Gemma Harasim nel 1909 |
Nel 1906 sulla rivista culturale
fiumana «La vedetta» escono brevi scritti che esaminano alcune
figure di donne e successivamente alcune immagini di bambini nella
letteratura e nell’arte. Sono di Gemma Harasim, insegnante di
italiano nelle scuole cittadine (una sorta di postelementari),
particolarmente impegnata e stimata in quella singolare città,
prevalentemente italiana per lingua e cultura, ma politicamente
appartenente all’impero asburgico, e più precisamente alla “Sacra
Corona d’Ungheria”. Sono scritti di scarsa importanza, anche un
po’ ingenui, ma significativi per i temi scelti che rispecchiano
gli interessi che Gemma conserverà per tutta la vita: la
valorizzazione della donna nella sua specificità di moglie e madre
ma con un’autonomia di pensiero pari all’uomo, e l’attenzione
per i bambini con il conseguente impegno educativo, già dimostrato
con la pubblicazione di un volumetto Sull’insegnamento della
lingua materna, che B. Croce fa recensire sulla «Critica».
L’intraprendente maestra, che ha
frequentato corsi universitari all’Istituto di Studi Superiori di
Firenze, scrive a Giuseppe Lombardo Radice, direttore della rivista
«Nuovi Doveri» a Catania, intervenendo su temi e problemi
scolastici della sua città e iniziando una corrispondenza epistolare
via via più frequente e affettuosa con il pedagogista. Da lui è
stimolata a collaborare anche a «La Voce» di G.Prezzolini con
quattro Lettere da Fiume, nel 1909, nelle quali descrive le difficili
condizioni socio-politiche e culturali della realtà trinazionale
italiana-croata-ungherese di una delle terre “irredente”, che la
rivista vuol far conoscere ai suoi lettori. Nel settembre di
quell’anno, il Congresso degli Insegnanti Scuola Media a Firenze
segna per la Harasim la svolta della sua vita: conosce direttamente
le più importanti personalità della cultura pedagogica italiana e
soprattutto Lombardo Radice, col quale stabilisce una profonda intesa
sentimentale che si tradurrà con il matrimonio l’anno successivo.
Gemma lascia con dolore la città, la
scuola, la famiglia (dove la sua cultura italiana si arricchisce con
quella croata del fratellastro Riccardo Lenac, sostenitore convinto
della collaborazione tra i due popoli) e va a vivere a Catania, dove
diventa la più stretta collaboratrice del marito, anche come
condirettrice della rivista per i temi riguardanti la cultura della
donna. A lei, donna emancipata di cultura e abitudini mitteleuropee,
l’ambiente siciliano non è congeniale e non riuscirà mai ad
amarlo veramente, anche se tenterà di incidere attraverso i «Nuovi
Doveri» sull’emancipazione popolare e della donna. La dedizione
verso l’educazione dei figli, Giuseppina, Laura e Lucio, nati tra
il 1911 e il 1916, e lo scambio intellettuale con il marito, il quale
riconoscerà sempre l’apporto di lei nel proprio pensiero
pedagogico, la compensano in parte di quanto ha lasciato ed è
particolarmente arricchita dalla frequentazione con i molti uomini di
cultura che ruotano nell’ambiente di Lombardo Radice, e soprattutto
dall’amicizia di Gaetano Salvemini, con cui si trova consonante in
molte idee politiche. Torna a Fiume tutte le volte che le è
possibile, conservando i rapporti con la famiglia e gli amici, e si
interessa costantemente delle condizioni della città, soprattutto
all’approssimarsi del conflitto mondiale.
La grande intesa spirituale e affettiva
con il marito non le impedisce di manifestare il suo dissenso verso
l’interventismo e la partecipazione di lui alla guerra nel 1917;
ciò nonostante si trasferisce con i tre figli a Roma e poi in
Toscana, per stargli più vicino e facilitare il ritorno in famiglia
durante i periodi di congedo. Sono di questo periodo le lettere più
numerose e più belle, nelle quali la Harasim descrive al marito,
insieme ai piccoli avvenimenti quotidiani e alle difficoltà che si
trova ad affrontare, l’evoluzione dei bambini nel linguaggio, nel
disegno, nel pensiero con osservazioni che poi svilupperà in alcuni
scritti e che attestano il continuo scambio spirituale fra i due.
Nella lettera del 7 settembre si cruccia della sua indipendenza che
forse non le permette di essere «ancora la vera mamma, la vera donna
tua tua; troppi anni ho vissuto in una vita più di pensiero che di
affetto; di combattività, di battaglia, vita quasi maschile nello
spirito, una così orgogliosa personalità propria, senza mai
piegare, senza sacrificare nulla a nessuno; forse non so amare bene,
dando me stessa generosamente, con dolcezza e modestia e sarebbe così
bella e grande opera degna di una vita». E in un’altra, dopo la
fine della guerra, contesta al marito, entrato a Fiume con l’esercito
italiano vittorioso, la mancata ricerca di collaborazione con il
proprio fratello Riccardo, impegnato politicamente nella intricata
situazione della città.
Ma il dissenso più forte si manifesta
quando nel 1923 il ministro dell’Educazione Nazionale Giovanni
Gentile, per la realizzazione della riforma della scuola, chiama
l’amico Lombardo Radice all’incarico di direttore generale
dell’istruzione primaria. Gemma è decisamente contraria, non solo
per la scarsa simpatia che nutre verso Gentile, ma soprattutto per la
decisa opposizione al fascismo e a Mussolini, di cui intuisce subito
i possibili pericolosi esiti. Con l’incarico ministeriale la
famiglia si trasferisce a Roma, che diventa la stabile residenza
anche dopo le dimissioni del pedagogista, seguite al delitto
Matteotti, e il suo ritorno alla cattedra universitaria e alla
rivista «L’Educazione Nazionale», che già dal 1919 aveva fondato
e su cui Gemma pubblica vari scritti, sul disegno, la lettura, la
matematica, oltre che un lungo studio su Pestalozzi.
Sono anni molto difficili per la
famiglia, a causa dell’isolamento e delle persecuzioni a cui il
regime sottopone Lombardo Radice, moralmente sostenuto dalla moglie
che, dopo la sua morte avvenuta nel 1938, diventa la custode tenace
dei suoi ricordi e della sua memoria. Sempre vicina ai figli che
hanno scelto la strada dell’opposizione, apre la sua casa ai
giovani (fra cui c’è Pietro Ingrao, futuro marito della figlia
Laura) che col figlio Lucio, il quale subisce due volte il carcere,
preparano la resistenza, e collabora attivamente nascondendo il
foglio clandestino «Pugno chiuso» durante una perquisizione della
polizia. Fino agli ultimi anni mantiene una mente lucida e un forte
interesse per i fatti educativi.
dal sito "Enciclopedia delle donne"
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