7.5.17

Gesù nel Novecento. Una lettura degli anni 80 (Marco Belpoliti recensisce Ida Magli)

In Ida Magli, secondo me, c'è stata una involuzione. Capita. L'essere una antropologa di genio, spregiudicata e laica non salva da involuzioni conservatrici o addirittura reazionarie (L'intelligenza resta comunque grande anche nella Magli reazionaria e antieuropea, e perciò anche dai suoi libri recenti si può attingerne.)
Io faccio partire l'involuzione dal libro sul pene e sulla sessualità maschile, proiettiva e progettuale, che la Magli scrisse sul finire degli anni 80 del Novecento. All'inizio di quel decennio risale invece il libro su Gesù di cui qui discorre in una recensione per “il manifesto” Marco Belpoliti. Il Gesù liberatore della Magli continua ad essere una figura degna di attenzione e fonte di stimoli, ma trovo molto attuali anche le riflessioni finali sul “sacro” di Marco Belpoliti, in un contesto culturale in cui il Papa cattolico si sforza di dare fondamento cristiano ai valori egualitari del progressismo laico novecentesco (con tutti i rischi di “desacralizzazione” che ciò comporta) e in cui non mancano sacche di evidente regressione al sacro preindustriale e ai suoi tabù. (S.L.L.)

Un Gesù in buona salute,
maestro di liberazione laica?
Marco Belpoliti
Innumerevoli volte la figura di Gesù di Nazareth è stata oggetto di interpretazioni, in chiave esegetica, teologica o filosofica. Da esse sono scaturite, di volta in volta, movimenti ereticali, a riforme religiose, nuove linee di riflessione sul rapporto tra l’uomo e il divino. Oggi una donna, un’antropologa, tenta, con gli strumenti che le fornisce la scienza da lei praticata, una interpretazione di Gesù (Gesù di Nazareth, Rizzoli, pp. 174, lire 9 mila), che è insieme una analisi della cultura che dal cristianesimo è scaturita. Il Gesù che Ida Magli ricostruisce, sul filo di una lettura antropologica dei vangeli, è un uomo volto «ad eliminare il livello ’’simbolico” della cultura ebraica, portandola alle sue estreme conseguenze». Il sottotitolo del libro è esplicito in questo: «Tabu e trasgressione». Gesù ha Infranto i tabu religiosi della sua epoca, ha ribaltato il rapporto col sacro e la sua concezione del tempo, ha tolto dalla loro sottomissione culturale le donne, e ha fornito una proposta di un amore umano infinito e liberante, una possibilità diversa di un rapporto col divino.
La Magli muove dal fondamentale rifiuto del sacro operato da Gesù, di un sacro inteso come potenza che nella sua codificazione circonda e imprigiona l’uomo nel recinto delle religioni. Il sacro riguarda infatti due potenze fascinose e terribili, con cui l’uomo entra in contatto: la morte e il sesso. Di fronte ad esse, allo scopo di respingerne la carica negativa che vi è implicita, l’uomo produce norme, limiti, istituzioni, che ne racchiudono la potenza. La conclusione a cui giunge la Magli è che Gesù «affermando che la potenza è dipendente soltanto dall’uomo, “posta” dall’uomo, esclude che ci sia bisogno di “norme”, anzi le norme sono dei legami intollerabili proprio perché delimitano la libertà del rapporto con Dio che è dentro l’uomo».
Per giungere a questa conclusione la Magli interpreta Gesù in contrapposizione alla cultura ebraica, la quale è da lei completamente identificata con la prassi religiosa. Nell’ebraismo il momento della perfezione originaria, che è il momento fondativo di tutte le religioni e a cui esse tornano, è perso per sempre a causa della caduta, e il tempo futuro è tempo d’attesa, una attesa che non verrà mai colmata. Gli ebrei tentano perciò di accerchiare il sacro attraverso una frenetica ritualizzazione della loro vita.
La coppia puro-impuro, che costituisce una delle manifestazioni preponderanti del sacro, è dissolta dalla stessa predicazione di Gesù. Così anche la potenza che scaturisce dalla parola sacra (la preghiera, l’invocazione, la benedizione), insieme al «silenzio» e all'«impotenza» delle donne, è superata dalla trasgressione del rituale attuata da Gesù.
La Magli si sofferma a lungo sui tabu riguardanti il corpo della donna, per mostrare i meccanismi attraverso cui essa è «separata». Nella terza parte del libro, intitolata «L’odio come amore», l’autrice affronta il problema del sacrificio e della vittima sacrificale, offrendone una nuova interpretazione antropologica. A differenza di quanto sostiene lostudioso francese del sacro René Girard nel suo ultimo libro (Le bouc émissaire «Il capro espiatorio», Grasset) la Magli ritiene che Gesù superò la concezione sacrificale delle religioni, in quanto oltrepassò la concezione di un rapporto di disparità tra l’uomo e Dio, e stabilì l’assoluta intenzionalità dell’atto di amore verso l’altro.
Questo sancisce la fine del rapporto reciproco tra gli uomini, basato sulla coppia dare-avere. Scrive l’autrice, a partire dalle tesi del fenomenologo delle religioni Van de Leeuw, che gli uomini stabiliscono un rapporto tra loro in termini di «sacrificalità»: cioè intorno a una alleanza pattuita attraverso un sacrificio, ad esempio quello con cui una tribù rinuncia alle proprie donne per scambiarle con gli altri gruppi sociali, e viceversa. «Gesù, conclude la Magli, cancellò il presupposto fondamentale: che fosse necessaria la vittima sacrificale».
Esiste, secondo l’autrice, una stretta connessione tra l’uccisione, il sacrificio e il rapporto sessuale, e tutti e tre si legano saldamente alla morte. Scrive l’autrice: «il potere è sempre ’’sacro” e si esprime nella richiesta sacrificale, nella ’’potenza” dell’offerta e dell'uccisione di una vittima. ’’Sacrificio” e il ’’potere” sono dunque inscindibili l’uno dall’altro. Ma il ’’gioco” simbolico che li sostiene è comunque un gioco di morte». Il libro si muove intorno alla tesi di una demistificazione della sacralità del potere detenuto dal maschi, e il Gesù che ne emerge è una figura liberatrice, modernamente laica e realizzatrice di un umanesimo che restituisce valore all’individuo. Nell’analisi della cultura moderna che sottintende il suo lavoro, la Magli ne sottolinea l’eredità ebraica, passata anche in figure come Marx e Freud, e mette in luce la continuità tra cristianesimo ed ebraismo. È attraverso di essi che il sacro si è potuto mantenere in occidente, e si sono operate quelle differenze e separazioni che si rivelano soprattutto attraverso l’esame della condizione della donna.
L’interpretazione complessiva della Magli, che ho cercato qui di riassumere nelle sue principali linee, si presta ad alcune obiezioni. Supposto, come l’autrice fa, che il sacro continui ad esistere là dove permane una espressione di potenza e che dunque oggi in occidente il sacro non si sia eclissato, viene da chiedersi se mai quella potenza potrà essere eliminata: Il sacro presenta infatti una doppia faccia, una ambivalenza; la sua stessa forza risiede in questa duplicità. Gli uomini hanno inteso raffigurare nel sacro ogni nozione o avvenimento «pericoloso» che andavano scoprendo in se stessi e nel mondo che li circondava si fronte alla morte — il massimo «pericolo» che ogni uomo incontra — l’umanità è stata, e probabilmente sarà, sempre impotente. Per fronteggiarla, con un atto che si può definire culturalmente creativo, essa ha inventato il sacro. Del resto la cultura umana vista sotto un certo aspetto si può definire una risposta biologica ai problemi della sopravvivenza e della morte.
Si deve dunque rinunciare ad ogni simbolizzazione? Qualunque sia la nostra opinione in merito, oggi noi lo stiamo già facendo. Ciascuno, infatti, può riscontrare nella propria esperienza personale la scomparsa o l’irrilevanza dei simboli che riguardavano, nel nostro non lontano passato, ad esempio la malattia e la morte, e che guidavano molti dei comportamenti dinanzi ad essi. Quotidianamente facciamo l’esperienza della confusione e del disorientamento che emerge dall’abbattimento di quella foresta di simboli che la cultura umana aveva costruito in millenni. È un destino inarrestabile. L’assenza di riti e di simbologie consapevoli rende smarriti, anche se è vero che molti di questi riti continuano ad esistere inconsciamente, in numerose manifestazioni sociali.
Si può ricollegare ai temi sollevati dalla Magli un episodio narrato in una nota del loro libro sulla nostalgia (A mezza parete, Einaudi) da Delia Frigessi Castelnuovo e Michele Risso. Uno studente di un paese del terzo mondo, dopo un soggiorno in Europa, torna a casa. È diventato sindacalista, ma questo nuovo ruolo gli provoca seri conflitti che lo conducono alla psicosi. Curato da una maga locale secondo spiegazioni spiritiche, viene «guarito». Abbandonato il nuovo lavoro, egli ritorna all’interno della sua cultura tradizionale. Certamente l’evasione da essa è fallita, e con ogni probabilità questa cultura come molte altre pratica o praticava l’esclusione delle donne. Ed è anche vero che il conflitto è scaturito nel momento in cui egli si è allontanato da essa. Ma facciamo l’ipotesi che non gli fosse stato possibile «tornare a casa». Cosa sarebbe accaduto? Sarebbe forse rimasto per sempre uno psicotico, curato in un ospedale occidentale, forse in un reparto dal niente affatto ironico nome di «diagnosi e cure»?
Noi non abbiamo questo problema; il nostro è, per alcuni tratti, probabilmente peggiore, dato che la nostra cultura tradizionale è stata inesorabilmente spazzata via, e non si è ancora ricostituita una nuova cultura con rituali di integrazione sociale. Forse sarà questione di due o tre generazioni, ma nel frattempo che fare? E come sarà questa«nuova cultura»? Per chi vive in una società industriale si pone ancora il problema di dominare il «negativo» che sorge nella vita quotidiana. Nella stessa ipotesi, «laica», che ci propone con molta forza Ida Magli, di un mondo desacralizzato, non è assente, come doppio, come parte rimossa, quel «negativo» che ognuno di noi conosce personalmente nei suoi fantasmi di malattia e di morte, e che si manifesta, tanto per fare nomi, nella rimozione sociale e nel silenzio che circonda il cancro?

Questi fantasmi non sembrano eliminabili in una società come la nostra, e neppure più simbolizzabili a livello di massa, nonostante che la psicanalisi lo abbia tentato, sul piano individuale: ma il suo è, per l’appunto, e per esplicita ammissione del suo fondatore, un tentativo che riguarda solo chi si stende sul lettino. Non si può certo negare che viviamo in una realtà che presenta notevoli manifestazioni di disagio psichico e di disintegrazione sociale, così come non si può negare che per far fronte a questo abbiamo ancora, sul piano terapeutico, strumenti non socialmente simbolizzabili. Che sia questo il presso da pagare alla civiltà industriale?

"il manifesto", 16 settembre 1982

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