26.4.17

Dalla primavera della liberazione all'autunno degli assassini (Enrico Filippini)

Nel segno dell'uncino alla fine del novembre 1945, William L. Shirer, che negli anni Trenta era stato il corrispondente del Columbia Broadcasting System da Berlino e che nel 1941 aveva pubblicato in America un bellissimo Diario berlinese, tornò in Germania e si recò a Norimberga per assistere al processo a carico di ventun gerarchi del Reich millenario appena sprofondato. Il processo era cominciato il giorno 20, esattamente quarant'anni fa. "Li avevo spesso osservati", annota Shirer, "nell'ora della gloria e del potere, alle riunioni annuali del partito che si tenevano in quella città. Al tribunale internazionale, sul banco degli accusati essi presentavano un aspetto assai diverso: avevano subito una vera metamorfosi. In abiti piuttosto lisi, rannicchiati sui loro sedili e in preda a un'agitazione nervosa, avevano di certo ben poco degli arroganti capi di un tempo. Sembravano piuttosto un gruppo abbastanza uniforme di esseri mediocri. Riusciva difficile immaginare che questi uomini, l'ultima volta che li avevo visti, avevano nelle loro mani un potere così mostruoso da dominare la propria nazione e conquistare gran parte dell'Europa".
Chi fruga oggi, a quarant'anni di distanza - una distanza che sembra siderale fino all'irrealtà - nei materiali relativi a quel processo, ha la stessa sensazione: un gruppo uniforme di esseri mediocri; e non ha voglia di ricordare. Eppure in certi casi ricordare è doveroso, soprattutto ad uso di coloro che allora non calcavano ancora questa terra. E dunque: alle 22,10 del 21 maggio 1945 - la primavera del '45 fu tenera e radiosa - la radio di Amburgo interruppe la trasmissione della Settima sinfonia di Bruckner. Si udirono rullare tamburi militari, e poi uno speaker annunciò: "Il nostro Fhrer, Adolf Hitler, è caduto per la Germania questo pomeriggio nel suo quartier generale delle operazioni, alla Cancelleria del Reich, combattendo fino all'ultimo respiro contro il bolscevismo. Il 30 aprile il Fhurer ha nominato come suo successore il grand'ammiraglio Doenitz. Il grand'ammiraglio, successore del Fhurer, ora parlerà al popolo tedesco...". Il popolo tedesco non venne a conoscenza, nei venti giorni successivi, di ciò che stava succedendo; né sapeva che già da tempo alcuni dei suoi capi, per esempio Goering e Himmler, stavano in tutti i modi trafficando per contattare il comando alleato con lo scopo principale di salvare la propria pelle personale. Ho riletto ora nelle Memorie di Albert Speer la cronaca di quei venti giorni: è una risibile e umiliante cronaca di intrighi e di bassezze, non immaginabile nè a Londra nè a Mosca. Il popolo tedesco seppe però che alle 2,41 del mattino del 7 maggio, nella scuoletta di Reims, dove Eisenhower aveva installato il suo quartier generale, l'ammiraglio Friedenburg e il generale Jodl avevano firmato la resa incondizionata della Germania. Nelle due settimane successive, il governo Doenitz si vanificò.
Siamo al 20 novembre: la radiosa primavera è ormai lontana; sul cielo nero incombe il nero inverno del Nord. A Norimberga, nella storica città di Norimberga, contro il cielo nero si erge ancora il greve edificio di tre piani chiamato Justizpalast, a cui è accostata la prigione. Al primo piano c'è una grande sala decorata di marmo verde e di bassorilievi; le finestre sono chiuse da saracinesche. Su un palco, in fondo, il lungo tavolo dei giudici presieduti da Lord Lawrence; a destra i banchi dei Pubblici ministeri delle quattro potenze vincitrici: Robert Jackson (Usa), Roman Rudenko (Urss), Hartley Shawcross (Regno Unito), Franois de Menthon, poi Champetier de Ribes (Francia). Dietro di loro, i giornalisti e gli operatori delle "attualità" cinematografiche. Il Tribunale militare internazionale sta per cominciare i suoi lavori. Tuttavia, prima che il primo imputato sia fatto entrare, prima che la prima parola sia pronunciata, bisogna dire qualcosa su questo tribunale. L'idea di un tribunale internazionale era già contenuta nell' articolo 227 del trattato di Versailles e avrebbe dovuto funzionare contro i "criminali" della prima guerra mondiale. Poi non funzionò, perché il primo di quei criminali, Guglielmo II, si era rifugiato in Olanda; e gli olandesi rifiutarono sempre di consegnarlo agli alleati. L'idea fu ripresa a Londra nel 1941, poi formalizzata solennemente il 30 ottobre 1943, e infine prese corpo nello statuto (controfirmato l'8 agosto del 45) di un tribunale internazionale, che avrebbe dovuto giudicare i "crimini contro la pace", i "crimini di guerra", i "crimini contro l'umanità" commessi sia da persone ("capi, organizzatori, istigatori e complici"), sia da sei "organizzazioni" (dal governo del Terzo Reich alla Gestapo). Questa iniziativa suscitò una lunga discussione e una sterminata letteratura sulla sua legittimità giuridica. "Sì", spiega Norberto Bobbio, "perché indubbiamente si applicava il principio della retroattività, si applicava cioè una legge che non era scritta al momento in cui i presunti crimini erano stati commessi. Tuttavia bisogna dire che di fronte a certi misfatti occorre fare appello alle leggi non scritte del cosiddetto diritto naturale. Anche il diritto positivo, il diritto "posto" (per esempio le leggi del Terzo Reich) deve sottostare a queste leggi, quelle per cui Antigone si ribella al tiranno". È dunque una questione etica prima che giuridica? "In certo senso sì, una questione di etica generale".
Sono le 10,03 del 20 novembre, e il primo imputato viene fatto entrare. È Hermann Goering, maresciallo del Reich, il capo più importante dopo il Fhrer. In prigione è diminuito di molti chili e sta larghissimo dentro l'uniforme priva delle sue innumerevoli decorazioni; il comandante della prigione, il gigantesco e gioviale colonnello americano Andrus, lo ha disintossicato a viva forza dalla morfina e dalla paracodeina, che Goering era abituato a consumare in grande quantità. Per tutto il processo, il "grosso Hermann" dimagrito cercherà di essere all'altezza del suo ruolo: finalmente quello del Numero 1. Poi entrano, sempre uno a uno, gli altri venti. Sono solo venti perché gli altri si sono sottratti: Hitler, Goebbels, Himmler e Robert Ley (il capo del Fronte tedesco del lavoro) col suicidio, mentre il vice di Hitler, Martin Bormann, e il capo della Gestapo, Heinrich Muller, si sono volatilizzati nell'inferno berlinese. Ed eccoli qui, seduti in due file, ai loro posti minuziosamente studiati: in prima fila, dunque, Hermann Goering, accanto a lui il ministro degli esteri Joachim von Ribbentrop, poi Rudolf Hess, che simula la pazzia, poi Wilhelm Keitel, Alfred Rosenberg, Hans Frank, Wilhelm Frick, Julius Streicher, Walter Funk, Hjalmar Schacht. In seconda fila, Karl Doenitz, Erich Raeder, Baldur von Schirach, Fritz Saukel, Alfred Jodl, Franz von Papen, Arthur Seyss-Inquart, Albert Speer, Konstantin von Neurath, Hans Fritzsche. Manca Ernst Kaltenbrunner, perché ha avuto una piccola congestione cerebrale, ed arriverà qui nella sedia a rotelle tra qualche giorno. Già, ma chi sono, per esempio, Frank, Frick e Funk? La labile memoria trattiene le immagini di Hitler, di Goebbels, di Gring, dei demòni più spettacolari, ma ha obliterato i macellai di seconda fila. Diciamo allora, sommariamente, che Hans Frank era un giurista, che in molti modi si sforzò di creare un "diritto positivo" nazista fondato sul principio che il Fuhrer fosse l'unica fonte di legalità, che il 26 ottobre 1939 venne nominato governatore generale della Polonia e che come tale eliminò, cosa di cui egli si vanta anche nei 38 volumi del suo diario, circa due milioni di ebrei. Diciamo che Wilhelm Frick era stato l'amministratore generale del partito nazista, ministro degli Interni dal 1933 al 1943 e poi protettore della Boemia e della Moravia, di cui si era preoccupato di purificare sperma e sangue. Che Walter Funk era stato il consigliere finanziario di Hitler, ministro dell'economia e poi presidente di quella Reichsbank, nei cui forzieri vennero poi trovati, tra l'altro, milioni di denti d'oro strappati alle vittime di Auschwitz... Comparse, ma che comparse!
Non è possibile qui tributare a tutti quei ventun signori l'onore di una scheda. Tutti immaginavano, per dirla con le parole di Goering, che di lì a cinquant' anni il popolo tedesco avrebbe reso omaggio alle loro spoglie chiuse in sontuosi "sarcofaghi di marmo". Fortunatamente, non sembra che possa essere così. All'inizio del processo, tutti quei signori si dichiararono "non colpevoli", o almeno non colpevoli "nei termini dell'accusa". Tutti salvo uno: Albert Speer, che rispose tranquillamente, e nella costernazione dei suoi coimputati: "Schuldig". Le strategie difensive furono assai diverse, ma tutte fondate sull'elusione e sul tentativo di far ricadere le colpe sugli altri, magari sul vicino ch'era seduto lì. Ma legittimo o illegittimo che fosse, il tribunale aveva fatto un buon lavoro. Il processo di Norimberga fu soprattutto un processo di documenti: ne furono esibiti 5330 dall'accusa e dalla difesa. Siccome i capi nazisti, che avevano lavorato per l'eternità, avevano minuziosamente fatto stenografare tutti i particolari delle loro gesta, non era stato troppo difficile mettere insieme una documentazione che si rivelò per loro fatale. Il processo di Norimberga fu inoltre un processo di testimoni: 116 furono interrogati (tra gli altri, il maresciallo von Paulus, sconfitto a Stalingrado, e il comandante di Auschwitz) e 143 deposero per iscritto. Infine la corte ebbe modo di studiare circa 300.000 "affidavit", cioè dichiarazioni scritte sotto giuramento.
Di tutti questo, l'accusa seppe fare un uso adeguato. È interessante, interessante quanto deprimente, seguire nei documenti il comportamento degli imputati. Sfortunatamente i verbali coprono 16.000 pagine, ma tutto questo materiale è stato studiato di recente dal magistrato francese Serge Fuster (Casamayor), e abbastanza ben riassunto in un volume di Arkadi Poltorak edito in italiano da Teti, e in altre numerose pubblicazioni. Di estremo interesse è inoltre un vecchio libro intitolato The Nuremberg Diary, scritto da un ufficiale americano, il dottor Gilbert, che era uno psicologo funzionario dell'Internal Security Office e che aveva dunque la facoltà di conferire ad ogni momento privatamente con gli imputati. Anche qui: ci si aspetta chissà cosa, dalla psicologia di quei demòni. Invece è tutta acquetta: risentimento, astio, invidia, rabbia retrospettiva verso il vicino, pattume quotidiano, niente eternità. Goering decise di negare tutto: non era mai stato antisemita, non aveva mai saputo di cosucce come Dachau, era sempre stato pacifista...
I documenti e i testimoni dimostrarono che aveva commesso crimini di guerra tra il 1914 e il 1918, che aveva stabilito a partire dal 1927 i principali contatti tra il partito nazista e l'alta finanza, che nel 1933 aveva organizzato il famoso incendio del Reichstag, che poi aveva inventato le leggi speciali contro i comunisti, che nello stesso 1933 aveva organizzato la "notte dei lunghi coltelli" per eliminare l' avversario Ernst Rhm, che nel 1938 aveva organizzato la famosa "Kristallnacht", in cui migliaia di negozi ebraici vennero distrutti e saccheggiati in tutta la Germania, che aveva contribuito al progetto della "soluzione finale", che aveva progettato l'annessione dell' Austria e della Cecoslovacchia nonché l'invasione della Polonia, che era al corrente e che anzi aveva stimolato il "lavoro" dei campi di sterminio... L'interrogatorio di Goering durò dieci giorni, rivelò intrighi, furti, nefandezze che nemmeno Bertolt Brecht sarebbe riuscito a immaginare. Del potere politico, che contiene sempre qualche dose di criminalità, Gring rappresentava sfrontatamente la criminalità allo stato puro, e da questo punto di vista è ancora oggi di un interesse estremo. Kaltenbrunner - e chi era Kaltnbrunner? - arrivò sulla sedia a rotelle il 10 dicembre. Impressionò subito la corte e i giornalisti non solo perchè era un gigante ossuto e munito di una formidabile mascella, ma anche per la sua dichiarazione: "Approvo di tutto cuore l' idea che lo sterminio dei popoli deve essere condannato come criminale da un accordo internazionale, e severamente punito". Quando Hitler era morto ed era cominciato il fuggi-fuggi dei gerarchi, lui si era rifugiato nella roccaforte di Altaussee, aveva trasformato un albergo in ospedale per le SS ferite e lì si era mimetizzato con l' idea di farsi fare una plastica facciale. Ma timoroso di essere scoperto, si era poi avviato a piedi su per le Alpi e aveva trovato rifugio in una baita nella neve. Lì venne arrestato, perchè era stato tradito dal famoso Otto Skorzeny, il liberatore di Mussolini. Ma chi era, Kaltenbrunner? All'inizio era stato un avvocato viennese entusiasta dell' Anschluss. Alla fine era stato il direttore dell' RSHA, l'Ufficio centrale di sicurezza del Reich, da cui dipendevano la Gestapo, l' SD e la polizia criminale. In pratica, il secondo di Himmler, non meno potente di lui, il signore di Auschwitz, di Mauthausen, di Treblinka e degli altri noti santuari del Terzo Reich. Quando iniziò la sua deposizione, tutti gli altri imputati gli voltarono la schiena. E che disse Kaltenbrunner nella sua deposizione a quel processo che approvava "di tutto cuore"? Disse che di tutte quelle cose lui non sapeva niente... Come ho già detto, l' unico imputato che si dichiarò colpevole fu Speer. Disse anche, impressionando il tribunale, di aver pensato di ammazzare Hitler, ma di non esserci riuscito. Nelle sue Memorie (edite da Mondadori), spiega a lungo il suo atteggiamento. Speer, che era stato l' "architetto di Hitler" e poi il suo ministro degli Armamenti, è forse il più noto dei gerarchi nazisti perchè era il più giovane e perchè a Norimberga venne condannato a soli vent' anni di prigione. Li trascorse a Spandau insieme con Hess; ne uscì nel 1966 e fu prodigo di libri e di interviste. Piaceva alla stampa occidentale perchè era intelligente, elegante e "democratico"; Io stesso ebbi purtroppo l' occasione di intervistarlo. Mi ricordo che durante l' intervista nella sua bella casa sulla collina di Heidelberg, gli rumoreggiava l' intestino, e che quel brontolio a me pareva come l' ultima eco del Wahlhalla nazista. Mi disse, con intelligenza e cortesia un bel po' di banalità. Io me ne andai con la sensazione di aver parlato col peggior figlio di puttana che avrei mai incontrato nella vita, di essermi imbattuto nell' intelligenza più viziosa che si possa immaginare. Quando fu il suo turno, Speer negò. Ammise di avere sfruttato mano d' opera prigioniera nell' industria militare, ma disse di non aver mai saputo dell' esistenza dei campi di sterminio. Sfortunatamente, il pubblico ministero sovietico, Rudenko, demolì a furia di fotografie le sue argomentazioni e lo ricacciò con ignominia nel mucchio dell' "uniforme mediocrità"... Non parleremo qui di tutti gli altri. Il processo ebbe 403 udienze, consumò cinque milioni di fogli di carta, pari a 200 tonnellate, 27.000 metri di pellicola e 7.000 lastre fotografiche. Al processo vennero esibite teste mummificate, saponette fatte con ossa umane, lampade di pelle, sempre umana, documentari terrificanti... Quando venne un altro autunno e il cielo nordico di nuovo si oscurò, il 1 ottobre 1946, il processo era finito. Il tribunale emanò dodici condanne a morte per impiccagione (Gring, Ribbentrop, Keitel, Rosenberg, Kaltenbrunner, Frick, Streicher, Saukel, Jodl, Seyss-Inquart e Bormann contumace), tre ergastoli (Hess, Funk e Raeder), quattro condanne a pene detentive (Schirach, Speer, Neurath e Dnitz). Incredibilmente mandò assolti Schacht, Fritzsche e quel von Papen, che all' ascesa di Hitler aveva contribuito con tutte le arti del "politico borghese" e dell' intrigante. Gring si suicidò col cianuro due ore prima dell' esecuzione. Le altre sentenze capitali furono eseguite a partire dall' 1,11 del mattino del 16 ottobre. Il primo fu Ribbentrop, l' ultimo fu Seyss-Inquart. Erano le 2,48 e nevicava. Il boia americano, John C. Woods, Texas, si compiacque di essersela sbrigata in meno di cento minuti. Chiedo a Bobbio: "Problemi giuridici a parte, se lei che è professore di filosofia del diritto fosse stato invitato a partecipare a quel processo, avrebbe accettato?". Risposta: "Con la passione di allora, certamente sì. Non posso dimenticare la scoperta di quel demonismo nella storia. Spesso mi dico che ho avuto la ventura di vivere, da uomo già maturo, un' esperienza che mi ha segnato per sempre. E ogni tanto, come in un soprassalto, vengo preso dal terrore che tutto si ripeta".


“la Repubblica”, 19 novembre 1985  

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