24.6.17

La “Vita nuova” di Dante. Se alla finestra appare una donna gentile (Maria Corti)

Vi è qualcosa di sorprendente nella «Vita Nuova» di Dante: un libro che ha attraversato secoli di lettura restando tuttavia in qualche modo ancora misterioso, ancora mirabilmente ambiguo. Indizio, questo, o segno in genere di alta poesia. Orbene, è recentissima l’edizione che di quest’opera ha curato un esperto filologo, Domenico De Robertis, per la Casa editrice Ricciardi (pagg. 247, lire 8.000); il lettore vi troverà un’acuta introduzione critica e, per la prima volta, un’ampia serie, veramente preziosa, di note storico letterarie che lo invoglieranno alla lettura, ma insieme gli confermeranno quanto qui stiamo dicendo, e cioè che la «Vita Nuova» ci lancia una scommessa, è testo da cui il lettore a momenti si sente giocato, per un parlare recondito, per una verità nascosta e qua e là allusa. Non si può mai, con quest’opera, tagliar corto e dire: le cose stanno così e così; qualche sospetto inevitabilmente incombe per lo stratificarsi di vari sensi, per il sovrapporsi di più livelli o piani di significato, quindi di lettura.
Partendo da quella che si direbbe, anche con espressione dell’epoca dantesca, la «forma del libro», ecco che la «Vita Nuova» appare composta di poesie (sonetti, ballate, canzoni) precedute da prose, che ne spiegano o commentano la situazione amorosa di origine, e seguite da altre prose che ne illustrano la struttura poetica. Si tratta di un genere letterario che in seguito alla sua mescolanza di prosa e poesia viene chiamato «prosimetro», genere per cui Dante aveva modelli illustri latini (Severino Boezio, Alano di Lilla ecc.) o provenzali (le «vidas» e «razos»), da lui profondamente rinnovati al punto che l’opera dantesca diverrà essa stessa più tardi modello per altre di rilievo come l’«Ameto» del Boccaccio o l’«Arcadia» del Sannazzaro.
Cronologicamente, le rime precedono quasi sempre le parti in prosa; come dire che Dante a un certo momento della riflessione poetica trascelse, fra le poesie già composte, quelle adatte a costituire un discorso continuato, a rappresentare il suo cammino lirico sino agli anni 1293-1294, i più probabili per la stesura delle prose. Nonostante la genesi separata e la duplicità di messaggio delle prose e delle poesie, l’opera risulta profondamente unitaria per l’emergere e l’espandersi, come mette bene in luce De Robertis, della funzione della prosa, cioè della riflessione distribuita con stupendo andamento ritmico nel corso dell’opera sui testi e sull’itinerario poetico. Può essere significativo un dato concreto offertoci da De Robertis, quasi una prova indiretta dell’unità dell’opera: non c’è, nella sua tradizione manoscritta, quella distinzione fra «lettera grossa» per il testo poetico e «lettera sottile» per il commento, che compare invece nella tradizione manoscritta del «Convivio».
Si esita molto a definire dall’interno la «Vita Nuova»: essa è una narrazione autobiografia o libro della memoria, ma anche parabola esemplare o «exemplum» fornito di valore simbolico, è un trattato d’amore, è un manifesto poetico dello Stil Novo, come almeno lo intese Dante. È proprio tale spessore del testo che genera da un lato la conturbante ambiguità, ma dall’altro ha sempre prodotto alla lettura un’impressione di durata, di fonte di arricchimento per il lettore; insomma lo spessore del testo si è offerto come spessore di vita.
Un libro prismatico, che ci guida da un livello all’altro di lettura attraverso insensibili e sottili spostamenti: la storia dell’amore di Dante per Beatrice, le apparizioni della donna, le lodi di lei appartengono nello stesso tempo alla realtà del poeta e alla realtà della poesia, dunque a una dottrina o teoria della poesia. Ma essendo Dante una personalità così intensa e fortemente accentratrice, teoria della poesia è in lui teoria della «sua» poesia, cioè di un ideale e di una soluzione della materia e vicenda amorosa assai diversi, per esempio, da quelli del Cavalcanti: Dante rifiuta, salvo in fase iniziale, la drammaticità dell’ amore-passione cavalcantiano a favore di un’idealizzazione assoluta della donna, sicché si passa senza soluzione di continuità dalle operazioni dell’anima sensitiva a quelle beatificanti dell’intelletto che contempla. Beatrice è per l’appunto contemplata come una creatura angelica: chiari elementi della tradizione agiografica, mistica e liturgica, precise espressioni del linguaggio biblico l’accompagnano, le fanno sempre degno corteggio.
Ma allora fino a che punto Beatrice è «figura» di una donna e non dello stesso fare poetico? La domanda urge; la vita «nova» è sì rinnovata dall’apparizione di Beatrice, ma coincide con l’apparizione della poesia nell’universo del diciottenne Dante. E così, quando a Dante sconsolato per la morte di Beatrice appare a una finestra la donna gentile e pietosa, che lo consolerà, che deve pensare il lettore di costei, se è Dante stesso a confonderlo col «Convivio», là ove lo informa che la donna gentile dell’altra sua opera è la filosofia?

È probabile che ancora molto ci resti da capire su questa e su altre opere di Dante; forse bisognerà leggere di più i testi latini che Dante leggeva, e non solo quelli che noi siamo soliti credere che lui leggesse; la sua biblioteca ci è in parte sconosciuta. Detto questo, il commento di De Robertis è già un grosso passo avanti, e molte delle citazioni occulte prendono rilievo sicché veramente ci accostiamo a quello che Dante vuole dirci su se stesso, sull’amore e sulla poesia. Ma la «Vita Nuova» può anche essere letta come una mirabile fantasia sull’amore, come una favola abitabile dall’immaginazione dell’uomo, come un libro della memoria in cui per l’alleanza di una mente speculativa e di una sensibilità poetica il reale è trasfigurato ad ogni momento. Dante non è solo con le sue figure poetiche, ma allo spettacolo partecipano i «fedeli d’Amore», e persino le donne da essi cantate: in questo senso l’opera è la storia di alcuni destini poetici che si intrecciano e creano fra Firenze e Bologna uno dei momenti più intensi per la storia della stessa poesia italiana; basti nominare Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti, coi quali Dante sommessamente colloquia in tutta l’opera. Loro sono i veri destinatari della «Vita Nuova»; noi a secoli di distanza, tentiamo di cogliere il senso di questo eccezionale colloquio, tutto sommato abbastanza unico nella letteratura italiana per l’altezza dei protagonisti.

"la Repubblica", ritaglio senza data, ma 1980

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