Un profilo – a mio
avviso assolutamente corrispondente, allora e adesso, alla reale
fisionomia del fondatore del Gruppo Abele, Luigi Ciotti - scritto in
occasione della pubblicazione di un suo libretto, 5 anni fa. (S.L.L.)
Solo chi non conosce don
Luigi Ciotti può pensare che quel suo continuo richiamo al noi
contrapposto all’io nasconda un vezzo, un modo accattivante
per richiamare l’attenzione di chi lo ascolta o lo legge. Il
fondatore del Gruppo Abele e, insieme ad altri volenterosi,
irriducibili militanti della legalità, di Libera, è fatto di una
farina speciale, non nasconde doppie verità, è uguale a quel che
sembra. Ciotti non concepisce un lavoro, una ricerca, una battaglia
che non siano condotte in gruppo. Vittorie e sconfitte non hanno mai
un solo padre nella sua esperienza.
È un tratto fondativo
questo, che colloca l’impegno contro le mafie e le droghe al fianco
delle vittime di mafie e droghe, non fuori da un mondo che sempre più
si è abituato alla delega al capo, al potere, all’uomo della
provvidenza, ma dentro questo mondo. Come un anticorpo, un altro modo
di vivere e pensare il futuro capace di rosicchiare banalità e false
certezze, l’opposto della telepredicazione. Non è sufficiente
denunciare l’ingiustizia, bisogna costruire un’alternativa,
praticare un altro modo d’essere. Per intenderci, si può tradurre
questa concezione con «indignarsi non basta», come non basta
«riempire le piazze, esibire mani pulite, un profilo morale
trasparente. L’etica individuale è la base di tutto... ma per
fermare il mercato delle false speranze bisogna trasformare la
denuncia dell’ingiustizia in un impegno per costruire giustizia».
La speranza non è in
vendita? (Giunti/edizioni GruppoAbele, pp. 126, euro 10) è una
sorta di decalogo dell’impegno, un approccio attivo e non lamentoso
allo stato di cose esistente. Un libro costruito dentro la devastante
crisi economica che rischia di spezzare legami e percorsi collettivi,
valori e socialità. In sostanza, la crisi e la risposta alla crisi
basata sulla medesima filosofia che l’ha scatenata e affidata agli
stessi uomini che ne sono responsabili, alimentano nuova ingiustizia.
Don Ciotti trae alimento
dal Vangelo nei suoi messaggi di speranza («beati voi, che ora avete
fame, perché sarete saziati») e nei suoi duri avvertimenti («guai
a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame»). Può sembrare
persino banale eppure non lo è, in un sistema di relazioni che
Stefano Benni riassumerebbe così: «Chiedete giustizia e sarete
giustiziati».
Ciotti ci offre la sua
esperienza, che lo porta a leggere la crisi come «scandalo», si
rivolge a «chi ha fede (fiducia) nelle persone. Credente o laico che
sia», e infatti i suoi compagni di viaggio sono credenti e laici.
Dentro la crisi si
leggono le trasformazioni, le nuove parole, dentro un processo
degenerativo che prima produce povertà e disagio e poi ne punisce le
vittime: «Ed è stato un fiorire di case di correzione, di ospedali,
di depositi di mendicità, di prigioni», mentre «i diritti
diventano una zavorra». All’elenco antico degli ultimi della Terra
che ricorda un vecchio canto socialista («son nostre figlie/ le
prostitute/ che muoion tisiche/ negli ospedal»), ai
tossicodipendenti, ai migranti, si affiancano nuovi poveri e nuovi
espropriati dei diritti. Primi fra tutti i lavoratori, costretti a
scegliere tra lavoro e diritti.
Tra le parole di questo
«decalogo» ce n’è una che spiega molto bene di cosa si stia
parlando: «interazione», contrapposta all’idea di «integrazione»
che rasenta una nuova concezione colonialista. Anche l’eguaglianza
va interpretata: si è uguali come cittadini e diversi come persone,
pensa don Ciotti. Così come la libertà è, innanzitutto, libertà
dal bisogno. Ai resistenti al Vangelo, La speranza non è in
vendita? suggerisce un altro testo di formazione e di
riferimento, la Costituzione. Tutti i tentativi finora messi in campo
per modificarla vanno in direzione della riduzione delle libertà,
civili e sociali, dunque in direzione opposta alla costruzione di un
percorso di eguaglianza.
Se le parole d’ordine,
in fondo, non si discostano da quelle contenute nei classici si cui
si era costruita la sinistra, è la pratica di don Ciotti, delle
esperienze del Gruppo Abele e di Libera, a chiamare a ruolo chi, a
sinistra, quei fondamentali ha perduto per strada, o si limita a
evocarli per pacificare la propria coscienza. Una Chiesa che non
«interferisca», ci dice, non è.
Vale soltanto per la
Chiesa?
“il manifesto”, 10
gennaio 2012
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