17.4.17

Realismo. Un saggio di Bertoni tra teoria e critica (Roberto Gilodi)

Federico Bertoni
«Realtà è una delle poche parole che non hanno nessun senso senza le virgolette». Lo afferma provocatoriamente Nabokov e ce lo ricorda Federico Bertoni in un libro di alto e convincente profilo teorico: Realismo e letteratura Una storia possibile (Einaudi «Pbe»). Se «realtà» è parola polisemica, la valenza semantica di «realismo» lo è a tal punto da compendiare l'intero arco evolutivo della letteratura occidentale. «Una parola sfortunata» l'ha definita Thomas Hardy, e tuttavia indispensabile se con essa in un modo o nell'altro hanno finito per fare i conti tutti i romanzieri moderni e tutti i critici che si sono applicati all'identificazione dei meccanismi che governano il rapporto tra realtà e finzione, tra letteratura e mondo. Come dire che di letteratura non si può parlare senza considerare, esplicitamente o sotto traccia, il rapporto che la scrittura - ma nemmeno l'oralità letteraria si sottrae a questo destino - intrattiene con la realtà, comunque la si voglia intendere.
Attento alla portata critico-letteraria e insieme euristica della nozione di realismo, Bertoni esplora minuziosamente i differenti campi semantici a essa correlati a partire dalle due matrici originarie della riflessione teorica sulla letteratura: quella platonica e quella aristotelica. Se Platone nella Repubblica ci invita a prendere uno specchio e a farlo «girare da ogni lato» per riprodurre in pochi istanti il mondo che ci circonda, «il sole e gli astri celesti» e poi la Terra e noi stessi e gli altri esseri viventi - e mostrarci così che si tratta di «oggetti apparenti, ma senza effettiva realtà», Aristotele ci dice che le imitazioni del poeta soni, rispetto alle narrazioni degli storici, «di maggiore fondamento teorico». In questa polarità fra effimera apparenza e verità filosofica sta già tutta iscritta la natura ossimorica del realismo: il cui progenitore semantico è il concetto di verosimiglianza, nella lunga filogenesi che si diparte dalla Poetica di Aristotele, passa attraverso l'Ars poetica oraziana, per poi riemergere con forza tra Umanesimo e Rinascimento e occupare saldamente da lì in avanti la scena delle discussioni teorico-poetiche fino alla fine del Settecento.
Ma, come dimostra assai bene Bertoni, la morte del precetto dell'imitatio naturae e della sua declinazione classicistica - l'imitatio antiquorum -, se segna la fine di un'epoca non per questo decreta la scomparsa dell'antica disputa circa lo statuto di verità della letteratura. Al contrario, la comparsa dei nuovi generi letterari, in primo luogo il 'romanzo moderno', non farà che rinfocolare la discussione intorno al rapporto tra scrittura letteraria e realtà. Sarà proprio quella che Henry James chiamava «favola senza regole» a riportare in primo piano l'eterna questione se la finzione poetica sia verità o menzogna. Se cioè il mimetismo esasperato del dettaglio, l'esplorazione del quotidiano, la lunga galleria di antieroi che popolano le narrazioni moderne a partire da quel campione insoddisfatto della «classe media» che è Robinson Crusoe fino all'Uomo senza qualità di Musil, debbano essere considerati una resa senza condizioni del «poeta» allo «storico» o non siano viceversa metamorfosi dell'eterna finzione poetica. In breve: se mimesis e poiesis siano due facce della stessa medaglia, come riteneva Aristotele, e come, ancora recentemente è stato ribadito da Ricoeur, o viceversa due attività antitetiche.
«Aggrappato alla realtà» (Gide) o invenzione di un mondo possibile (Leibniz), il romanzo ha avuto certamente il merito di illuminare l'ambiguità costitutiva di ogni creazione letteraria, quella di essere a un tempo artificio poetico e traduzione linguistica del mondo in cui viviamo. Un'ambiguità già insita nella nozione stessa di segno che, come spiega Bertoni, «per sua natura sprigiona ... due istanze opposte e compresenti (centrifuga e centripeta, transitiva e intransitiva, estensionale e intenzionale)», determinando la duplicità semantica del termine rappresentare, che significa tanto rappresentare qualcosa quanto rappresentarsi, mostrare l'atto della rappresentazione. La «conquista letteraria del quotidiano», come l'ha definita Auerbach, ha rimesso radicalmente in gioco l'equilibrio faticosamente raggiunto tra mimesis e poiesis sancito dalle poetiche normative del classicismo. Dal momento in cui il tema profano dell'amore ha sostituito l'altezza eroica della poesia epica, e i «nuovi cavalieri» di cui parla Hegel nell'Estetica hanno iniziato «a scontrarsi con il corso del mondo», il connubio s'è sciolto per sempre e all'esemplarità ideale dell'eroe si è sostituito un homo fictus spesso enigmatico e indecifrabile, indifeso e precario, assillato dal dubbi e preoccupato di dare un senso alla sua vita. È certo tuttavia che la missione innovativa del romanzo, rivendicata spesso con enfasi dai romanzieri del Settecento - si pensi alla «new province of writing» di Fielding - si appoggiava sulla convinzione che imitare la natura significasse non tanto riprodurre minutamente gli elementi del reale ma saper leggere le «connessioni nascoste» su cui si regge l'edificio del mondo. Il cambiamento di rotta operato dal novel e in particolare da quella sua declinazione tedesca che è il Bildungsroman, comporterà una cruciale trasformazione semantica del principio dell'imitatio in letteratura, ma certamente non il suo congedo. «Se il tanto celebrato principio mimetico - raccomanderà nel 1774 von Blanckenburg ai nuovi romanzieri - ha qualche significato non può che essere questo: nella connessione e nella disposizione delle vostre opere procedete così come procede la natura nell'istituire ordine e connessioni».
È difficile non essere d'accordo con Bertoni quando dichiara che «il problema del realismo è destinato a rimanere insoluto finché viene impostato in termini dicotomici (soggetto vs oggetto, autore vs mondo, linguaggio vs realtà)»; però è discutibile l'idea che dall'impasse si sia usciti grazie alla leibniziana «ontologia dei mondi possibili», che avrebbe reso possibile «una concezione dell'opera letteraria come alter mundus, non più 'specchio della natura' ma 'seconda
natura' creata dall'artista». Semmai la vera sfida, incorporata nella galleria di narrazioni romanzesche che si dirama a partire dal secolo dei lumi, sarà quella di vedere il possibile nella natura, nella storia, nella società e nella precaria costituzione dei tanti soggetti empirici, eroi loro malgrado di una comédie humaine sideralmente distante da quella «stirpe di titani» che popolava secondo Schelling le tragedie greche.
La «storia possibile» del rapporto tra realismo e letteratura brillantemente tracciata da Bertoni dimostra come le prove narrative più convincenti e durature - dal Don Chisciotte agli Elisir del diavolo (Hoffmann), fino alle Città invisibili di Calvino e a Underworld di DeLillo - siano tutte, con gradazioni diverse, costruzioni insieme realistiche e antirealistiche, ossia dispositivi in grado di condurre «al punto di rottura tutte le contraddizioni racchiuse in questa sfuggente, polimorfa, accanitamente fraintesa categoria critica, il cui significato sembra diluirsi con velocità pari alla sua travolgente espansione». Nel gioco delle prospettive incrociate in cui il reale viene osservato dalla distanza ironica della finzione, e la finzione nell'ottica della socratica «sostanza delle cose», si libera quell'energia che illumina la contingenza ambigua del mondo della vita.
Da ultimo un'osservazione sulla logica costruttiva del saggio. L'autore lo definisce un «viaggio articolato in tre tappe»: se la prima disegna la mappa teorica della questione, la seconda è una traiettoria diacronica attraverso la storia letteraria passata, del romanzo europeo in particolare, arricchita di campioni esegetici esemplificativi degli assunti teorici, mentre la terza è un tentativo di lettura del contemporaneo. Ne risulta un lavoro storico-sistematico, come si sarebbe detto un tempo, felicemente affrancato da ipoteche storicistiche e proprio perciò in grado di intensificare lo sguardo sul presente e sul futuro della letteratura.

“alias il manifesto”, 24 febbraio 2007

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