Il 12 gennaio del 1989 su
“la Repubblica” apparve un breve articolo dal titolo Mosca
firma. Leone girerà il kolossal 'Leningrado'.
Eccone uno stralcio: “Dopo quattro anni di attesa,
finalmente la notizia è arrivata: Sergio Leone girerà la storia
d'amore che ha per sfondo il terribile assedio che per 900 giorni
bloccò Leningrado, durante la Seconda guerra mondiale. L'annuncio è
arrivato dallo stesso regista, ieri, in una conferenza stampa
organizzata a Mosca, dopo la firma del contratto definitivo tra la
Sergio Leone Corporation, gli enti sovietici Sovifilm, Sovexportfilm
e gli studi Lenfilm, con il Comitato di Stato dell'Urss per la
cinematografia come garante. Non sarà solo un film di guerra ha
detto il regista il mio scopo è quello di mostrare i sentimenti
umani sullo sfondo della guerra. Il protagonista maschile,
interpretato da Robert De Niro, è un cineoperatore americano che si
innamora di una ragazza russa, nei giorni dell' assedio posto dai
nazisti a Leningrado (la protagonista, un'attrice sovietica, non è
ancora stata scelta). Il titolo provvisorio dell'opera è Leningrado
e, per la realizzazione delle scene di guerra, Leone avrebbe chiesto
all' Armata rossa ben duemila carri armati dell'epoca. “Me ne hanno
concessi cinquecento, e se non basteranno gli altri saranno di
cartapesta; il film non può che essere girato qui, in Unione
Sovietica, e in particolare a Leningrado” ha precisato il regista,
aggiungendo ironicamente che durante le riprese verranno usati degli
accorgimenti per non distruggere la città una seconda volta. Secondo
il padre del western all' italiana, per vedere l'opera completa
bisognerà aspettare almeno tre anni... Il film, con musiche di
Dmitri Sciostakovich ed Ennio Morricone, ha richiesto quattro anni di
trattative prima che si arrivasse, ieri, alla firma del contratto
definitivo... Secondo Aleksandr Surikov, presidente della società
Sojuz Kinoservice, il progetto del film è forse il più grande
attualmente in preparazione a livello mondiale”.
Il 30 aprile Sergio Leone
morì. L'indomani Alberto Crespi raccontava su “l'Unità” le
vicende di questo film che – ovviamente - non venne più girato.
(S.L.L.)
Rimarrà uno dei grandi
film «non fatti» del cinema italiano. Come il Mastorna di
Fellini, o la Recherche di Visconti, o il film su San Paolo di
Pasolini. E rimarrà la grande rimozione, all’intemo di quella
sorta di mondo «parallelo» che è il cinema sovietico sulla «grande
guerra patriottica»: un cinema ricco di titoli, anche di capolavori,
in cui rimane un buco nero: Leningrado, il suo assedio, quei 900
giorni che costarono milioni di morti. Sergio Leone voleva riempire
quel buco, illuminarlo. Non ne ha avuto il tempo.
Già, il tempo. È stato
il vero protagonista del rapporto, lungo e mille volte interrotto e
ripreso, fra Sergio Leone e l’Urss. Era un progetto vecchio di
anni, precedente a C'era una volta in America. Un progetto in
cui si incontravano i «tempi lunghi» del regista e quelli, ancora
più secolari, della burocrazia sovietica. I contatti con Mosca erano
iniziati in tempi di «stagnazione», quando il ministro del cinema
era l’ultra-brezneviano Filip Ermas, uno degli epurati nel Plenum
del Pcus di pochi giorni fa. Il nuovo corso aveva dato una mano al
film: l’avvento del regista Klimov alla guida dell'Unione dei
cineasti, e di Kamsalov al ministero del cinema, avevano semplificato
le cose. Rimanevano punti di disaccordo. Ai sovietici non piaceva che
la fonte del film fosse un libro americano, il reportage I 900
giorni di Harrison Salisbury. Ma Leone aveva scoperto in Urss un
libro altrettanto bello e drammatico, Blokadnaja kniga («Il
libro dell’assedio») di Danil Granin e Ales Adamovic
(quest’ultimo, non a caso, sceneggiatore di fiducia di Elem
Klimov). Sullo sceneggiatore di parte sovietica, dopo che Leone non
aveva fraternizzato con il noto scrittore Jurij Nagibin, ci si era
accordati su Arnold Vitol. Da parte sua, Leone voleva anche un
americano, Alvin Sargent, premio Oscar per Giulia.
Pareva davvero tutto
pronto. Sarebbe stata la realizzazione di un sogno antico, nato forse
da un altro sogno, perché tra i film non realizzati di Leone c’era
anche uno Stalingrado in cui tutta la famosa battaglia era
vista con gli occhi di un ragazzino di 14 anni. Ma il passaggio da
Stalingrado a Leningrado significava passare dalla battaglia più
celebrata nel cinema sovietico all’epopea popolare più tragica e
più rimossa. Perché, come dicevamo, il cinema sovietico non ha mai
raccontato i 900 giorni di Leningrado, e non si è mai saputo
ufficialmente perché, anche se si è sempre mormorato di un veto
personale di Stalin (che con la città di Kirov, e con quella fetta
di partito che aveva espresso Kirov, non aveva, per usare un
eufemismo, buoni rapporti).
Esiste, in realtà, un
piccolo film sovietico sull’assedio e guarda caso racconta un
episodio che anche Leone voleva mettere nel suo film. Si tratta del
mediometraggio Solo, opera prima di quel Konstantin
Lopusanskij (leningradese...) che avrebbe poi diretto il famoso
Lettere di un uomo morto. Solo narra la giornata di un
violinista che continua a suonare in un’orchestra nonostante
l’assedio, la fame, la morte. Ebbene, Leone ci aveva raccontato che
il suo sogno era di aprire il film su una lunghissima inquadratura
che partiva dalle mani di un pianista, Sciostakovic, che sta
componendo la sua settima sinfonia (quella detta, appunto, «di
Leningrado»), per poi allargarsi e scoprire pian piano la stanza, la
strada, le piazze, i camion che trasportano uomini armati alle
trincee... il primo cambio di inquadratura sarebbe stato su un
sipario: la Filarmonica di Leningrado esegue per la prima volta la
sinfonia, e la musica sarebbe ritornata nel finale: «...150
musicisti e 4500 spettatori - raccontava Leone - erano presenti alla
sua esecuzione durante l’assedio. Quando finalmente fu spezzata la
stretta attorno alla città, si celebrò la vittoria con l’esecuzione
della stessa sinfonia nella stessa sala. Tutto fu lasciato identico,
l’ordine dei posti e il numero delle sedie rimasero invariati,
furono invitate le stesse persone, ma stavolta c’erano 9 musicisti
e 46 spettatori. Tutti gli altri erano morti...»
Il film su Leningrado,
con Robert De Niro nel ruolo di un reporter americano, sorta di
Virgilio che ci avrebbe accompagnato nell'inferno della guena,
sarebbe stato un grande film. Crediamo che oggi si possa, si debba
dirlo.
l’Unità Lunedì 1
maggio 1989
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