22.7.17

Medicina malata. L'operaio calcificato (Giovanni Berlinguer, Severino Delogu)

Giovanni Berlinguer nel 1953 (da Wikipedia)
Nella collana “I libri del Tempo”, la stessa ove vide la luce il primo libro importante di Leonardo Sciascia, Le Parrocchie di Regalpetra, l'editore Laterza nel 1959 pubblicò La medicina è malata, un libro di Giovanni Berlinguer e Severino Delogu, che denunciava con dovizia di documentazione e con un rigore insolito i cedimenti, i compromessi, i servilismi della corporazione medica nei confronti del rampante capitalismo industriale degli anni del boom.
Quello che segue è una delle manifestazioni più estreme e rivelatrici di un andazzo che l'istituzione del servizio sanitario nazionale, per cui Berlinguer, Delogu e altri scienziati e studiosi si battevano (il mio pensiero va a soprattutto Maurizio Mori, che di Berlinguer fu amico e compagno in tante battaglie), avrebbe dovuto correggere e in gran parte davvero corresse. (S.L.L.)


Un caso che pare tratto dai racconti di Poe è accaduto a Pisa, protagonista un operaio affetto da una semplice forma di esaurimento. Fu visitato, fu compilato il suo foglio clinico e gli fu prescritta una cura ricostituente: iniezioni, endovenose di calcio. La cura proseguì per uno, due, tre mesi, sempre negli affollati ambulatori, dove il paziente faceva la fila e dopo un timbro sulla scheda riceveva l’iniezione, praticata peraltro in modo assai accurato. Il medico di turno cambiava assai spesso, e non poteva notare che malgrado le cure il malato non migliorava. Dopo alcuni mesi l’operaio si rivolse dì nuovo a un medico dell’ente perché rivedesse la diagnosi; ma questi confermò l’esistenza dell’esaurimento e convinse il malato a proseguire la cura prescritta, che era stata munita persino del “visto” dell’ambulatorio. E così, giorno dopo giorno e mese dopo mese, riconfortato da una diagnosi che con tutta probabilità era quella giusta, l’operaio si recò a ricevere per oltre un anno le benefiche iniezioni che dovevano guarirlo. Il medico iniettore, sempre diverso, vedeva poco più del braccio in cui ficcava l’ago e firmava distratto la cartella clinica sempre più lunga. Come Gordon Pym di Nantucket navigava inconscio verso l’abisso, così il nostro malato faceva ad ogni iniezione un passo avanti, ma in direzione opposta a quella della guarigione. Un brutto giorno, nell’ambulatorio stesso dell’ente, ebbe un collasso e morì all’improvviso. Il magistrato ordinò la perizia necroscopica, per svelare la causa del decesso, e risultò che quasi tutti gli organi — il cuore, le arterie, i polmoni, il cervello, i reni e così via — erano più o meno completamente calcificati, invasi dal calcio iniettato che aveva come murato vivo dal di dentro l’operaio pisano.


Da La medicina è malata, Laterza, 1959

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