27.3.17

Clientele esterne. E gli ebrei in Egitto salvarono Cesare (Luciano Canfora)

Il ruolo decisivo (e nascosto) delle truppe di Antipatro nella battaglia del Delta

Che la campagna di Cesare ad Alessandria abbia rivestito un ruolo cruciale in tutto l'andamento della guerra civile dopo Farsalo mi è accaduto di affermarlo in più occasioni. Napoleone, nel Précis des guerres de Jules César, scritto o meglio dettato a Sant'Elena, rimproverava a Cesare di essersi lasciato intrappolare in quella campagna. In questo caso l'imperatore sbagliava. L'Egitto era cruciale per Cesare non solo per il controllo del Mediterraneo orientale, ma per la stessa prosecuzione della guerra civile.
Della campagna alessandrina il momento cruciale è stata la battaglia del Delta. Non ne era scontato l'esito. Cesare ha compiuto l'abile mossa di liberare il giovane sovrano Tolomeo, che aveva presso di sé come ostaggio nel palazzo reale, e di restituirlo al campo nemico: il che ha intralciato la strategia dell'abilissimo generale egiziano Ganimede, cui Tolomeo si contrappose immediatamente come rivale nel comando delle operazioni. Jérôme Carcopino, nel suo Cesare, mette molto bene in luce il senso di questa mossa di Cesare. Ma è soprattutto sul sopraggiungere di Mitridate Pergameno e delle sue composite truppe ausiliarie che Cesare doveva poter contare per guadagnare la battaglia. Ed è sul ruolo del contingente ebraico unitosi all'esercito di Mitridate che conviene focalizzare l'attenzione.
Il resoconto di questa battaglia, la battaglia del Delta, compreso nel Bellum Alexandrinum tace completamente del ruolo che le truppe ebraiche al comando di Antipatro hanno svolto. Anzi, in un particolare molto importante l'anonimo autore attribuisce a merito di Mitridate Pergameno quanto da Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche) apprendiamo essere stato merito di Antipatro. Fu infatti Antipatro che indusse una serie di tribù e popolazioni dell'area, ivi compresi gli Ebrei che risiedevano nella zona del Delta, ad unirsi all'esercito ausiliario che puntava a ricongiungersi con le truppe cesariane, spezzando l'assedio che bloccava Cesare nel palazzo reale di Alessandria. E nella battaglia, che si svolse in località «Campo degli Ebrei», fu Antipatro a determinare la vittoria sulle truppe egiziane che stavano per aver ragione di Mitridate.
Il resoconto di Giuseppe pone nel massimo rilievo il contributo del contingente ebraico. Su di un punto, che gli sta molto a cuore, egli fa ricorso alla Storia di Strabone, di cui ci dà, per suffragare le proprie affermazioni, un cospicuo frammento (Antichità, XIV, 137-139). Si tratta della effettiva presenza del sommo sacerdote Ircano, accanto ad Antipatro, nel contingente ausiliario capeggiato da Mitridate. Conviene riferire per intero il brano: «Conclusa vittoriosamente la guerra, Cesare sbarcò in Siria e lì rese grandi onori sia ad Ircano, cui confermò il sommo sacerdozio, che ad Antipatro, cui concesse la cittadinanza romana e l'esenzione dalle tasse. Molti sono gli autori che hanno parlato dell'aiuto dato da Ircano a questa campagna e della sua presenza in Egitto. Dà conferma di questa mia asserzione Strabone il Cappadoce. Egli richiamandosi ad Asinio come sua fonte dice esattamente così: “Dopo Mitridate (nel senso di al seguito di) entrò in Egitto anche Ircano, il sommo sacerdote degli Ebrei”. E lo stesso Strabone in un altro passo dice, richiamandosi questa volta ad Ipsicrate: che Mitridate si mosse da solo, che da lui fu convocato ad Ascalona Antipatro, amministratore della Giudea, che Antipatro gli procurò tremila uomini, che riuscì a mobilitare anche gli altri dinasti, e che alla campagna prese parte anche Ircano, sommo sacerdote. Questo esattamente dice Strabone».
E sui meriti precipui di Antipatro a Pelusio e nella battaglia di «Campo degli Ebrei» Giuseppe menziona, ma purtroppo non cita, una lettera di Mitridate a Cesare.
Quando racconta questi stessi avvenimenti nella Guerra giudaica, Giuseppe non dà dettagli così minuziosi. Racconta la battaglia (Guerra giudaica, I, 190-192) ed in particolare il ruolo determinante di Antipatro e dei tremila del contingente ebraico i quali sgominano gli Egiziani che stavano per avere il sopravvento su Mitridate Pergameno e sulle sue truppe. Ma non adduce la testimonianza - per lui preziosa - di Strabone: necessaria, nella sua strategia espositiva, per fugare il sospetto di avere ecceduto nel valorizzare il ruolo del contingente ebraico. Né sono presenti nella Guerra giudaica i numerosi documenti messi a frutto nelle Antichità giudaiche, a cominciare dalla importante lettera di Mitridate Pergameno a Cesare, che attestava e documentava i meriti di Antipatro nella battaglia del Delta. Dunque Giuseppe ha proseguito le ricerche - il racconto presente nelle Antichità è stato elaborato dopo - ed ha seguito, da storico provetto, due piste: cercare le tracce della vicenda in storici non ebrei (Strabone «il Cappadoce», come lo chiama) e attingere alla documentazione epigrafica esposta a Roma, in Campidoglio, ma anche nelle città di Tiro, Sidone, Ascalona, che per una ragione o per l'altra avevano rapporto con la vicenda.
L'utilizzo dell'opera storica di Strabone gli ha consentito di attingere indirettamente a quanto in proposito aveva scritto Asinio Pollione, la cui opera sulle guerre civili, che tanto allarmava Orazio, era stata largamente messa a frutto da Strabone. Grazie a questo fortunato intreccio di fonti (Giuseppe che adopera Strabone, che a sua volta adopera Asinio e lo cita) veniamo a scoprire che anche su questo punto specifico del ruolo degli Ebrei nella battaglia del Delta, Asinio Pollione si discostava dalla tradizione consolidatasi nel Corpus dei «continuatori» dei Commentarii cesariani. Conosciamo bene, grazie a Svetonio, il severo giudizio di Asinio sui Commentarii e sulla loro scarsa veridicità. Tale diffidenza si estendeva a maggior ragione al resto del Corpus , allestito, da uno staff rimasto anonimo, in accordo con l'erede di Cesare e gestore oculato della sua memoria. Tanto più appare rilevante che Asinio abbia voluto esprimersi su questo punto («con Mitridate c'era anche Ircano») se si considera che Asinio dopo Farsalo non ha seguito Cesare ad Alessandria, ma è tornato, con Antonio, in Italia.
Un'ultima considerazione si impone. La politica cesariana di apertura verso gli Ebrei, e verso Ircano e Antipatro in particolare, va compresa nei suoi termini politici. Lo schieramento, al momento della guerra civile, di molti Ebrei dalla parte di Cesare è ben comprensibile: il nemico di Cesare, Pompeo, era stato, al momento della conquista della Siria (65 a.C.) e della Palestina, il profanatore del Tempio (63 a.C.), come racconta con dovizia di dettagli Dione Cassio (XXXVII, 15-16). Dal punto di vista di Cesare, d'altra parte, si trattava di subentrare quanto possibile a Pompeo nella gestione della vasta rete delle sue clientele orientali. Che è la ragione per cui, vinto Tolomeo, Cesare ha preferito sistemare lo scacchiere orientale prima di occuparsi della «insorgenza» catoniana a Occidente.
Orbene Ircano era stato, a suo tempo, gratificato da Pompeo. Proprio la fazione di Ircano, nel 63 a.C., aveva aiutato Pompeo e Pompeo aveva adeguatamente ricambiato Ircano: il Tempio - racconta Dione - fu saccheggiato, dopo che i Romani lo avevano conquistato di sabato senza colpo ferire, ma Pompeo s'era affrettato a ricompensare Ircano «affidandogli il regno».
Ecco perché, nel 47, Ircano, morto ormai Pompeo, aveva voluto essere assolutamente accanto ad Antipatro nel corpo di spedizione che Mitridate Pergameno conduceva in Egitto, a tappe forzate, in soccorso di Cesare per liberarlo dall'assedio alessandrino. E Giuseppe si affanna a portar documenti attestanti che Ircano era davvero lì, in quella vicenda salvifica per Cesare. E Cesare, a guerra ormai conclusa, aveva pensato bene che gli conveniva confermare Ircano nei suoi poteri. Per controllare una regione, è fondamentale un saldo rapporto con le élite locali dominanti: quelle che Ernst Badian ha chiamato nel suo celebre libro, «le clientele esterne». Era l'abc della «sapienza imperiale» romana.


Corriere della sera, 21 settembre 2011

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