1.3.17

Sergio Leone. Leningrado, storia di un film tanto sognato (Alberto Crespi)

Il 12 gennaio del 1989 su “la Repubblica” apparve un breve articolo dal titolo Mosca firma. Leone girerà il kolossal 'Leningrado'. Eccone uno stralcio: “Dopo quattro anni di attesa, finalmente la notizia è arrivata: Sergio Leone girerà la storia d'amore che ha per sfondo il terribile assedio che per 900 giorni bloccò Leningrado, durante la Seconda guerra mondiale. L'annuncio è arrivato dallo stesso regista, ieri, in una conferenza stampa organizzata a Mosca, dopo la firma del contratto definitivo tra la Sergio Leone Corporation, gli enti sovietici Sovifilm, Sovexportfilm e gli studi Lenfilm, con il Comitato di Stato dell'Urss per la cinematografia come garante. Non sarà solo un film di guerra ha detto il regista il mio scopo è quello di mostrare i sentimenti umani sullo sfondo della guerra. Il protagonista maschile, interpretato da Robert De Niro, è un cineoperatore americano che si innamora di una ragazza russa, nei giorni dell' assedio posto dai nazisti a Leningrado (la protagonista, un'attrice sovietica, non è ancora stata scelta). Il titolo provvisorio dell'opera è Leningrado e, per la realizzazione delle scene di guerra, Leone avrebbe chiesto all' Armata rossa ben duemila carri armati dell'epoca. “Me ne hanno concessi cinquecento, e se non basteranno gli altri saranno di cartapesta; il film non può che essere girato qui, in Unione Sovietica, e in particolare a Leningrado” ha precisato il regista, aggiungendo ironicamente che durante le riprese verranno usati degli accorgimenti per non distruggere la città una seconda volta. Secondo il padre del western all' italiana, per vedere l'opera completa bisognerà aspettare almeno tre anni... Il film, con musiche di Dmitri Sciostakovich ed Ennio Morricone, ha richiesto quattro anni di trattative prima che si arrivasse, ieri, alla firma del contratto definitivo... Secondo Aleksandr Surikov, presidente della società Sojuz Kinoservice, il progetto del film è forse il più grande attualmente in preparazione a livello mondiale”.
Il 30 aprile Sergio Leone morì. L'indomani Alberto Crespi raccontava su “l'Unità” le vicende di questo film che – ovviamente - non venne più girato. (S.L.L.)

Rimarrà uno dei grandi film «non fatti» del cinema italiano. Come il Mastorna di Fellini, o la Recherche di Visconti, o il film su San Paolo di Pasolini. E rimarrà la grande rimozione, all’intemo di quella sorta di mondo «parallelo» che è il cinema sovietico sulla «grande guerra patriottica»: un cinema ricco di titoli, anche di capolavori, in cui rimane un buco nero: Leningrado, il suo assedio, quei 900 giorni che costarono milioni di morti. Sergio Leone voleva riempire quel buco, illuminarlo. Non ne ha avuto il tempo.
Già, il tempo. È stato il vero protagonista del rapporto, lungo e mille volte interrotto e ripreso, fra Sergio Leone e l’Urss. Era un progetto vecchio di anni, precedente a C'era una volta in America. Un progetto in cui si incontravano i «tempi lunghi» del regista e quelli, ancora più secolari, della burocrazia sovietica. I contatti con Mosca erano iniziati in tempi di «stagnazione», quando il ministro del cinema era l’ultra-brezneviano Filip Ermas, uno degli epurati nel Plenum del Pcus di pochi giorni fa. Il nuovo corso aveva dato una mano al film: l’avvento del regista Klimov alla guida dell'Unione dei cineasti, e di Kamsalov al ministero del cinema, avevano semplificato le cose. Rimanevano punti di disaccordo. Ai sovietici non piaceva che la fonte del film fosse un libro americano, il reportage I 900 giorni di Harrison Salisbury. Ma Leone aveva scoperto in Urss un libro altrettanto bello e drammatico, Blokadnaja kniga («Il libro dell’assedio») di Danil Granin e Ales Adamovic (quest’ultimo, non a caso, sceneggiatore di fiducia di Elem Klimov). Sullo sceneggiatore di parte sovietica, dopo che Leone non aveva fraternizzato con il noto scrittore Jurij Nagibin, ci si era accordati su Arnold Vitol. Da parte sua, Leone voleva anche un americano, Alvin Sargent, premio Oscar per Giulia.
Pareva davvero tutto pronto. Sarebbe stata la realizzazione di un sogno antico, nato forse da un altro sogno, perché tra i film non realizzati di Leone c’era anche uno Stalingrado in cui tutta la famosa battaglia era vista con gli occhi di un ragazzino di 14 anni. Ma il passaggio da Stalingrado a Leningrado significava passare dalla battaglia più celebrata nel cinema sovietico all’epopea popolare più tragica e più rimossa. Perché, come dicevamo, il cinema sovietico non ha mai raccontato i 900 giorni di Leningrado, e non si è mai saputo ufficialmente perché, anche se si è sempre mormorato di un veto personale di Stalin (che con la città di Kirov, e con quella fetta di partito che aveva espresso Kirov, non aveva, per usare un eufemismo, buoni rapporti).
Esiste, in realtà, un piccolo film sovietico sull’assedio e guarda caso racconta un episodio che anche Leone voleva mettere nel suo film. Si tratta del mediometraggio Solo, opera prima di quel Konstantin Lopusanskij (leningradese...) che avrebbe poi diretto il famoso Lettere di un uomo morto. Solo narra la giornata di un violinista che continua a suonare in un’orchestra nonostante l’assedio, la fame, la morte. Ebbene, Leone ci aveva raccontato che il suo sogno era di aprire il film su una lunghissima inquadratura che partiva dalle mani di un pianista, Sciostakovic, che sta componendo la sua settima sinfonia (quella detta, appunto, «di Leningrado»), per poi allargarsi e scoprire pian piano la stanza, la strada, le piazze, i camion che trasportano uomini armati alle trincee... il primo cambio di inquadratura sarebbe stato su un sipario: la Filarmonica di Leningrado esegue per la prima volta la sinfonia, e la musica sarebbe ritornata nel finale: «...150 musicisti e 4500 spettatori - raccontava Leone - erano presenti alla sua esecuzione durante l’assedio. Quando finalmente fu spezzata la stretta attorno alla città, si celebrò la vittoria con l’esecuzione della stessa sinfonia nella stessa sala. Tutto fu lasciato identico, l’ordine dei posti e il numero delle sedie rimasero invariati, furono invitate le stesse persone, ma stavolta c’erano 9 musicisti e 46 spettatori. Tutti gli altri erano morti...»
Il film su Leningrado, con Robert De Niro nel ruolo di un reporter americano, sorta di Virgilio che ci avrebbe accompagnato nell'inferno della guena, sarebbe stato un grande film. Crediamo che oggi si possa, si debba dirlo.



l’Unità Lunedì 1 maggio 1989

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