22.6.17

Scongiuri vespertini. Una poesia di Giovanni Raboni

Lemure
L’amico apparsomi un giorno
come se per un’ora, credendosi invisibile,
fosse tornato clandestinamente,
lui ch'era vivo, da morte
a sedersi al suo posto di lavoro
senza curarsi di me che lo guardavo
è morto di lì a poco, e da quel giorno
non l’ho più visto. E a quel fantasma, forse,
non avrei più pensato
se anche a me, poi, non fosse capitato
d’essere guardato così, come si guarda
uno che non dovrebbe esserci, che viene
da chissà dove
e sta lì di straforo, un abusivo, un lèmure.


“l'Unità”, 17 agosto 1988

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