Il “macco” di fave è
preparazione apprezzata in tutta la Sicilia e anche fuori. È una
crema di fave secche sbucciate che la lenta e lunga cottura e la
sapiente utilizzazione del cucchiaio di legno per rimestare ed
ammaccare produce senza bisogno di ricorrere a setacci, passini o
altre più recenti diavolerie tecnologiche. Ma il risultato è buono
anche se – per scansare le frequenti rimescolate - si utilizza il
setaccio o il frullatore, l'importante è che la cottura sia arrivata
alla fine e la crema risulti morbida.
Il “macco” è a volte
protagonista della tavola, cuore di una minestra con l'aggiunta di un
po' di ortaggi (mezza cipolla, una piccola patata e qualche
fogliolina di cavolo o di bieta, per esempio) e/o di pasta corta
(spaghetti spezzati, ditalini ecc.); altre volte se ne aggiunge
qualche cucchiaiata o addirittura un mestolo nei minestroni per dare
densità e gusto all'insieme.
Niente ammucchiate, invece, nella ricetta che segue, ma il matrimonio a mio avviso
felicissimo e senza terzi incomodi fra due ortaggi: le fave e la
cicoria. L'accoppiamento è attribuito alla Puglia dalla mia fonte,
ma è in realtà presente in molte regioni ed è particolarmente
apprezzato nella mia famiglia, che della cicoria ha fatto un emblema.
Cicoria era
il soprannome che, in paese, era attribuito a mio nonno Salvatore Lo
Leggio e all'intera sua famigliola. Si raccontava che mio nonno, mio
padre e i miei zii raccogliessero e mangiassero tanta cicoria, cosa
che – se richiesti - non negavano affatto, ma ribadivano esaltando
il gusto e le qualità salutari della preziosa verdura. Oramai il
nomignolo è rimasto solo (o quasi) a un mio cugino e (orrore!) tra i
miei fratelli e i cugini non mi pare che la cicoria, selvatica o
coltivata che sia, goda di particolare apprezzamento. Ma io non
esito, quando posso, a innalzare la bandiera di quell'erba prelibata
e la mangio più spesso che posso.
Consumo
la cicoria soprattutto bollita (nel suo brodo o, dopo averla scolata
e strizzata, in insalata con olio, aceto ed aglio), ma anche in altre
preparazioni (ho nel repertorio una pastasciutta con condimento a
base di cicoria che piace molto a molti). In un ruolo paritario con
il macco di fave cui si unisce solo a fine cottura – come nella
ricetta qui sotto - la trovo eccellente sia nella variante coltivata
più comune, sia che si tratti di cicoriette selvagge raccolte in
giro per i campi. In primavera la minestra si può ottimamente fare
anche con fave fresche, private della pellicina e cotte a lungo, indi
passate. (S.L.L.)
MINESTRA DI FAVE CON
CICORIA (h. 4.30 + 12.00)
200 g di fave bianche
secche, 800 g di cicoria, 1 spicchio di aglio schiacciato, 4 cucchiai
di olio extravergine d'oliva, sale e pepe nero macinato al momento.
Monda, lava e lascia a
bagno le fave per 12 ore in acqua fredda. Mettile in un recipiente di
terracotta e coprile d'acqua, aggiungi sale e lasciale cuocere, per 4
ore, finché non si saranno quasi sciolte. Passale poi al setaccio.
Cuoci la cicoria in acqua salata, scolala e strizzala.
Scalda l'olio in una
pirofila e unisci la cicoria, con l'aglio schiacciato. Lascia
insaporire, per circa 2 minuti, a fuoco medio. Prepara i piatti
singoli, riunendo fave e parte della cicoria. Condisci ogni piatto
con l'olio e il pepe appena macinato prima di servire.
Da Italia da gustare
2003, Le Guide di Bellitalia,
Editoriale Giorgio Mondadori, 2003
Nessun commento:
Posta un commento