In Ida Magli, secondo me,
c'è stata una involuzione. Capita. L'essere una antropologa di
genio, spregiudicata e laica non salva da involuzioni conservatrici o
addirittura reazionarie (L'intelligenza resta comunque grande anche
nella Magli reazionaria e antieuropea, e perciò anche dai suoi libri
recenti si può attingerne.)
Io faccio partire
l'involuzione dal libro sul pene e sulla sessualità maschile,
proiettiva e progettuale, che la Magli scrisse sul finire degli anni
80 del Novecento. All'inizio di quel decennio risale invece il libro
su Gesù di cui qui discorre in una recensione per “il manifesto”
Marco Belpoliti. Il Gesù liberatore della Magli continua ad essere
una figura degna di attenzione e fonte di stimoli, ma trovo molto
attuali anche le riflessioni finali sul “sacro” di Marco
Belpoliti, in un contesto culturale in cui il Papa cattolico si
sforza di dare fondamento cristiano ai valori egualitari del
progressismo laico novecentesco (con tutti i rischi di
“desacralizzazione” che ciò comporta) e in cui non mancano
sacche di evidente regressione al sacro preindustriale e ai suoi
tabù. (S.L.L.)
Un Gesù in buona
salute,
maestro di
liberazione laica?
Marco
Belpoliti
Innumerevoli volte la
figura di Gesù di Nazareth è stata oggetto di interpretazioni, in
chiave esegetica, teologica o filosofica. Da esse sono scaturite, di
volta in volta, movimenti ereticali, a riforme religiose, nuove linee
di riflessione sul rapporto tra l’uomo e il divino. Oggi una donna,
un’antropologa, tenta, con gli strumenti che le fornisce la scienza
da lei praticata, una interpretazione di Gesù (Gesù di Nazareth,
Rizzoli, pp. 174, lire 9 mila), che è insieme una analisi della
cultura che dal cristianesimo è scaturita. Il Gesù che Ida Magli
ricostruisce, sul filo di una lettura antropologica dei vangeli, è
un uomo volto «ad eliminare il livello ’’simbolico” della
cultura ebraica, portandola alle sue estreme conseguenze». Il
sottotitolo del libro è esplicito in questo: «Tabu e
trasgressione». Gesù ha Infranto i tabu religiosi della
sua epoca, ha ribaltato il rapporto col sacro e la sua concezione del
tempo, ha tolto dalla loro sottomissione culturale le donne, e ha
fornito una proposta di un amore umano infinito e liberante, una
possibilità diversa di un rapporto col divino.
La Magli muove dal
fondamentale rifiuto del sacro operato da Gesù, di un sacro inteso
come potenza che nella sua codificazione circonda e imprigiona l’uomo
nel recinto delle religioni. Il sacro riguarda infatti due potenze
fascinose e terribili, con cui l’uomo entra in contatto: la morte e
il sesso. Di fronte ad esse, allo scopo di respingerne la carica
negativa che vi è implicita, l’uomo produce norme, limiti,
istituzioni, che ne racchiudono la potenza. La conclusione a cui
giunge la Magli è che Gesù «affermando che la potenza è
dipendente soltanto dall’uomo, “posta” dall’uomo, esclude che
ci sia bisogno di “norme”, anzi le norme sono dei legami
intollerabili proprio perché delimitano la libertà del rapporto con
Dio che è dentro l’uomo».
Per giungere a questa
conclusione la Magli interpreta Gesù in contrapposizione alla
cultura ebraica, la quale è da lei completamente identificata con la
prassi religiosa. Nell’ebraismo il momento della perfezione
originaria, che è il momento fondativo di tutte le religioni e a cui
esse tornano, è perso per sempre a causa della caduta, e il tempo
futuro è tempo d’attesa, una attesa che non verrà mai colmata.
Gli ebrei tentano perciò di accerchiare il sacro attraverso una
frenetica ritualizzazione della loro vita.
La coppia puro-impuro,
che costituisce una delle manifestazioni preponderanti del sacro, è
dissolta dalla stessa predicazione di Gesù. Così anche la potenza
che scaturisce dalla parola sacra (la preghiera, l’invocazione, la
benedizione), insieme al «silenzio» e all'«impotenza» delle
donne, è superata dalla trasgressione del rituale attuata da Gesù.
La Magli si sofferma a
lungo sui tabu riguardanti il corpo della donna, per mostrare i
meccanismi attraverso cui essa è «separata». Nella terza parte del
libro, intitolata «L’odio come amore», l’autrice affronta il
problema del sacrificio e della vittima sacrificale, offrendone una
nuova interpretazione antropologica. A differenza di quanto sostiene
lostudioso francese del sacro René Girard nel suo ultimo libro (Le
bouc émissaire «Il capro espiatorio», Grasset) la Magli
ritiene che Gesù superò la concezione sacrificale delle religioni,
in quanto oltrepassò la concezione di un rapporto di disparità tra
l’uomo e Dio, e stabilì l’assoluta intenzionalità dell’atto
di amore verso l’altro.
Questo sancisce la fine
del rapporto reciproco tra gli uomini, basato sulla coppia
dare-avere. Scrive l’autrice, a partire dalle tesi del fenomenologo
delle religioni Van de Leeuw, che gli uomini stabiliscono un rapporto
tra loro in termini di «sacrificalità»: cioè intorno a una
alleanza pattuita attraverso un sacrificio, ad esempio quello con cui
una tribù rinuncia alle proprie donne per scambiarle con gli altri
gruppi sociali, e viceversa. «Gesù, conclude la Magli, cancellò il
presupposto fondamentale: che fosse necessaria la vittima
sacrificale».
Esiste, secondo
l’autrice, una stretta connessione tra l’uccisione, il sacrificio
e il rapporto sessuale, e tutti e tre si legano saldamente alla
morte. Scrive l’autrice: «il potere è sempre ’’sacro” e si
esprime nella richiesta sacrificale, nella ’’potenza”
dell’offerta e dell'uccisione di una vittima. ’’Sacrificio” e
il ’’potere” sono dunque inscindibili l’uno dall’altro. Ma
il ’’gioco” simbolico che li sostiene è comunque un gioco di
morte». Il libro si muove intorno alla tesi di una demistificazione
della sacralità del potere detenuto dal maschi, e il Gesù che ne
emerge è una figura liberatrice, modernamente laica e realizzatrice
di un umanesimo che restituisce valore all’individuo. Nell’analisi
della cultura moderna che sottintende il suo lavoro, la Magli ne
sottolinea l’eredità ebraica, passata anche in figure come Marx e
Freud, e mette in luce la continuità tra cristianesimo ed ebraismo.
È attraverso di essi che il sacro si è potuto mantenere in
occidente, e si sono operate quelle differenze e separazioni che si
rivelano soprattutto attraverso l’esame della condizione della
donna.
L’interpretazione
complessiva della Magli, che ho cercato qui di riassumere nelle sue
principali linee, si presta ad alcune obiezioni. Supposto, come
l’autrice fa, che il sacro continui ad esistere là dove permane
una espressione di potenza e che dunque oggi in occidente il sacro
non si sia eclissato, viene da chiedersi se mai quella potenza potrà
essere eliminata: Il sacro presenta infatti una doppia faccia, una
ambivalenza; la sua stessa forza risiede in questa duplicità. Gli
uomini hanno inteso raffigurare nel sacro ogni nozione o avvenimento
«pericoloso» che andavano scoprendo in se stessi e nel mondo che li
circondava si fronte alla morte — il massimo «pericolo» che ogni
uomo incontra — l’umanità è stata, e probabilmente sarà,
sempre impotente. Per fronteggiarla, con un atto che si può definire
culturalmente creativo, essa ha inventato il sacro. Del resto la
cultura umana vista sotto un certo aspetto si può definire una
risposta biologica ai problemi della sopravvivenza e della morte.
Si deve dunque rinunciare
ad ogni simbolizzazione? Qualunque sia la nostra opinione in merito,
oggi noi lo stiamo già facendo. Ciascuno, infatti, può riscontrare
nella propria esperienza personale la scomparsa o l’irrilevanza dei
simboli che riguardavano, nel nostro non lontano passato, ad esempio
la malattia e la morte, e che guidavano molti dei comportamenti
dinanzi ad essi. Quotidianamente facciamo l’esperienza della
confusione e del disorientamento che emerge dall’abbattimento di
quella foresta di simboli che la cultura umana aveva costruito in
millenni. È un destino inarrestabile. L’assenza di riti e di
simbologie consapevoli rende smarriti, anche se è vero che molti di
questi riti continuano ad esistere inconsciamente, in numerose
manifestazioni sociali.
Si può ricollegare ai
temi sollevati dalla Magli un episodio narrato in una nota del loro
libro sulla nostalgia (A mezza parete, Einaudi) da Delia
Frigessi Castelnuovo e Michele Risso. Uno studente di un paese del
terzo mondo, dopo un soggiorno in Europa, torna a casa. È diventato
sindacalista, ma questo nuovo ruolo gli provoca seri conflitti che lo
conducono alla psicosi. Curato da una maga locale secondo spiegazioni
spiritiche, viene «guarito». Abbandonato il nuovo lavoro, egli
ritorna all’interno della sua cultura tradizionale. Certamente
l’evasione da essa è fallita, e con ogni probabilità questa
cultura come molte altre pratica o praticava l’esclusione delle
donne. Ed è anche vero che il conflitto è scaturito nel momento in
cui egli si è allontanato da essa. Ma facciamo l’ipotesi che non
gli fosse stato possibile «tornare a casa». Cosa sarebbe accaduto?
Sarebbe forse rimasto per sempre uno psicotico, curato in un ospedale
occidentale, forse in un reparto dal niente affatto ironico nome di
«diagnosi e cure»?
Noi non abbiamo questo
problema; il nostro è, per alcuni tratti, probabilmente peggiore,
dato che la nostra cultura tradizionale è stata inesorabilmente
spazzata via, e non si è ancora ricostituita una nuova cultura con
rituali di integrazione sociale. Forse sarà questione di due o tre
generazioni, ma nel frattempo che fare? E come sarà questa«nuova
cultura»? Per chi vive in una società industriale si pone ancora il
problema di dominare il «negativo» che sorge nella vita quotidiana.
Nella stessa ipotesi, «laica», che ci propone con molta forza Ida
Magli, di un mondo desacralizzato, non è assente, come doppio, come
parte rimossa, quel «negativo» che ognuno di noi conosce
personalmente nei suoi fantasmi di malattia e di morte, e che si
manifesta, tanto per fare nomi, nella rimozione sociale e nel
silenzio che circonda il cancro?
Questi fantasmi non
sembrano eliminabili in una società come la nostra, e neppure più
simbolizzabili a livello di massa, nonostante che la psicanalisi lo
abbia tentato, sul piano individuale: ma il suo è, per l’appunto,
e per esplicita ammissione del suo fondatore, un tentativo che
riguarda solo chi si stende sul lettino. Non si può certo negare che
viviamo in una realtà che presenta notevoli manifestazioni di
disagio psichico e di disintegrazione sociale, così come non si può
negare che per far fronte a questo abbiamo ancora, sul piano
terapeutico, strumenti non socialmente simbolizzabili. Che sia questo
il presso da pagare alla civiltà industriale?
"il manifesto", 16 settembre 1982
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