5.5.17

Storia terrena di un profeta chiamato Gesù (Alfonso M. di Nola)

Perugia, Chiesa di San Pietro. Giorgio Vasari, Le nozze di Cana (particolare)
Agli interessi politici e ideologici che, ancora fino a qualche anno addietro, informavano lo studio della figura di Gesù di Nazareth, si è venuta a sostituire attualmente una pubblicistica meno impegnata di carattere prevalentemente narrativo, tesa a ricostruire l’immagine storica, o mitica. Fra gli anni Cinquanta e Settanta, anche nella scia dei movimenti del ’68 e delle correnti cristiane anticonformiste, si sviluppò una letteratura molto ricca intorno agli aspetti rivoluzionari della predicazione evangelica, con il recupero dei probabili rapporti di Gesù con i rivoluzionari antiromani della Palestina, dagli Zeloti ai Sicari, mentre, in un diverso ambito, un più sottile lavoro esegetico si apriva sulle radici giudaiche ed esseniche della prima fioritura cristiana. Un nuovo libro di Giovanni Gigliozzi Gesù di Nazareth. La storia più bella del mondo, che ha il grande merito di una scrittura limpida e qui e lì commossa e che arricchisce la narrazione con la riproduzione delle celebri incisioni di Albrecht Durer, riflette appunto le attuali tendenze intenzionalmente svincolate da preoccupazioni che non siano quelle della più o meno fedele ricostruzione degli eventi narrati nella fonte neotestamentaria.
Gigliozzi, dunque, scavalca intenzionalmente la siepe delle controversie interpretative che, nei secoli precedenti e fino alle soglie del nostro tempo, si sono stratificate intorno al profeta palestinese e che propongono le più contrastanti soluzioni, dalla negazione della stessa esistenza storica di Gesù alla sua identificazione con una divinità solare del mondo tardo-antico. Il libro vuole essere una partecipata e rivissuta evocazione dei tratti «biografici» di una figura storica della quale gli Evangeli e gli altri libri del Nuovo Testamento, impegnati prevalentemente nella predicazione missionaria o nel dibattito contro gli avversari, ci hanno lasciato soltanto notizie molto pallide. La scansione degli eventi fattuali che segnano l’iter terreno di Gesù è, qui, tutta fondata sulle poche fonti, e Gigliozzi ricorre, al massimo, alla ulteriore testimonianza della letteratura protopatristica; indulgendo raramente alle suggestioni della straripante letteratura apocrifa, che pure tanto peso ha avuto nella tradizione e nell’iconografia cristiana. Suggestioni di tale origine sono state qui e lì recepite. E’ certo, per esempio che i Magi, dei quali si parla nel solo Evangelo di Matteo, non sono tre e non sono re, particolare che Gigliozzi accetta come una tradizione consolidata che si è sovrapposta a quella antica, che faceva dei Magi dieci, dodici o quattordici personaggi. Così appare, nella ricostruzione della nascita, quel particolare dell’asino e del bue presenti nella grotta, un tema consueto nel presepe, nato da una falsa interpretazione del testo greco di una profezia, nel quale, per la simiglianza della trascrizione greca, un «fra due epoche» (eon) diviene «fra due animali» (zoon).
Attenta è, in tutta la lunga storia, suddivisa nelle varie fasi della vita di Gesù, la fedeltà agli usi giudaici della cultura cui il profeta di Nazareth apparteneva. L’autore si è coscienziosamente documentato e sa inserire gli eventi nel preciso orizzonte storico delle consuetudini ebraiche, delle feste, della mentalità del I secolo. Così che chi voglia trovare una facile, suggestiva e onesta rievocazione di quel tempo, non si imbatterà in svarioni e in anacronismi, che pure sono circolanti in talune ricostruzioni: in un diffuso film su Gesù, il curatore, per esempio, fa sottoporre il fanciullo tredicenne alla cerimonia ebraica di maggiorità (bar mizwà), che viene a definirsi ritualmente soltanto intorno al XIII secolo! E la onestà della ricerca che Gigliozzi ha compiuto prima di scrivere è anche dimostrata al punto che la sua posizione di fronte ai Farisei non è irrigidita nel modello pregiudicante che discende dall’antica lettura cristiana del mondo ebraico. L’autore sa bene che accanto ad una scuola farisaica, rappresentata da Shammai, di tendenze rigoriste e spesso aggredita da Gesù nel suo discorso, esisteva una corrente tollerante guidata da Hillel (che stranamente e romanescamente appare, nel libro, trascritto come Hillele).


“il manifesto”, ritaglio senza data, ma 1987

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