominciò?..." "Glielo ho detto che non ho cominciato col Frontespizio, che c' è un precedente con Caporetto... lo sa che Montale, a Parma, fece il corso allievi ufficiali dopo il mio?". "Va bene, ma comunque lei era vicino a Bargellini...". "Ah, questo sì. E nell' animo di Bargellini e Betocchi fanciulli c' è La Voce di Prezzolini (quella che dura fino al ' 14. Poi c' è quella di De Robertis, fino al ' 16, ma è un' altra cosa). Sono nato lì, con Prezzolini, anche se mutamente, dentro di me. Ricordo un articolo di Serra, uno di Rebora per me essenziali: essenziali per la condizione umana, per l'innamoramento totalmente carnale e religioso. Al letto di Rebora ci andai, poco prima che morisse. C'era Scheiwiller, si fece una piccola società di mutuo soccorso...". "Prezzolini l' ha rivisto più tardi, nella vita?" "L' ho rivisto quando ci chiamò Pertini. Pertini gli disse: 'Senta, non voglio sapere cosa faceva in America', lo trattò cortesemente".
"E a lei che disse?" "Niente. Mi diede un foglio bianco, che sopra c'era scritto: cinque milioni. Mi interessava solo che il carabiniere che stava lì presente durante tutta la cerimonia non mosse mai i pollici. Deve essere proprio una disciplina faticosissima quella dei carabinieri".
"Torniamo al Frontespizio, vuole?" "Sì. Però bisogna dire che Il Frontespizio ebbe un precedente nel ' 23, col Calendario dei pensieri e delle pratiche solari, del sottoscritto, di Bargellini e del pittore Pietro Parigi. Poi, non mi ricordo l' anno, mi pare verso il ' 29, nacque l'idea di fare Il Frontespizio come rivista. L'ha raccontato tutto Carlo Bo, in Letteratura come vita. Ad ogni modo: Mussolini diede il permesso di fare una specie di "fiera del libro", per una giornata. La Libreria cattolica aveva un tavolino, e invitava gli scrittori a dare un contributo. Bargellini non stava più in una casetta come un poverino. Insegnava in molte scuole campestri, non solo a leggere e scrivere, ma anche cosa dovevano fare questi contadini...".
"E più tardi ebbe rapporti con gli ermetici? Luzi, Carlo Bo, la rivista Campo di Marte?" "Luzi, il suo ultimo libro è bellissimo. Mi piace di più quando racconta che era nato povero, vicino a Castello. Nei saggi critici del Discorso naturale che gli ha pubblicato Garzanti parla bene di me, mi dedica un saggio. Ma no, non ci siamo mai frequentati. I miei compagni di lavoro erano nelle imprese stradali, gliel'ho detto. Io poi nel '38, all' epoca di Campo di Marte, stavo a Venezia, dove mi aveva chiamato il direttore del Conservatorio. In tempi più recenti vedevo Gatto, quando veniva a Firenze: in particolare con Alfredo Righi, erano compagnoni. Un altro poeta che ho conosciuto era Saba. Andai apposta a trovarlo a Gorizia. Stampai una poesia a Bologna e lui mi amava. Anche lui era una poeta della vecchiaia. A proposito: voglio dirle una cosa sulle mie Poesie del Sabato".
"Vale a dire?" "Avevo i testi belli e pronti, ma non si riusciva a batterli a macchina. Lo fece Altisani, che scrisse anche la prefazione. Una bella prefazione. Non era conosciuto e Marco Forti, che curava Lo specchio, non lo voleva. Io dissi: 'o tieni la prefazione o le dò a un altro'. La tenne. Non sarebbe mica stato giusto, solo perché non era conosciuto... e tutta quella fatica a battere a macchina... lo si faceva in cucina... io in casa ero rimasto solo. Quando veniva la donna con la spesa le si diceva 'sta zitta' e noi s'andava avanti mentre lei magari puliva la verdura. Altisani aveva una macchina bellissima che faceva anche le correzioni. Eh, ce n' è de' bei poeti. Caproni, per esempio".
Una pausa. Carlo Betocchi è stanco. La nostra intervista si è trascinata per l'interno della pensione: prima nella sala comune da dove però ci ha scacciato un pensionante che voleva vedere le Olimpiadi alla Tv, poi nella sua stanza piccola, monacale. "Non parliamo più", dico, "vuole?" "Sì; ma resti ancora un po', chè tutti questi ricordi mi si spengano nella testa". Scendiamo a prendere una spremuta d' arancio. Mentre Betocchi beve, in silenzio, io ripenso a un' altra sua poesia "inedita e sparsa": "A quest'età la vita che rallenta/si riveste d' una grossa corteccia/entro la quale l' anima non è meno/tenera, ma soltanto più solitaria..."


“la Repubblica”,18 agosto 1984

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