Negli Stati uniti anche i poveri possono diventare proprietari: è sufficiente che acquistino una casa mobile, per un prezzo che supera appena quello di un’automobile, e che trovino un terreno su cui stabilirsi. È a questo punto che iniziano i problemi...
Francisco Guzman non ha
il diritto di lasciare oggetti nel minuscolo giardino che circonda la
sua casa. Non può portare fuori la spazzatura prima del giorno della
raccolta dei rifiuti o ascoltare musica. «Posso avere un animale
domestico, ma non deve superare i 40 centimetri di altezza. E se
voglio ospitare qualcuno, anche mio fratello o mia madre, devo
chiedere il permesso all’amministratore. È incredibile; eppure
sono a cesa mia». Sebbene Guzman e la sua compagna siano i
proprietari del loro alloggio, una casa prefabbricata con due camere
da letto, l’abitazione si trova su un terreno in affitto situato
all’interno di un parco per case mobili ad Aurora (Colorado).
Per occupare uno del 440
lotti, la giovane coppia paga 500 dollari al mese. A questi devono
aggiungerne 250 per restituire il prestito a otto anni contratto per
comprare il loro trilocale di 75 metri quadrati, dall’architettura
tipica delle roulotte anni 1970: un tetto piatto, pareti esterne in
alluminio e una facciata bianca ingiallita dagli anni. «L'affìtto
comprende l’acqua corrente, il sistema fognario e la raccolta dei
rifiuti; c’è anche una piccola piscina in comune, aggiunge il
giovane. Naturalmente preferirei avere una casa vera, con un vero
giardino, senza ritrovarmi con i vicini a cinque metri di distanza.
Ma per questo prezzo, ad Aurora, è impossibile.» I Guzman
dispongono di un reddito limitato: tra il lavoro di lui in una
stazione di servizio e quello saltuario di lei in un'impresa di
pulizie, guadagnano 2.000 dollari al mese.
È proprio poco per
vivere in questa periferia residenziale senza fascino e attrattive,
ma adiacente al dinamico capoluogo dello Stato, Denver, dove i prezzi
degli immobili dal 2012 sono aumentati del 50%. Nell'ottobre del
2015, ad Aurora, non si trovavano appartamenti in affitto a meno di
1.000 dollari, e la casa meno cara, completamente da ristrutturare,
costava 130.000 dollari. Nella stessa data, una casa mobile di
equivalente superficie costruita nel 1973 era stata messa in vendita
a 14.500 dollari e gli affitti nel parchi appositi oscillavano tra i
400 e i 600 dollari al mese. «In questo momento tutti i lotti sono
presi. È necessario segnarsi sulle liste di attesa. Ma c’è molta
rotazione, perciò potrebbe non volerci molto», ci spiega
l’amministratore del Friendly Village.
Aurora ospita nove grandi
parchi e oltre 2.500 lotti per case mobili. Quasi tutti si trovano
intorno al Colfax Boulevard, in un quartiere periferico e poco
attraente della città: Hillcrest Village, di proprietà della Equity
Lifestyle Property, leader del settore con 140.000 lotti in tutto il
paese; Green Acres, dove vivono solo persone anziane; Fox-ridge Farm,
Cedar Village, Meadows, ecc. Né i nomi evocatori di paesaggi
bucolici né gli sforzi degli abitanti per decorare la facciata delle
proprie abitazioni con bandiere americane, statue della Vergine Maria
o fiori riescono a nascondere la monotonia di queste aree urbane.
Come i quartieri di
edilizia sociale, i parchi di case mobili di Aurora sono concepiti in
rottura con il modello urbano classico, separati dal resto della
città, con una rete stradale, una segnaletica e un piano di sviluppo
propri. Piccole vie più o meno pavimentate collegano appezzamenti
rettangolari disposti perpendicolarmente alla strada e separati gli
uni dagli altri da una piccola siepe, da una catena o da una semplice
linea sul terreno. Ogni unità abitativa è identificata da un
numero, visibile sull’indirizzo dei residenti accanto al nome del
loro parco. «A volte preferiremmo non dire che viviamo in un parco,
ma non appena la gente vede il nostro indirizzo, la cosa viene fuori,
si lamenta Guzman. E questo può anche causare svantaggi. C’è chi
pensa: “Questo viene da un parco di roulotte [trailer park].
Meglio non assumerlo perché potrebbe causare problemi”.»
Case popolari a
costo zero per lo Stato
Acquistare una casa
mobile negli Stati uniti è un’operazione semplice e poco costosa.
A differenza di una casa convenzionale, costruita da muratori,
elettricisti, carpentieri, idraulici, ecc., le case mobili sono fatte
interamente in fabbrica da lavoratori semi-qualificati. Escono dalla
catena di montaggio già pronte per l’uso, a un prezzo che sfida
ogni concorrenza. E siccome, per via dell’uso, con il passare del
tempo si deprezzano (un po’ come un’automobile), i modelli
costruiti negli anni '60 o '70 si possono ottenere per meno di 10.000
dollari. Un modello nuovo per un lotto di 70 metri quadrati si può
avere già per 25.000 dollari, consegna compresa. Oggi venti milioni
di statunitensi, di cui il 23% pensionati, vivono in questo tipo di
abitazioni, contro i nove milioni del 1975. Negli Stati uniti le case
mobili (8,6 milioni di unità) sono sette volte di più delle case ad
affitto controllato (1,2 milioni). Ospitano famiglie disagiate, il
cui reddito medio nel 2011 era inferiore alla metà del reddito medio
nazionale (26.000 dollari contro 52.000 dollari) (3). Fungono così
da case popolari, a costo zero per il governo, che non deve costruire
niente, ma con grandi profitti per gli industriali che le vendono.
«Il problema non è
comprare una casa mobile, ma trovare un posto dove stabilirsi», ci
spiega un dipendente della Clayton Homes, il primo venditore di
«abitazioni prefabbricate» negli Stati uniti (si legga la scheda in
fondo al post). La stragrande maggioranza delle città statunitensi
applica regole urbanistiche severe, che limitano le possibilità di
installazione su terreni privati ad alcune zone specifiche già
sature. Siccome questi alloggi hanno la reputazione di far perdere
valore al terreni circostanti, i sindaci evitano accuratamente il
loro sviluppo. A meno di allontanarsi verso aree rurali, molti
proprietari sono costretti a rivolgersi ai parchi privati, che
ospitano 12 milioni di cittadini.
Man mano che ci si
avvicina al Nuovo Messico, dove superano in percentuale il 15% delle
abitazioni totali, le case mobili sono sempre più presenti. Sono
disseminate lungo le grandi strade e le viuzze di campagna, dove gli
insediamenti sono meno densi e le norme urbanistiche più flessibili.
A Trinidad sono raggruppate in una dozzina di parchi al margini della
città, su terreni a buon mercato. Di modeste dimensioni, questi
lotti non hanno l’aspetto di campi militari né il carattere
impersonale dei parchi di Aurora.
Trinidad, una piccola
città di 8.000 abitanti sperduta tra le basse montagne del Colorado
al confine con il Nuovo Messico, ha conosciuto il suo periodo di
massimo splendore all’inizio del XX secolo, grazie all'estrazione
del carbone e allo sviluppo della ferrovia. Ma dopo la Seconda guerra
mondiale la città ha perso il 40% del suol abitanti e non resta
ormai che qualche vestigia di questo passato prospero: il vecchio
Grand Hotel sulla strada principale, la maestosa biblioteca costruita
nel 1904 grazie a una donazione del magnate dell’acciaio Andrew
Carnegie, il vagone a vapore esposto nel parcheggio del supermercato.
«Non c’è lavoro. Vivo qui da cinque anni e non ho mai trovato un
contratto per più di due mesi», dice Jacqueline Johnson. A lungo
impiegata in un ospedale di Las Vegas, la Johnson ha abbandonato il
Nevada dopo aver lasciato il marito nel 2010. Si è allora trasferita
dalla sua sorellastra, che viveva in una stanza di motel. «All’inizio
abbiamo vissuto in due nella stessa stanza, con la cucina accanto al
letto. Poi abbiamo preso in affitto questa casa mobile per 550
dollari al mese. È piuttosto cara, ma abbiamo tre camere, una cucina
vera, e quando è bel tempo si può mangiare fuori.»
«Ci sono problemi
di droga e sparatorie»
Tra i sussidi sociali e
qualche lavoretto, le due sorelle sfiorano i 2.000 dollari al mese.
«Una volta pagate le bollette e il cibo, non ci resta quasi nulla.
Inoltre, abbiamo un’automobile in due.» Un vero handicap: da
quelle parti non c’è niente che sia raggiungibile a piedi, a parte
un ristorante cinese con un menù all you can eat aperto tutto
il giorno. «Quando ho bisogno della macchina e mia sorella è in
ritardo, vado su tutte le furie, ci racconta la Johnson. Ma qui ci
conosciamo tutti e c’è sempre un vicino di casa disposto a darci
un passaggio. Un parco di case mobili è una vera e propria
comunità.»
Per Harry Vallejos è
anche una «piccola famiglia». Harry è un pensionato e risiede in
un parco di Trinidad chiamato Cedar Ridge, dove paga 250 dollari al
mese. Reso invalido da una malattia che riduce la sua capacità di
movimento, passa nel campo buona parte del suo tempo e conosce tutti
i suoi abitanti. Può indicare gli interessi, la situazione familiare
e le opinioni politiche di ciascuno: Annle McDaniel, che con i suoi
91 anni non può più guidare e riceve una visita da sua figlia due
volte a settimana; Harold e Hannelore Thomason, di 85 anni, che
vivono lì da quattro decenni, ecc.
La vita in un parco di
case mobili non offre né l'intimità di una casa tradizionale, che
consente di rifugiarsi in un giardino sul retro, né l'anonimato di
un immobile. Da uno sguardo fuori dalla finestra, un residente può
sapere se un altro è in casa o è andato a lavorare, se ha ospiti o
se la grondaia è intasata. Non è raro sentir gridare o sbattere le
porte. Questa vita comunitaria, se da una parte permette la
formazione di stretti rapporti tra vicini, favorisce anche il
diffondersi di voci e pettegolezzi. A Cedar Ridge ci sono venti case,
per lo più occupate da anziani proprietari. I pochi residenti più
giovani, tra cui una famiglia appena arrivata dal Texas e un uomo che
abita nella sua casa mobile solo qualche mese l’anno, sono guardati
con sospetto. «C’è un grande via vai da noi e bisogna fare
attenzione», dice Vallejos, che tuttavia afferma di vivere «nella
migliore comunità della città».
Per niente al mondo
questo pensionato abiterebbe ad Almar, un parco che gode di pessima
reputazione. Nella primavera del 2015, la polizia vi ha ucciso un
giovane di colore che si nascondeva in una baracca abbandonata. Il
caso, che ha animato i dibattiti della televisione locale, è
impresso nella memoria di tutti. «Facciamo costantemente la ronda,
io e mio marito, dice l’amministratrice per rassicurare i
potenziali locatari. Anche mio figlio, oltre a occuparsi della
manutenzione, fa delle ronde, aiutato dalla sua fidanzata. Il padre
di Nicky [un residente del parco] è ispettore di polizia e qui
vivono anche i miei fratelli... Sa, tutti sorvegliano tutti. Capita
molto spesso che debba espellere dei locatari che si comportano
male!». A suo parere, sarebbe piuttosto il Lakeside a dover essere
evitato.
Aperto quindici anni fa,
questo parco si estende in un ampio quadrato di terra e ghiaia che si
trasforma in fango dopo ogni temporale. Un lotto senza casa si
affitta a 150 dollari al mese; con l’aggiunta di 300 dollari si può
anche avere una vecchia casa mobile con tre camere. Fatto unico a
Trinidad, al Lakeside ci sono molti lotti vacanti, anche se le
tariffe sono le più basse della città. «Non vuole abitarci
nessuno. Ci sono problemi di droga, risse, sparatorie. È molto
negativo per il quartiere», spiega la proprietaria di una casa senza
pretese a 200 metri dal parco. Quando le chiediamo se può
raccontarci dei fatti specifici, prima esita, poi ci dice che «spesso
si sentono delle sirene» e infine dichiara con aria infastidita che
«non le piacciono i giornalisti». Prima di salutarci ammetterà di
non aver mai messo piede nel parco e di non conoscere nessuno dei
locatari.
Le case mobili, i cui
abitanti sono soprannominati con disprezzo trailer trash
(«scarti di roulotte»), non hanno mai goduto di una buona fama
negli Stati uniti. Sebbene contengano un 8,7% di afroamericani, sono
associate al sottoproletariato bianco, alla «spazzatura bianca», un
po’ come I quartieri di edilizia residenziale pubblica,
nell'immaginario statunitense, sono associati al neri. La storia ebbe
inizio negli anni tra le due guerre, quando i venditori ambulanti, i
braccianti e i lavoratori del settore edile che attraversavano il
paese in roulotte si videro accusare di immoralità e di non pagare
le tasse nelle città in cui si stabilivano. Il decennio successivo,
nel 1937, la rivista Fortune se la prende ancora con queste «colonie
sovrappopolate di catapecchie itineranti».
La popolazione di queste
abitazioni cambia a partire dagli anni 1950, con l’immissione sul
mercato di case mobile grandi 10 piedi (3 metri), contro gli 8 di
prima (2,40 metri): non è più necessario passare attraverso la
prima camera per accedere alla seconda. In un contesto di crisi degli
alloggi, questo miglioramento sul piano dell'intimità porta molti
statunitensi con un reddito basso, in particolare anziani e giovani
coppie di operai e impiegati, a fare di queste roulotte un domicilio
fisso e stabile. Quelle prodotte oggi sono larghe fino a 5 metri; ne
esistono anche modelli di lusso, visibili accanto al porti turistici
e al campi da golf nelle residenze per pensionati della Florida e
della California. D’altronde, ufficialmente, non vengono più
chiamate «mobile homes», ma «case prefabbricate»
(manifactured homes).
Tuttavia, un raggiro
semantico orchestrato da qualche industriale raramente riesce ad
arginare un diluvio di immagini, perciò le case mobili mantengono la
loro cattiva reputazione. In televisione, i notiziari locali parlano
instancabilmente del vari fatti (sparatorie, irruzioni, casi di
droga...) che hanno luogo nei parchi. Su Internet si può vedere
«Trailer Park Boys», un programma trasmesso da quindici anni sui
piccoli schermi canadesi e statunitensi. Realizzata sotto forma di un
falso documentario, questa serie presenta personaggi piuttosto rozzi
che vivacchiano tra piccoli delitti e soggiorni in prigione. Nel
cinema, film di successo come Boys don’t cry (1999) o come 8
Mlle (2002), dedicato alla vita da giovane del rapper Eminem,
mettono anch'essi in scena luoghi in cui la violenza è onnipresente.
Anche il quadro più sfumato di una comunità del New Hampshire
tratteggiato dallo scrittore Russell Banks nel suo libro Trailerpark
(1981) riprende i temi della droga e dell’alcol.
Con una simile immagine
diffusa nella cultura popolare, non stupisce affatto che molti
abitanti di Trinidad abbiano una pessima opinione degli occupanti
delle case mobili. «Su di noi dicono di tutto, lamenta una residente
di Lakeslde che preferisce rimanere anonima. Per lo più qui le
persone sono oneste e lavorano duramente. Questo è un buon posto per
vivere. Ma ci sono molte case in affitto e gli occupanti cambiano
spesso, perciò è normale che a volte capiti un poco di buono. Oggi
ci sono dei giovani che fumano erba tutto il giorno. Hanno un cane
che abbaia ferocemente a chiunque passi». La giovane donna
rimprovera anche alla proprietaria, un'insegnante in pensione che
vive a Trinidad, una certa leggerezza nella scelta dei locatari, da
cui non esige alcuna garanzia: «Vuole solo riempire i lotti vacanti
e se ne infischia di chi abita qui. Quando c’è un problema, non
risponde mai.»
I residenti non
possono né minacciare né traslocare
Secondo Dave Anderson,
direttore esecutivo dell’associazione All Parks Alliance for
Change, che difende gli interessi dei proprietari di case mobili,
questo problema riguarda le residenze situate in zone rurali. «Nelle
aree metropolitane, ci spiega, dove gli insediamenti sono densi e i
prezzi dei terreni sono alti, i rischi per gli occupanti sono i
frequenti aumenti degli affitti o gli sfratti finalizzati a
promuovere progetti immobiliari più redditizi. Nelle comunità
rurali, in realtà, questi problemi non esistono. Ma i piccoli
proprietari hanno un capitale molto limitato per far funzionare il
loro parco e a volte non possono permettersi le riparazioni
necessarie per risolvere grossi guasti al sistema fognario o problemi
di approvvigionamento idrico.» Vivere in un parco a gestione
familiare in una piccola città non mette necessariamente al riparo
da aumenti indesiderati. Ad Almar, per esempio, gli affitti sono
rincarati del 1 0% nel mese di novembre, passando da 220 a 245
dollari, senza un motivo particolare, sebbene avessero già subito un
aumento due anni prima…
Nella maggior parte degli Stati, in effetti, nessuna legge impedisce al proprietario di un parco di aumentare gli affitti, a condizione che avverta gli Interessati con un paio di settimane di anticipo.
Nella maggior parte degli Stati, in effetti, nessuna legge impedisce al proprietario di un parco di aumentare gli affitti, a condizione che avverta gli Interessati con un paio di settimane di anticipo.
Questa è d’altronde
una delle prime cose che Frank Rolfe insegna agli studenti della sua
«università delle case mobili».
Laureato in economia presso l’università californiana di Stanford,
Rolfe ha fatto la sua fortuna investendo, insieme al suo socio Dave
Reynolds, nei terreni per case mobili. Partito dal nulla nel 1 996,
oggi si vanta di essere il sesto operatore del settore, con i 70
parchi sparsi in tutto il paese – «tranne che in California, in
Florida e nello Stato di New York, dove le leggi sono troppo
favorevoli ai locatari», precisa.
Ansiosi di trasmettere il
loro know-how, Rolfe e Reynolds hanno aperto un corso di formazione
intensivo di tre giorni, al costo di 2.000 dollari, in cui si
insegnano le basi della gestione di un parco: mostrarsi inflessibili
in caso di morosità, far pagare delle multe quando non vengono
rispettate le regole, evitare di offrire servizi comuni come la
lavanderia, che possono creare costi inutili, sfrattare i locatari
sgraditi… «Gli studenti sono per lo più dirigenti sui
cinquant’anni, molto delusi dai tassi di rendimento degli
investimenti nella borsa statunitense. È un buon momento per
lanciarsi in questo business, perché l’economia americana è
in crisi da anni e c’è una forte domanda di case a buon mercato»,
analizza lucidamente Rolfe. Il metodo dei due soci ricalca quello
usato dai promotori immobiliari nei progetti di riqualificazione
urbana: comprano dei parchi, in particolare «parchi a gestione
familiare», appartenenti a piccoli proprietari che non si occupano
di farli fruttare, quindi li rimettono in sesto, installano qualche
servizio aggiuntivo e chiedono affitti più alti... È un buon
momento per lanciarsi in questo business, perché l’economia
americana è in crisi da anni e c’è una forte domanda di case a
buon mercato», analizza lucidamente Rolfe. Il metodo del due soci
ricalca quello usato dal promotori immobiliari nei progetti di
riqualificazione urbana: comprano dei parchi, in particolare «parchi
a gestione familiare», appartenenti a piccoli proprietari che non si
occupano di farli fruttare, quindi li rimettono in sesto, installano
qualche servizio aggiuntivo e chiedono affitti più alti.
I locatari sono impotenti
di fronte a questi aumenti. Da quando misurano almeno tre metri di
larghezza, le case mobili sono diventate molto difficili da
trasportare: una macchina non è più sufficiente e bisogna
utilizzare un camion speciale, più largo di una strada ordinaria.
L’operazione può costare diverse migliaia di dollari; a molti
residenti conviene dunque acquistare una nuova casa, piuttosto che spostare la
propria. L’immobilità delle case «mobili» indebolisce la
posizione dei loro occupanti, che non possono più usare la minaccia
di un trasloco quando il proprietario non si occupa della
manutenzione o aumenta gli affitti.
Emily Montoya non sa dove
potrebbe trovare i soldi, se dovesse lasciare Raton, una piccola
città di 6.500 abitanti nel nord del Nuovo Messico, dove affitta un
lotto per 150 dollari al mese. La giovane donna, che vive con i figli
e il compagno, non lavora e la coppia non ha risparmi. Tuttavia, è
possibile che la famiglia debba spostarsi presto. Il «parco delle
colline incantate» – situato vicino al cimitero comunale… – è
stato messo in vendita: 320.000 dollari per otto ettari di terreno e
46 lotti. «L’ho scoperto rientrando a casa qualche giorno fa:
avevano messo un cartello con su scritto “in vendita” davanti
all’entrata, racconta. Non si sa chi comprerà o cosa faranno del
parco, ma di certo noi non possiamo permetterci un trasloco.»
I vicini della Montoya
vivono con la stessa paura, perché nel Nuovo Messico la legge
protegge molto poco i locatari dei parchi. Possono essere sfrattati
in 72 ore se non pagano l’affitto; in un mese se non rispettano le
regole o se «disturbano gli altri locatari». E quando un parco
chiude, ricevono un preavviso di soli 60 giorni. «In alcuni Stati,
come il Minnesota, se si deve traslocare o se la casa è troppo
malridotta per essere spostata, il proprietario è tenuto a versare
un risarcimento. Talvolta si ha anche la possibilità di unirsi ad
altri proprietari e di esercitare il diritto di prelazione sul
terreno al prezzo di mercato, al fine di creare una cooperativa. Più
spesso, però, non c’è alcuna garanzia per gli abitanti», dice
Anderson. Probabilmente il parco di Raton rimarrà aperto: quel pezzo
di terra non attira molto i promotori immobiliari e la cosa migliore
da fare quando si possiede un terreno all’interno di una zona
autorizzata per le case mobili resta ancora affittare i lotti
separati.
In California si incontra
la situazione opposta: la legge protegge i locatari, ma i promotori
sono molti. In vent’anni, lo Stato ha visto sparire più di 400
lotti, spazzati via dalla impennata del mercato immobiliare. Dal
2012, 400 residenti di Palo Alto si battono contro la scomparsa del
loro parco, il più antico della Silicon Valley, dove un lotto si
affitta a 1 .000 dollari (in città gli affitti meno cari costano il
triplo). Dopo aver accettato la chiusura, il sindaco ha cambiato
rotta di fronte all’ingigantirsi della questione. Ora sostiene gli
abitanti e ha perfino fatto un’offerta per comprare il terreno: 39
milioni di dollari per 1,8 ettari e 117 lotti. Il proprietario ha
rifiutato, dal momento che il parco vale, a dire degli agenti
immobiliari, oltre 50 milioni.
Al momento
il caso è nelle mani della giustizia. In attesa di una decisione, I
residenti del parco Buena Vista di Palo Alto non sanno dire quale
sarà il loro futuro, proprio come quelli delle colline incantate di
Raton. Come ci spiega Anderson, «/ proprietari di case mobili hanno
una doppia identità. Essendo sia proprietari che locatari, non sono
coperti né dalle leggi che tradizionalmente regolano i rapporti tra
proprietari e locatari né dalle protezhni concesse ai proprietari».
E per difendersi, possono contare solo su se stessi.
Scheda
«Meno
10% su tutte le abitazioni»
Per chi
immagina le case mobili come roulotte anguste, buie e mal coibentate,
non c’è niente di meglio di una vista da Clayton Homes, il leader
nazionale nel settore delle case prefabbricate, di proprietà di
Warren Buffett. La rivendita di Pueblo, 200 chilometri a sud di
Denver (Colorado), si trova su un piccolo terreno abbandonato in cui
sono allestiti dei lotti-campione visitabili insieme a un «consulente
Immobiliare». All’Interno, niente distingue queste case mobili
contemporanee da un appartamento classico: l’insonorizzazione è
corretta, le finestre sono larghe e gli elettrodomestici
ultramoderni. «Tutte le case sono garantite per un anno, dal
frigorifero al tetto, ci spiega un venditore, Ryan Castellanos. Ma
per 699 dollari, potete ottenere un’estensione di quattro anni. E
se vi decidete prima di domani, c’è una grande promozione: il 10%
di sconto su tutte le case.»
L’uomo
accenna, come obbliga la legge, alla possibilità di scegliere tra
differenti società di credito e poi ci porge le brochure relative a
tre di esse. Nei dettagli illustrerà solo quella della Vanderbilt
Mortgage and Finance, una compagnia anch’essa di proprietà di
Buffett: «È molto facile, basta riempire qualche modulo». Nella
maggior parte degli Stati americani, le case mobili sono considerate
beni personali, allo stesso titolo di un acquascooter o di un
televisore, e non come beni immobili. Di conseguenza, sono assicurate
come le automobili e possono essere finanziate attraverso il credito
al consumo, facile da ottenere, ma con tassi di interesse elevati.
Così, secondo uno studio del Center for Public Integrity e del
Seattle Times, gli acquirenti di case mobili pagano in media del
tassi superiori del 3,8% rispetto a quelli praticati per un bene
immobile classico. Tranne con le case Clayton, per le quali lo scarto
è superiore al 7% . (B.B.)
“Le monde
diplomatique – edizione italiana”, febbraio 2016
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