Il ruolo decisivo
(e nascosto) delle truppe di Antipatro nella battaglia del Delta
Che la campagna di Cesare
ad Alessandria abbia rivestito un ruolo cruciale in tutto l'andamento
della guerra civile dopo Farsalo mi è accaduto di affermarlo in più
occasioni. Napoleone, nel Précis des guerres de Jules César,
scritto o meglio dettato a Sant'Elena, rimproverava a Cesare di
essersi lasciato intrappolare in quella campagna. In questo caso
l'imperatore sbagliava. L'Egitto era cruciale per Cesare non solo per
il controllo del Mediterraneo orientale, ma per la stessa
prosecuzione della guerra civile.
Della campagna
alessandrina il momento cruciale è stata la battaglia del Delta. Non
ne era scontato l'esito. Cesare ha compiuto l'abile mossa di liberare
il giovane sovrano Tolomeo, che aveva presso di sé come ostaggio nel
palazzo reale, e di restituirlo al campo nemico: il che ha
intralciato la strategia dell'abilissimo generale egiziano Ganimede,
cui Tolomeo si contrappose immediatamente come rivale nel comando
delle operazioni. Jérôme Carcopino, nel suo Cesare, mette
molto bene in luce il senso di questa mossa di Cesare. Ma è
soprattutto sul sopraggiungere di Mitridate Pergameno e delle sue
composite truppe ausiliarie che Cesare doveva poter contare per
guadagnare la battaglia. Ed è sul ruolo del contingente ebraico
unitosi all'esercito di Mitridate che conviene focalizzare
l'attenzione.
Il resoconto di questa
battaglia, la battaglia del Delta, compreso nel Bellum
Alexandrinum tace completamente del ruolo che le truppe ebraiche
al comando di Antipatro hanno svolto. Anzi, in un particolare molto
importante l'anonimo autore attribuisce a merito di Mitridate
Pergameno quanto da Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche)
apprendiamo essere stato merito di Antipatro. Fu infatti Antipatro
che indusse una serie di tribù e popolazioni dell'area, ivi compresi
gli Ebrei che risiedevano nella zona del Delta, ad unirsi
all'esercito ausiliario che puntava a ricongiungersi con le truppe
cesariane, spezzando l'assedio che bloccava Cesare nel palazzo reale
di Alessandria. E nella battaglia, che si svolse in località «Campo
degli Ebrei», fu Antipatro a determinare la vittoria sulle truppe
egiziane che stavano per aver ragione di Mitridate.
Il resoconto di Giuseppe
pone nel massimo rilievo il contributo del contingente ebraico. Su di
un punto, che gli sta molto a cuore, egli fa ricorso alla Storia di
Strabone, di cui ci dà, per suffragare le proprie affermazioni, un
cospicuo frammento (Antichità, XIV, 137-139). Si tratta della
effettiva presenza del sommo sacerdote Ircano, accanto ad Antipatro,
nel contingente ausiliario capeggiato da Mitridate. Conviene riferire
per intero il brano: «Conclusa vittoriosamente la guerra, Cesare
sbarcò in Siria e lì rese grandi onori sia ad Ircano, cui confermò
il sommo sacerdozio, che ad Antipatro, cui concesse la cittadinanza
romana e l'esenzione dalle tasse. Molti sono gli autori che hanno
parlato dell'aiuto dato da Ircano a questa campagna e della sua
presenza in Egitto. Dà conferma di questa mia asserzione Strabone il
Cappadoce. Egli richiamandosi ad Asinio come sua fonte dice
esattamente così: “Dopo Mitridate (nel senso di al seguito di)
entrò in Egitto anche Ircano, il sommo sacerdote degli Ebrei”. E
lo stesso Strabone in un altro passo dice, richiamandosi questa volta
ad Ipsicrate: che Mitridate si mosse da solo, che da lui fu convocato
ad Ascalona Antipatro, amministratore della Giudea, che Antipatro gli
procurò tremila uomini, che riuscì a mobilitare anche gli altri
dinasti, e che alla campagna prese parte anche Ircano, sommo
sacerdote. Questo esattamente dice Strabone».
E sui meriti precipui di
Antipatro a Pelusio e nella battaglia di «Campo degli Ebrei»
Giuseppe menziona, ma purtroppo non cita, una lettera di Mitridate a
Cesare.
Quando racconta questi
stessi avvenimenti nella Guerra giudaica, Giuseppe non dà
dettagli così minuziosi. Racconta la battaglia (Guerra giudaica,
I, 190-192) ed in particolare il ruolo determinante di Antipatro e
dei tremila del contingente ebraico i quali sgominano gli Egiziani
che stavano per avere il sopravvento su Mitridate Pergameno e sulle
sue truppe. Ma non adduce la testimonianza - per lui preziosa - di
Strabone: necessaria, nella sua strategia espositiva, per fugare il
sospetto di avere ecceduto nel valorizzare il ruolo del contingente
ebraico. Né sono presenti nella Guerra giudaica i numerosi
documenti messi a frutto nelle Antichità giudaiche, a
cominciare dalla importante lettera di Mitridate Pergameno a Cesare,
che attestava e documentava i meriti di Antipatro nella battaglia del
Delta. Dunque Giuseppe ha proseguito le ricerche - il racconto
presente nelle Antichità è stato elaborato dopo - ed ha
seguito, da storico provetto, due piste: cercare le tracce della
vicenda in storici non ebrei (Strabone «il Cappadoce», come lo
chiama) e attingere alla documentazione epigrafica esposta a Roma, in
Campidoglio, ma anche nelle città di Tiro, Sidone, Ascalona, che per
una ragione o per l'altra avevano rapporto con la vicenda.
L'utilizzo dell'opera
storica di Strabone gli ha consentito di attingere indirettamente a
quanto in proposito aveva scritto Asinio Pollione, la cui opera sulle
guerre civili, che tanto allarmava Orazio, era stata largamente messa
a frutto da Strabone. Grazie a questo fortunato intreccio di fonti
(Giuseppe che adopera Strabone, che a sua volta adopera Asinio e lo
cita) veniamo a scoprire che anche su questo punto specifico del
ruolo degli Ebrei nella battaglia del Delta, Asinio Pollione si
discostava dalla tradizione consolidatasi nel Corpus dei
«continuatori» dei Commentarii cesariani. Conosciamo bene,
grazie a Svetonio, il severo giudizio di Asinio sui Commentarii
e sulla loro scarsa veridicità. Tale diffidenza si estendeva a
maggior ragione al resto del Corpus , allestito, da uno staff rimasto
anonimo, in accordo con l'erede di Cesare e gestore oculato della sua
memoria. Tanto più appare rilevante che Asinio abbia voluto
esprimersi su questo punto («con Mitridate c'era anche Ircano») se
si considera che Asinio dopo Farsalo non ha seguito Cesare ad
Alessandria, ma è tornato, con Antonio, in Italia.
Un'ultima considerazione
si impone. La politica cesariana di apertura verso gli Ebrei, e verso
Ircano e Antipatro in particolare, va compresa nei suoi termini
politici. Lo schieramento, al momento della guerra civile, di molti
Ebrei dalla parte di Cesare è ben comprensibile: il nemico di
Cesare, Pompeo, era stato, al momento della conquista della Siria (65
a.C.) e della Palestina, il profanatore del Tempio (63 a.C.), come
racconta con dovizia di dettagli Dione Cassio (XXXVII, 15-16). Dal
punto di vista di Cesare, d'altra parte, si trattava di subentrare
quanto possibile a Pompeo nella gestione della vasta rete delle sue
clientele orientali. Che è la ragione per cui, vinto Tolomeo, Cesare
ha preferito sistemare lo scacchiere orientale prima di occuparsi
della «insorgenza» catoniana a Occidente.
Orbene Ircano era stato,
a suo tempo, gratificato da Pompeo. Proprio la fazione di Ircano, nel
63 a.C., aveva aiutato Pompeo e Pompeo aveva adeguatamente ricambiato
Ircano: il Tempio - racconta Dione - fu saccheggiato, dopo che i
Romani lo avevano conquistato di sabato senza colpo ferire, ma Pompeo
s'era affrettato a ricompensare Ircano «affidandogli il regno».
Ecco perché, nel 47,
Ircano, morto ormai Pompeo, aveva voluto essere assolutamente accanto
ad Antipatro nel corpo di spedizione che Mitridate Pergameno
conduceva in Egitto, a tappe forzate, in soccorso di Cesare per
liberarlo dall'assedio alessandrino. E Giuseppe si affanna a portar
documenti attestanti che Ircano era davvero lì, in quella vicenda
salvifica per Cesare. E Cesare, a guerra ormai conclusa, aveva
pensato bene che gli conveniva confermare Ircano nei suoi poteri. Per
controllare una regione, è fondamentale un saldo rapporto con le
élite locali dominanti: quelle che Ernst Badian ha chiamato nel suo
celebre libro, «le clientele esterne». Era l'abc della «sapienza
imperiale» romana.
Corriere della sera, 21
settembre 2011
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