24.4.17

Don Ciotti. L'etica dell'impegno nel tempo della crisi (Loris Campetti)

Un profilo – a mio avviso assolutamente corrispondente, allora e adesso, alla reale fisionomia del fondatore del Gruppo Abele, Luigi Ciotti - scritto in occasione della pubblicazione di un suo libretto, 5 anni fa. (S.L.L.)

Solo chi non conosce don Luigi Ciotti può pensare che quel suo continuo richiamo al noi contrapposto all’io nasconda un vezzo, un modo accattivante per richiamare l’attenzione di chi lo ascolta o lo legge. Il fondatore del Gruppo Abele e, insieme ad altri volenterosi, irriducibili militanti della legalità, di Libera, è fatto di una farina speciale, non nasconde doppie verità, è uguale a quel che sembra. Ciotti non concepisce un lavoro, una ricerca, una battaglia che non siano condotte in gruppo. Vittorie e sconfitte non hanno mai un solo padre nella sua esperienza.
È un tratto fondativo questo, che colloca l’impegno contro le mafie e le droghe al fianco delle vittime di mafie e droghe, non fuori da un mondo che sempre più si è abituato alla delega al capo, al potere, all’uomo della provvidenza, ma dentro questo mondo. Come un anticorpo, un altro modo di vivere e pensare il futuro capace di rosicchiare banalità e false certezze, l’opposto della telepredicazione. Non è sufficiente denunciare l’ingiustizia, bisogna costruire un’alternativa, praticare un altro modo d’essere. Per intenderci, si può tradurre questa concezione con «indignarsi non basta», come non basta «riempire le piazze, esibire mani pulite, un profilo morale trasparente. L’etica individuale è la base di tutto... ma per fermare il mercato delle false speranze bisogna trasformare la denuncia dell’ingiustizia in un impegno per costruire giustizia».
La speranza non è in vendita? (Giunti/edizioni GruppoAbele, pp. 126, euro 10) è una sorta di decalogo dell’impegno, un approccio attivo e non lamentoso allo stato di cose esistente. Un libro costruito dentro la devastante crisi economica che rischia di spezzare legami e percorsi collettivi, valori e socialità. In sostanza, la crisi e la risposta alla crisi basata sulla medesima filosofia che l’ha scatenata e affidata agli stessi uomini che ne sono responsabili, alimentano nuova ingiustizia.
Don Ciotti trae alimento dal Vangelo nei suoi messaggi di speranza («beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati») e nei suoi duri avvertimenti («guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame»). Può sembrare persino banale eppure non lo è, in un sistema di relazioni che Stefano Benni riassumerebbe così: «Chiedete giustizia e sarete giustiziati».
Ciotti ci offre la sua esperienza, che lo porta a leggere la crisi come «scandalo», si rivolge a «chi ha fede (fiducia) nelle persone. Credente o laico che sia», e infatti i suoi compagni di viaggio sono credenti e laici.
Dentro la crisi si leggono le trasformazioni, le nuove parole, dentro un processo degenerativo che prima produce povertà e disagio e poi ne punisce le vittime: «Ed è stato un fiorire di case di correzione, di ospedali, di depositi di mendicità, di prigioni», mentre «i diritti diventano una zavorra». All’elenco antico degli ultimi della Terra che ricorda un vecchio canto socialista («son nostre figlie/ le prostitute/ che muoion tisiche/ negli ospedal»), ai tossicodipendenti, ai migranti, si affiancano nuovi poveri e nuovi espropriati dei diritti. Primi fra tutti i lavoratori, costretti a scegliere tra lavoro e diritti.
Tra le parole di questo «decalogo» ce n’è una che spiega molto bene di cosa si stia parlando: «interazione», contrapposta all’idea di «integrazione» che rasenta una nuova concezione colonialista. Anche l’eguaglianza va interpretata: si è uguali come cittadini e diversi come persone, pensa don Ciotti. Così come la libertà è, innanzitutto, libertà dal bisogno. Ai resistenti al Vangelo, La speranza non è in vendita? suggerisce un altro testo di formazione e di riferimento, la Costituzione. Tutti i tentativi finora messi in campo per modificarla vanno in direzione della riduzione delle libertà, civili e sociali, dunque in direzione opposta alla costruzione di un percorso di eguaglianza.
Se le parole d’ordine, in fondo, non si discostano da quelle contenute nei classici si cui si era costruita la sinistra, è la pratica di don Ciotti, delle esperienze del Gruppo Abele e di Libera, a chiamare a ruolo chi, a sinistra, quei fondamentali ha perduto per strada, o si limita a evocarli per pacificare la propria coscienza. Una Chiesa che non «interferisca», ci dice, non è.
Vale soltanto per la Chiesa?


“il manifesto”, 10 gennaio 2012

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