22.7.17

Polemiche filosofiche. Boezio val bene uno screzio (Fabio Troncarelli)

Un filosofo? Un politico?
Un teologo? Un rivoluzionario?
Dopo millecinquecento anni
il nome di Severino Boezio
fa ancora discutere.
Perché?
Le immagini della Filosofia e di Severino Boezio nel portale del Duomo di Monza

PAVIA
Durante tre giorni, in un grande e esclusivo congresso dal 5 all'8 ottobre, Severino Boezio, dopo millecinquecento anni, è ridiventato una pietra dello scandalo. A Pavia si erano dati convegno gli specialisti di Severino Boezio, arrivando da lutto il mondo, con l’idea di commemorare la sua nascita. E invece, fin dalle prime battute, si è visto che filosofi, storici, teologi e filologi erano lì per accapigliarsi sul tema opposto: non la nascita ma la morte di Severino Boezio. Una morte che ben presto divenne un simbolo, il segno della morte del mondo antico, destinala a diventare il tema di interminabili polemiche storiografiche.
Subito dopo la guerra, per esempio, lo storico francese André Piganiol scatenò una vera e propria baruffa scientifica con la frase: «L’impero romano non è morto, è stato assassinato». E Severino Boezio infatti fu ucciso, forse decapitato o garrotato o peggio ancora selvaggiamente bastonato. Ma perché su quell'omicidio si discute ancora?
«È stato il supplizio di un santo», ha proclamato con flebile voce monsignor Antonio Angioni, anziano vescovo di Pavia, all’inaugurazione del congresso davanti al sepolcro di Severino Boezio che, insieme a quello di sant’Agostino, si trova nella chiesa di San Pietro in Cieldoro a Pavia. «Boezio è come Giobbe redivivo», ha aggiunto con voce stentorea Sam Starnes, giovanissimo e piissimo professore del King’s College di Halifax in Canada. «Tutto falso», ha invece spiegato il medievalista Antonio Crocco dell’università di Napoli: «In questo convegno si sta facendo dell’agiografia, siamo più vicini alle vite dei santi che alla ricerca scientifica». Insomma, ecco che così, un pacifico congresso di specialisti si è trasformato in una polemica ancora di attualità: da una parte chi sposa le ragioni della fede e dall’altra chi ancora ha fede nella ragione.
Ma a leggerla con un pizzico di malignità la polemica su Boezio nasconde qualcosa di più attuale: siamo anche noi vicini a una fine del mondo? E la colpa di chi è: della fede o della ragione? E Boezio con il suo Consolazione della Filosofia può ancora darci una risposta?
Ma chi era Boezio? Per chi ha studialo al liceo classico è un nome colto al volo gli ultimi giorni del primo liceo, con un occhio alla matematica e uno alla storia: più che il filosofo della fine del mondo antico è il filosofo della fine delle lezioni.
Per la storia Anicio Manlio Severino Boezio nacque nel 480 dopo Cristo, quattro anni dopo la deposizione dell'ultimo imperatore di Roma, Romolo Augustolo, da parte dei Goti di Odoacre. Di famiglia nobilissima, conobbe onori e gloria come pochi fino a diventare una specie di primo ministro di Teodorico, che aveva preso il potere. Improvvisamente, però, fu accusato di tradimento e ucciso senza esitazioni. Perché? I Goti avevano creato in Italia uno Stato singolarissimo: dipendenti formalmente dall’imperatore di Costantinopoli (erede diretto e ufficiale di Roma), di razza germanica, ostile da secoli ai latini, erano riusciti a organizzare qualcosa come il Senegal o la Namibia d’oggi, un regno moderatamente progressista, dove coesistevano vecchi gruppi dirigenti e nuovi soggetti politici. La tecnologia e la cultura antica, sconosciute ai barbari semianalfabeti, erano nelle mani degli aristocratici latini, come Boezio, veri «mandarini» del sapere. Costoro erano naturalmente insofferenti verso il nuovo regime e guardavano con simpatia a Costantinopoli. La Chiesa, ago della bilancia tra le due forze, non era del tutto favorevole ai barbari, che professavano l’eresia di Ario, che negava la natura divina di Cristo.
In questa situazione di conflittualità latente, non è strano che si scatenassero cacce alle streghe: Boezio fu coinvolto nel 524 dopo Cristo nella più aspra di queste, insieme al papa Giovanni I e a Simmaco, suo suocero, ugualmente fatti morire. Boezio fu accusato di tradimento e perfino di magia. Niente di più falso. Eppure queste accuse riflettono il senso di ostilità dei Goti contro gli intellettuali latini, di cui Boezio faceva parte. Coltissimo, orgoglioso, geniale, esperto in matematica come in musica, in astronomia come in teologia, egli era un ’’quadro” indispensabile, là dove la scienza è indispensabile. Ma anche un sovversivo. Un po’ “nouveau philosophe”, un po' dissidente di lusso, Boezio proclamava la necessità del distacco dai meccanismi di potere, la supremazia dell’intellighenzia sui politicanti, il valore della ragione e della cultura sull’irrazionalità e la forza bruta. Illuso, come tutti i tecnocrati, di governare i governanti, estraneo alla nuova società, senza esserne straniero, Boezio attaccava direttamente i rapaci protagonisti del sottogoverno goto, impedendo abusi e taglieggiamenti contro i poveri (come in Campania, verso il 510) o contro i nobili in disgrazia (come l’ex console Paolino e Albino). E, come Von Stroheim nella Grande illusione, finiva con l’interpretare il ruolo di spettatore disincantato, che avverte con amarezza il declino degli uomini del suo stampo e l’avanzata dei parvenus della storia, siano essi i rozzi e fieri barbari o quello strano miscuglio di Pietro il Grande, Rasputin e Messalina che erano imperatori e imperatrici bizantini del calibro di Atanasio I, Giustino, Giustiniano, Teodora.
E proprio quest’aspetto decadente, così in perfetta sintonia con la decadenza dell’impero romano, che rende affascinante la morte di Boezio ed alimenta ancora oggi le discussioni. Boezio stesso si è posto la domanda sul senso del proprio destino nei pochi mesi tra l’arresto e la condanna, quando esiliato nella sperduta Pavia, nebbiosa e remota, ha scritto il suo capolavoro, la Consolazione della Filosofia. Depresso, silenzioso, sdraiato su un lettino come il paziente di uno psicanalista, ha un’allucinazione improvvisa: «...Mi sembrò che sopra la mia testa apparisse una donna, altera, con gli occhi ardenti, più acuti di quelli degli uomini. Rosa di carnagione, fiera e vigorosa, ma così carica di anni che sembrava di un'altra epoca, cambiava statura, impercettibilmente; ora era alla mia altezza, ora toccava il cielo con i capelli, ora, se alzava la fronte, penetrava il cielo stesso... Le sue vesti erano tessute, con finezza, di fili sottilissimi... La loro bellezza, come nelle pitture velate
dagli anni, era coperta dall’ombra che nasconde le cose antiche e trascurate...».
La Filosofia (è lei la bella sconosciuta!) analizza, come Freud, gli affetti di Boezio: è vano attaccarsi a onori, gloria, ricchezza, perfino al successo dell’intellettuale brillante. Il mondo è preda del caso e della caducità. La terra rispetto all’universo è un pianeta invisibile, con la luce tremante di una stella lontana. L’uomo deve immergersi nell’armonia del cosmo, dimenticando la disarmonia del mondo. La morte è solo il passaggio verso l’infinito. E la fede? La religione del Cristo? Qui è il problema: la Filosofia non è Cristo. Possibile che Boezio, cristiano e teologo, non abbia neppure pronunciato il nome del Salvatore, prima di morire? Per gli studiosi è un enigma incomprensibile; lo stesso convegno di Pavia non ha fatto che riproporre l’eterno dilemma che ha scosso da sempre gli interpreti di Boezio: se la ragione ci consola della morte, che resta della fede? Le dispute sulla santità o meno del filosofo, infatti, nascono per cercare di colmare il vuoto imbarazzante dell’assenza di espliciti riferimenti cristiani nell’ultima opera boeziana. In realtà bisogna avere il coraggio di affermare che questo è un ’’falso problema”. Boezio aveva sempre sostenuto, con audacia, la netta separazione tra fede e ragione. Per questo la Filosofia, accennando all’inferno e al purgatorio, può affermare: «...Non è affar nostro discutere ora di tali argomenti». Il rifiuto del conforto del cristianesimo è il rifiuto della benda sugli occhi: poter vedere in faccia il carnefice!
Boezio era un animale filosofico. Lo rimase fino alla fine. Il suo grido di rivolta contro la morte è un ruggito razionale. Stupirsi di ciò è come stupirsi che nelle stesse circostanze Tommaso Moro abbia scritto l'Utopia e Gramsci i Quaderni dal carcere. Ancora oggi, nei nostri tempi avari di eroismo, Toni Negri in galera scrive un Giallo e non un’abiura: l’uomo in prigione si mantiene fedele al proprio passato, anche quando tutto è perduto! Boezio, attraverso la figura di Filosofia, si confessa mandante ideologico della «sovversione»temuta dai Goti: la «sovversione» rappresentata dalla cultura. dalla ragione, dall’indipendenza capace di terrorizzare i regimi. Questo e solo questo lo consola della morte: una testarda incrollabilità! Boezio è un teorico dell’autonomia più assoluta dell’individuo di fronte allo Stato. Per paradosso, dunque, questo supposto santo è un campione del laicismo più radicale, che non si piega, a costo della vita, davanti al potere. E stato dunque un «martire»? Sì, ma martire della «disobbedienza civile».

EUROPEO/28 OTTOBRE 1980

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